Il denaro depositato sul conto corrente cointestato a marito e moglie in comunione legale si presume che appartenga ad entrambi i coniugi. Al momento dello scioglimento della comunione il saldo andrà diviso a metà salva la prova contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa. In mancanza della predetta prova, un coniuge non può chiedere all’altro il rimborso delle spese (anche ingenti) prelevate dal conto corrente cointestato per i bisogni della famiglia e che siano riconducibili al manage familiare e/o riconducibili alla logica della solidarietà coniugale in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c.. Ne deriva che l’azione di ripetizione giudizialmente proposta cadrà nel vuoto.
IL PRINCIPIO DI DIRITTO ENUNCIATO DALLA CORTE
Le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c., non determinano alcun il diritto al rimborso.
IL PASSO SALIENTE DELL’ORDINANZA
[…] “Poichè non è stato dimostrato che il conto corrente fosse destinato al soddisfacimento dei soli bisogni primari fondamentali della famiglia, allo stesso ben poteva attingere la moglie per esigenze, anche non di strettissima necessità, sia delle due figlie, sia proprie, non potendosi per contro rimettere in discussione ogni voce di spesa di cui ciascun coniuge si sia fatto carico nel corso della convivenza matrimoniale. Non si tratta quindi di ammettere che “sarebbe sufficiente a uno dei cointestatari di qualunque conto corrente bancario cointestato versare un Euro nel conto per appropriarsi di tutta la giacenza residua “quanto piuttosto di riconoscere la sussistenza di specifici doveri di solidarietà familiare e di assistenza tra coniugi, alla cui logica, anche in considerazione della scelta di indirizzo familiare compiuta tra il A.A. e la B.B., sembrano pienamente riconducibili le spese in contestazione. Oltretutto, come già ritenuto dal Tribunale, e come in extenso dimostrato dalla convenuta anche nel presente grado di giudizio, molte delle spese che l’attore vorrebbe qualificare come voluttuarie sono risultate in realtà attenere alla ordinaria gestione della vita familiare (per dirne solo alcuni: acquisto di medicinali o abbigliamento, pagamento di bollette, collaboratori domestici, spese scolastiche) o ad esigenze di salute delle figlie o della B.B. (ad esempio, i pagamenti contestati per “interventi di mastoplastica o di chirurgia plastica ed estetica” si sono rivelati essere destinati a operazioni necessarie per la salute della convenuta, appositamente prescritte dal medico e ben note all’appellante). Le considerazioni sopra svolte, all’evidenza, debbono trovare applicazione anche con riferimento all’assegno circolare di Euro 55.000,00 del (Omissis), atteso peraltro che dalla documentazione allegata dalla convenuta risulta come nel (Omissis) l’attore avesse cessato di contribuire ai bisogni della famiglia e che tale somma sia stata integralmente destinata dalla B.B. al mantenimento delle figlie e della casa coniugale negli anni successivi”. La corte milanese si è, quindi, uniformata al costante indirizzo giurisprudenziale secondo il quale le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. -che nella fattispecie traggono provvista in un conto cointestato-, non determinano alcun il diritto al rimborso (cfr. Cass. 18749/2004 10942/2015 e 10927/2018).
L’ORDINANZA
(Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente – Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere)
Cassazione civile, Sez. I, Ordinanza, 17/10/2023, n. 28772
(omissis)
Svolgimento del processo
1 Con sentenza del 16/12/2021, la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da A.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda proposta dall’attore per la condanna di B.B., moglie dalla quale si era separata, al pagamento della somma di Euro 250.000,00, che assumeva dovuta a titolo di restituzione e/o risarcimento di danni patrimoniali, consistiti nell’indebito prelievo e utilizzo da parte della ex coniuge (tra l'(Omissis) e il (Omissis)) di Euro 121.060,50 depositati sul conto corrente cointestato alle parti, nonchè nell’indebita disposizione di Euro 55.000,00 mediante assegno circolare emesso in proprio favore; e di risarcimento dei danni non patrimoniali patiti in conseguenza del fallimento del matrimonio e per le difficoltà di far fronte agli obblighi alimentari sussistenti a suo carico in favore della convenuta e delle comuni figlie, a causa dell’indisponibilità dell’importo di Euro 176.060,50 sul conto corrente (fatto da cui sarebbe derivato l’assoggettamento dell’attore a procedimento penale, a limitazioni della libertà personale e a numerosi procedimenti esecutivi, con conseguente danno all’immagine dello stesso).
