Il caso riguarda un danno provocato dal talidomide, un farmaco che veniva prescritto e somministrato decine di anni fa alle donne in gravidanza per evitare aborti spontanei. Negli anni successivi si scoprì però che questo farmaco produceva danni gravissimi al feto essendo causa di focomelia: nascevano cioè bambini senza arti o con arti malformati. Tanto più che con la legge 29 ottobre 2005, n. 229 venne prescritto un indennizzo – ispirato al principio della solidarietà sociale e posto a carico dello Stato -, a beneficio di coloro che fossero in grado di dimostrare il semplice nesso di causalità tra la propria patologia e l’assunzione da parte della madre del farmaco in parola.
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IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE
Anche per il danno da somministrazione di un farmaco senza adeguati controlli sulle potenzialità di produrre effetti collaterali dannosi per la salute, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche da apprezzarsi in riferimento al sanitario o alla struttura sanitaria cui si è rivolto il paziente, occorrendo, in particolare, accertare se siano state fornite informazioni atte a consentire all’interessato il collegamento con la causa della patologia o se lo stesso sia stato quanto meno posto in condizione di assumere tali conoscenze.
LA SENTENZA
Cassazione civile, Sez. III, Ordinanza del 24/01/2024, n. 2375
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 14928-2020 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in Roma, via Carlo Mirabello 14, presso lo studio dell’Avvocato Luca MARAGLINO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro “pro tempore”, domiciliato “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato da cui e difeso per legge;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1743/19 della Corte d’appello di Torino, depositata il 29/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale dell’11/07/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.
Svolgimento del processo
1. A.A. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1743/19, del 29 ottobre 2019, della Corte d’appello di Torino, che – accogliendo il gravame esperito dal Ministero della Salute avverso la sentenza n. 3771/18, del 25 luglio 2018, del Tribunale di Torino – ne ha dichiarato prescritto, per decorso del termine ex art. 2947 cod. civ., il diritto al risarcimento del danno subito in conseguenza della somministrazione, durante la vita prenatale, del farmaco “(Talidomide)”.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver adito l’autorità giudiziaria per chiedere il ristoro di tutti i danni conseguenti all’avvenuta assunzione – da parte della propria genitrice, nel corso della gestazione – di tale farmaco, poi, rivelatosi dagli effetti teratogeni, essendo il A.A. nato focomelico.
Costituitosi in giudizio, il convenuto Ministero della Salute eccepiva, tra l’altro, l’intervenuta prescrizione del diritto azionato, eccezione rigettata dal Tribunale torinese con ordinanza, che disponeva, contestualmente, darsi corso all’istruttoria anche mediante lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio. Istruita la causa, la domanda risarcitoria veniva accolta, liquidandosi in favore dell’attore la somma di Euro 319.572,89.
Esperito gravame dal convenuto Ministero, reiterando, tra l’altro, l’eccezione di prescrizione del credito risarcitorio, questa veniva accolta dal giudice di appello.
A tale esito perveniva disattendendo la tesi del primo giudice (che aveva individuato il “dies a quo” del termine prescrizionale nella data di presentazione della domanda di indennizzo), sul rilievo che fosse “inverosimile o estremamente improbabile che nessun pediatra o medico di base” avesse indicato ai familiari del A.A. – nonché, successivamente, “al medesimo paziente divenuto maggiorenne” – la “possibile causa della sua peculiare infermità”. E ciò in considerazione del fatto che, appena tre anni dopo la sua nascita (esattamente il Omissis), con una serie di decreti ministeriali, il Ministero allora della Sanità aveva ritirato dal commercio i farmaci contenenti (Talidomide). Di conseguenza, “pur non sussistendo alcuna ipotesi di sospensione della prescrizione determinata dalla minore età”, il giudice di seconde cure ha ritenuto che il “dies a quo” del termine di prescrizione potesse farsi decorrere “dal compimento della maggiore età da parte dell’interessato, successiva al (Omissis), anno in cui risulta formalizzata la diagnosi di focomelia dalla CMO”.
3. Avverso la sentenza della Corte piemontese ha proposto ricorso per cassazione il A.A., sulla base – come detto -di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione di legge, in relazione agli artt. 2935 e 2947 cod. civ.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver individuato il “dies a quo” della prescrizione quinquennale, a suo dire erroneamente, nel momento in cui egli ebbe conoscenza della malattia, e non già della riconducibilità causale, dell’evento dannoso all’assunzione del farmaco dagli effetti teratogeni. Per contro, nella giurisprudenza di questa Corte, si assume affermato il principio secondo cui ciò che rileva è il momento della conoscenza in capo al danneggiato – o quanto meno della percezione – che la propria infermità sia imputabile ad un comportamento illecito di un terzo, e non quello in cui il danno si è prodotto e/o manifestato all’esterno. Affermazione, questa, ribadita anche con riferimento ai danni scaturiti dall’avvenuta somministrazione di farmaci a base di Talidomide (è richiamata Cass. Sez. 6-3, ord. 3 giugno 2020, n. 10515).
