Sul presupposto che l’esecutività ex lege delle sentenze comporta una inversione del rapporto regola-eccezione tra esecutorietà e sospensione della stessa, nel senso che quest’ultima assume oggi carattere di eccezionalità e giustifica, quindi, una interpretazione restrittiva dei suoi presupposti, i Giudici capitolini, in assenza di palesi vizi di motivazione della sentenza impugnata ed in applicazione della sanzione prevista dall’ultimo comma dell’articolo 283 c.p.c., hanno condannato la parte istante alla pena pecuniaria di € 500,00. La sanzione così determinata è stata giustificata in ragione del rilievo economico della controversia, della evidente insussistenza dei presupposti di legge per l’accoglimento dell’istanza, del tempo occorso al collegio (elemento rilevante, dato il carattere sanzionatorio della disposizione) per scrutinare la vicenda, del numero e della quantità degli atti esaminati e delle parti e del tempo così sottratto alla decisione di istanze invece ammissibili.
LA SENTENZA (estratto)
Corte d’Appello Roma Sez. III, Sentenza del 26-01-2022
(omissis)
CONSIDERATO
che l’appellante ha chiesto, ai sensi dell’art. 283 c.p.c., la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza n. (…) emessa dal Tribunale di Roma che ha revocato il decreto ingiuntivo n. (…) ed ha confermato l’ordinanza di ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c. con cui è stato ingiunto ad (…) il pagamento, in favore di (…), della complessiva somma di Euro 16.100,00, a titolo di pagamento delle rate scadute sino al primo luglio 2019, nonché, quali onorari, della complessiva somma di Euro.1.500,00, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge, per le spese di fase; ha, inoltre, condannato (…) al pagamento, in favore di (…) dell’importo di Euro 7.000,00 a titoli di pagamento delle rate scadute dall’agosto 2019 al marzo 2021;
che la sospensione richiesta costituisce, all’evidenza, un’eccezione ai principi, desumibili dall’art. 282 c.p.c., secondo cui il giudizio di primo grado deve esaurire qualsiasi questione proponibile fra le parti e l’impugnazione dev’essere finalizzata non già principalmente ad ottenere l’inibitoria, ma alla correzione dei vizi denunciati sulla base di una concreta possibilità di riforma della sentenza impugnata;
che la locuzione “gravi e fondati motivi”, introdotta dalla L. n. 263 del 2005, impone una particolare attenzione allo scrutinio del probabile accoglimento dell’appello, poiché la locuzione “fondati motivi” ha riguardo solo al merito ed esclude che il giudice possa limitarsi a valutare le questioni attinenti al pericolo; sicché la nuova formulazione della norma non solo restringe il campo di operatività dell’inibitoria al caso che l’esito dell’impugnazione appaia senza meno in via prognostica favorevole all’istante, ma richiede altresì che il pregiudizio – che non può esaurirsi nella mera fisiologica produzione degli effetti propri dell’esecuzione della sentenza impugnata – non sia soltanto allegato, ma altresì comprovato; che, nel caso di specie, all’esame sommario riservato al giudice del gravame in sede sospensiva, la sentenza impugnata non presenta palesi vizi di motivazione, tali da consigliare la sospensione della sua esecutività in ragione della valutazione prognostica della fondatezza dell’appello, dovendo riservarsi ogni più approfondito esame dei motivi di censura spiegati dall’appellante alla sede della decisione conclusiva; che l’appellante ha sostanzialmente omesso di formulare reali ed oggettive considerazioni in ordine alla sussistenza del periculum con la conseguenza che l’istanza – considerato che il requisito del fumus è tutt’altro che palese – deve ritenersi infondata;
che trova pertanto applicazione, nel caso di specie, l’ultimo comma dell’articolo 283 c.p.c. (inserito dall’art. 27 della L. 12 novembre 2011, n. 183) secondo cui “se l’istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad Euro 250 e non superiore ad Euro 10.000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio”; che si ritiene conforme ad equità determinare la pena pecuniaria, tenuto conto del rilievo economico della controversia, della evidente insussistenza dei presupposti di legge per l’accoglimento dell’istanza, del tempo occorso al collegio (elemento rilevante, dato il carattere sanzionatorio della disposizione) per scrutinare la vicenda, del numero e della quantità degli atti esaminati e delle parti e del tempo così sottratto alla decisione di istanze invece ammissibili, nell’importo di Euro 500,00;
P.Q.M.
Rigetta l’istanza di sospensione ex art. 283 c.p.c. e condanna la parte istante alla pena pecuniaria di Euro 500,00;
Rinvia la causa per la precisazione delle conclusioni, ai sensi dell’art. 352 c.p.c., all’udienza del 14.02.2024
Si comunichi.
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2022.
Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2022.