2 La Corte meneghina ha motivato la propria decisione osservando: a) che correttamente il Tribunale aveva ritenuto che l’attore non avesse assolto all’onere della prova necessario a superare la presunzione legale di cui all’art. 1298 c.c., essendo stato, al contrario, dimostrato che il conto corrente fosse stato aperto dai coniugi congiuntamente e per i bisogni presenti e futuri dell’intera famiglia e che alla formazione della provvista non avesse contribuito in via esclusiva l’attore; b) che risultava processualmente dimostrata l’esistenza di accordi di indirizzo familiare intervenuti tra i coniugi, in base ai quali la moglie aveva interrotto la collaborazione presso uno studio legale per prestare la propria attività professionale esclusivamente in favore del marito verso il quale emetteva peraltro regolare fattura. Alle fatture non seguiva alcun pagamento diretto da parte del marito sull’intesa che il cospicuo lavoro professionale della B.B. potesse essere compensato con l’utilizzo del denaro sul conto corrente; c) che in ogni caso, non era stato dimostrato che il conto corrente fosse destinato al soddisfacimento dei soli bisogni primari fondamentali della famiglia; d) che sussistevano tra i coniugi, ex artt. 143 e 316-bis c.c., precisi doveri di reciproca assistenza materiale (oltre che morale) e di contribuzione, ciascuno in proporzione alle rispettive sostanze e capacità, sicchè la cointestazione del conto corrente costituiva specifica esecuzione degli obblighi di assistenza materiale di cui all’art. 143 c.c.; e) che l’appellata aveva fornito elementi dai quali si evidenziava che molti dei prelievi, che secondo la prospettazione dell’ex marito servivano per spese voluttuarie, in realtà erano stati utilizzati per far fronte alle necessità familiari o mediche.
3 A.A. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi; B.B. ha svolto difese mediante controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..
Motivi della decisione
1 Il primo motivo prospetta “violazione e/o falsa applicazione degli art. 1298 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omesso esame sul punto di un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e, in ogni caso, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per erronea percezione del contenuto oggettivo della prova documentale”; sostiene il ricorrente che la Corte territoriale si sarebbe limitata esclusivamente ad evidenziare che la B.B. avesse dato la prova di alcuni versamenti sul conto, il che se consentiva di affermare che il conto corrente non era stato contratto nell’esclusivo interesse del marito, non esonerava i giudici dall’accertare la rilevante sperequazione delle quote riferibili a ciascun coniuge desumibile dalla enorme difformità degli apporti, documentata dagli estratti conto, e la smisurata differenza tra prelievi effettuati dalla moglie e le rimesse da lei operate, che consentiva di ritenere superata la presunzione di comproprietà in parti uguali di cui all’art. 1298 c.c.. Sempre a dire del ricorrente, il processo logico che ha fondato la decisione della Corte d’Appello, nel ritenere rilevanti gli apporti della ex moglie, sarebbe da ritenersi viziato, oltre che da error in iudicando, anche da omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dall’irrisorietà dei versamenti della B.B. rispetto agli apporti effettuati dal A.A. nonchè da un oggettivo errore di percezione della prova documentale in atti.
2 Il motivo è inammissibile in ogni sua articolazione.
2.1 Mette conto precisare che la cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto salva la prova contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa che può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti (cfr. tra le tante Cass. n. 19309/2006, 28839/2008, 18777/2015 e 4838/2021).
2.2. L’apprezzamento circa il superamento della presunzione di contitolarità del rapporto previsto dall’art. 1298, comma 2 è attività riservata al giudice di merito insindacabile in Cassazione se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e nel caso di omessa e/o apparente motivazione.
2.3 Ora, come si desume dalla lettura dell’impugnata sentenza, l’attore, a fondamento delle proprie domande, ha dedotto di aver alimentato in via esclusiva il conto corrente e, conseguentemente, di essere unico titolare del diritto di proprietà degli importi ivi depositati, sostenendo, quindi, che l’utilizzo da parte della moglie delle somme giacenti sul conto per scopi estranei al mantenimento della famiglia fosse da considerarsi un pagamento indebito ovvero un illecito.
2.4 Il thema decidendum non è, quindi, costituito dall’accertamento della quota in capo a ciascun coniuge, ma dall’azione di ripetizione di indebito, sul presupposto della proprietà esclusiva di tutto il denaro in capo al marito.
2.5 Ciò premesso, va rilevato che i suesposti principi giurisprudenziali sono stati osservati dall’impugnata sentenza, la quale ha proceduto alla disamina di tutti gli atti acquisiti al processo e, sulla base di circostanze emerse in giudizio, è pervenuta alla conclusione – attraverso un iter logico ineccepibile – che il conto corrente cointestato era stato alimento non solo da denaro del marito ma anche dalla provvista fatta affluire dalla moglie con la conseguenza che la presunzione di comproprietà delle somme depositate nel conto corrente non era stata vinta.
2.6 In particolare gli elementi valorizzati dalla Corte a fondamento del proprio convincimento in ordine alla mancanza di prova della titolarità esclusiva del denaro in capo al A.A. sono i seguenti: a) il conto corrente era stato aperto dai coniugi congiuntamente e per i bisogni presenti e futuri dell’intera famiglia; b) la convenuta aveva contribuito all’alimentazione del conto corrente in misura rilevante con apporti derivanti dalla sua attività professionale e di GOT presso il Tribunale di Milano e con i pagamenti di terzi in favore del A.A., riconducibili però all’attività svolta dalla convenuta su incarico del marito; c) i coniugi avevano sottoscritto, congiuntamente e per quote paritarie, contratti di deposito titoli e di investimento, come documentalmente dimostrato dalla controricorrente.
2.7 La censura formulata come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – vizio il cui esame peraltro risulta impedito dalla presenza di una ” doppia conforme “- o errore di percezione, mira in realtà alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità 2.8 Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
3 Con il secondo motivo, rubricato “violazione e/o falsa applicazione degli art. 2697 c.c., artt. 115 e 112 c.p.c., art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4: decisione fondata su prove non dedotte dalle parti e su domande rigettate e non riproposte in secondo grado”, il ricorrente censura il passaggio motivazionale dell’impugnata sentenza dove si afferma che, sulla base degli accordi di indirizzo familiare intervenuti tra i coniugi, la moglie aveva accettato di lasciare lo studio legale presso cui lavorava per prestare la propria attività professionale esclusivamente in favore del marito verso il quale emetteva peraltro regolari fatture; tali documenti non sarebbero stati mai versati in atti sia in primo che in secondo grado. Viene, inoltre, evidenziata la violazione del principio del chiesto e pronunciato e del giudicato in cui sarebbe incorsa la Corte milanese nel riconoscere la compensazione tra somme vantate per attività professionale, asseritamente svolta in favore del marito, e gli importi giacenti sul conto corrente cointestato, proposta dall’avv. B.B. in via riconvenzionale in primo grado, rigettata dal Tribunale e non reiterata con appello incidentale.
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 La sentenza fa espresso riferimento alle fatture emesse dalla Busamolino per le prestazioni professionali effettuate in favore del marito, tali documenti fiscali secondo il ricorrente non sarebbero mai entrati nel processo stante la loro mancata indicazione nell’elenco dei documenti allegati alla comparsa di costituzione e risposta; la decisione della Corte poggerebbe sulla circostanza non veritiera della produzione in giudizio delle fatture.
3.3 La controricorrente ha, tuttavia, chiarito che le fatture sono state ritualmente introdotte nel giudizio di primo grado non con la comparsa di costituzione e risposta ma attraverso la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 (cfr. fatture riprodotte nel presente giudizio agli allegati nr 35 e 36). Tale circostanza non ha trovato smentita alcuna nel contenuto della memoria di parte attrice ex art. 380 bis c.p.c..
3.4 Per quanto concerne la dedotta violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il giudicato la censura si rileva non pertinente con il contenuto della decisione in quanto la Corte, contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, non ha affatto “riesumato” la domanda, proposta in via riconvenzionale dalla B.B. di condanna del A.A. al pagamento, da un lato, dei corrispettivi dovuti per l’attività (rigettata in primo grado e non riproposta in secondo grado), ma ha semplicemente valorizzato il conferimento della moglie alla provvista del conto, attuato mediante l’attività professionale svolta in favore del marito, come ulteriore elemento di prova il mancato superamento della presunzione ex art. 1298 c.c., comma 2.
4 Con il terzo motivo il ricorrente oppone violazione e/o falsa applicazione degli artt. 143 e 316-bis c.c., con riferimento agli artt. 112, 115 e 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4 per avere la Corte d’Appello preteso di ricondurre gli ” smisurati ed i continui consistenti prelievi, compresa l’ingente somma di Euro 55.000,00, per un totale di Euro 180.000,00, effettuati in poco più di un anno e mezzo dopo l’inizio della relazione extraconiugale e poco prima di chiedere la separazione coniugale all’interno dei reciproci obblighi di solidarietà familiare ed assistenza tra coniugi di cui all’art. 143 c.c., in pratica solo perchè avvenuti in costanza di matrimonio.”. Inoltre, il A.A. si duole del fatto che la Corte illegittimamente, illogicamente e sulla base di una erronea assunzione di fatti insussistenti, sul presupposto che l’ex marito avesse interrotto di contribuire ai bisogni della famiglia sin dal (Omissis), abbia affermato che l’importo di Euro 55.000 prelevato dalla B.B. nel giugno dello stesso anno sia stato integralmente destinata dalla stessa al mantenimento delle figlie e della casa coniugale negli anni successivi.
4.1 La doglianza non supera il vaglio di ammissibilità.
4.2 Al riguardo giova riportare per esteso i seguenti brani della sentenza “Poichè non è stato dimostrato che il conto corrente fosse destinato al soddisfacimento dei soli bisogni primari fondamentali della famiglia, allo stesso ben poteva attingere la moglie per esigenze, anche non di strettissima necessità, sia delle due figlie, sia proprie, non potendosi per contro rimettere in discussione ogni voce di spesa di cui ciascun coniuge si sia fatto carico nel corso della convivenza matrimoniale. Non si tratta quindi di ammettere che “sarebbe sufficiente a uno dei cointestatari di qualunque conto corrente bancario cointestato versare un Euro nel conto per appropriarsi di tutta la giacenza residua ” quanto piuttosto di riconoscere la sussistenza di specifici doveri di solidarietà familiare e di assistenza tra coniugi, alla cui logica, anche in considerazione della scelta di indirizzo familiare compiuta tra il A.A. e la B.B., sembrano pienamente riconducibili le spese in contestazione. Oltretutto, come già ritenuto dal Tribunale, e come in extenso dimostrato dalla convenuta anche nel presente grado di giudizio, molte delle spese che l’attore vorrebbe qualificare come voluttuarie sono risultate in realtà attenere alla ordinaria gestione della vita familiare (per dirne solo alcuni: acquisto di medicinali o abbigliamento, pagamento di bollette, collaboratori domestici, spese scolastiche) o ad esigenze di salute delle figlie o della B.B. (ad esempio, i pagamenti contestati per “interventi di mastoplastica o di chirurgia plastica ed estetica” si sono rivelati essere destinati a operazioni necessarie per la salute della convenuta, appositamente prescritte dal medico e ben note all’appellante). Le considerazioni sopra svolte, all’evidenza, debbono trovare applicazione anche con riferimento all’assegno circolare di Euro 55.000,00 del (Omissis), atteso peraltro che dalla documentazione allegata dalla convenuta risulta come nel (Omissis) l’attore avesse cessato di contribuire ai bisogni della famiglia e che tale somma sia stata integralmente destinata dalla B.B. al mantenimento delle figlie e della casa coniugale negli anni successivi”.
4.3 La corte milanese si è, quindi, uniformata al costante indirizzo giurisprudenziale secondo il quale le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. -che nella fattispecie traggono provvista in un conto cointestato-, non determinano alcun il diritto al rimborso (cfr. Cass. 18749/2004 10942/2015 e 10927/2018).
4.4 Ancora una volta il motivo non si traduce in altro che in una malcelata pretesa di sottoporre alla valutazione diretta di questa Suprema Corte, profili meramente fattuali – relativi alla destinazione dei prelievi effettuati dalla ricorrente alle esigenze familiari- che la Corte territoriale ha – con percorso motivazionale di per sè immune da vizi logico giuridici e perciò incensurabile in questa sede – provveduto specificamente a valutare nell’ambito delle sue prerogative del tutto esclusive 5 In conclusione il ricorso va rigettato.
6 Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre Iva, Cap e rimborso forfettario al 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2023