Per altro verso, si contesta alla sentenza impugnata di aver operato – sempre ai fini dell’individuazione del c.d. “exordium praescriptionis” – una “non meglio precisata “praesumptio praesumptionis””. E ciò presumendo, per un verso, che ai genitori del A.A. fosse stata necessariamente prospettata la riconducibilità causale della malformazione del figlio, all’assunzione del Talidomide, cosi finendo per l’attribuire a costoro – “contadini senza scolarizzazione” – una “conoscenza qualificata” circa gli effetti teratogeni di tale agente immunomodulatore. Di tale conoscenza, all’epoca, era invece privo persino il Ministero, atteso che la commercializzazione di farmaci contenenti tale sostanza si è protratta anche dopo l’adozione dei suddetti decreti ministeriali di ritiro degli stessi dal commercio. Per altro verso, tale presunzione è stata estesa allo stesso soggetto danneggiato, ritenendo che costui – con il raggiungimento, nel (Omissis), della maggiore età, nonché per il fatto che prima di tale anno fosse già stata formalizzata, dalla commissione medico ospedaliera, la diagnosi di focomelia – dovesse essere a conoscenza della eziopatogenesi della propria infermità.
Il tutto, infine, senza tacere della circostanza – anch’essa, si assume, stigmatizzata nell’arresto di questa Corte già in precedenza citato – che non era consentito, alla sentenza impugnata, indurre la “notorietà” della dannosità del Talidomide dall’avvenuto ritiro dal commercio dei farmaci in cui esso risultava presente, atteso che nella nozione di “fatto rientrante nella comune esperienza” di cui all’art. 115, comma 2, cod. proc. civ., non possono includersi quelle valutazioni che, per essere formulate, necessitino di un apprezzamento tecnico, da acquisirsi mediante CTU o mezzi cognitivi peritali analoghi.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione di legge, in relazione all’art. 2697 cod. civ., per avere la sentenza impugnata, di fatto, invertito l’onere probatorio, esonerando il Ministero, che aveva eccepito la prescrizione, dall’onere di provare il momento esatto del c.d. “exordium praescriptionis”.
Si ribadiscono, sotto altro angolo visuale, le censure, già proposte con il primo motivo, in ordine al ragionamento presuntivo svolto dalla Corte territoriale, giacché esso risulterebbe basato – si insiste nel sottolinearlo – su mere congetture ed illazioni.
4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il Ministero della Salute, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
5. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
6. Il controricorrente ha depositato memoria.
7. Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di un suo Sostituto, ha presentato conclusioni scritte nel senso dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.
8. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
Motivi della decisione
9. Il ricorso va accolto.
9.1. I due motivi di ricorso – suscettibili di scrutinio congiunto, data la loro connessione – sono fondati.
9.1.1. Come rammenta il ricorrente, questa Corte, in relazione al c.d. “exordium praescriptionis”, ha esteso ai danni conseguenti alla somministrazione di farmaci contenente Talidomide gli stessi principi enunciati con riferimento ai danni da emotrasfusione di sangue infetto.
Si legge, infatti, nell’arresto citato in ricorso che “anche per il danno da somministrazione di un farmaco senza adeguati controlli sulle potenzialità di produrre effetti collaterali dannosi per la salute” vale l’affermazione per cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre “non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche da apprezzarsi in riferimento al sanitario o alla struttura sanitaria cui si è rivolto il paziente”, occorrendo, in particolare, “accertare se siano state fornite informazioni atte a consentire all’interessato il collegamento con la causa della patologia o se lo stesso sia stato quanto meno posto in condizione di assumere tali conoscenze dovendosi accertare se siano state fornite informazioni atte a consentire all’interessato il collegamento con la causa della patologia o se lo stesso sia stato quanto meno posto in condizione di assumere tali conoscenze” (Cass. Sez. 63, ord. 3 giugno 2020, n. 10515, non massimata).
L’equiparazione tra le due fattispecie, pertanto, porta a ritenere che, pure nel presente caso, il c.d. “exordium praescriptionis” coincida con la presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo (nella specie, previsto dall’art. 1 della legge 29 ottobre 2005, n. 229), spettando alla controparte dimostrare, anche attraverso il ricorso a prova presuntiva, che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, l’esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale all’assunzione del farmaco.
Questa è, d’altra parte, la premessa da cui muove la stessa sentenza impugnata, sebbene, poi, essa abbia ritenuto provata, sulla base di un ragionamento presuntivo non corretto (diversamente da quanto reputa la difesa statale), la pregressa conoscenza, o meglio, conoscibilità, da parte dell’interessato, rispetto al momento della presentazione della domanda di liquidazione dell’indennizzo, dell’efficienza causale dell’assunzione del farmaco rispetto alla propria disabilità.
La Corte piemontese, infatti, ha reputato “inverosimile o estremamente improbabile che nessun pediatra o medico di base” avesse indicato ai familiari del A.A. – nonché, in seguito, “al medesimo paziente divenuto maggiorenne” – la “possibile causa della sua peculiare infermità”, facendo risalire, in ogni caso, almeno “al (Omissis), anno in cui risulta formalizzata la diagnosi di focomelia dalla CMO”, la conoscenza della eziopatogenesi dell’infermità.
In questo modo, pero, la sentenza impugnata – formulando mere ipotesi congetturali, sfornite di qualsivoglia base fattuale -ha disatteso il principio secondo cui una simile prova presuntiva, proprio perché destinata a contraddire un fatto storico obiettivo (la presentazione della domanda di indennizzo), “si deve fondare su fatti certi”, ovvero, “si deve dedurre da questi sulla base di massime d’esperienza o dell'”id quod plerumque accidit”, non potendo tale presunzione consistere in una congettura, o meglio in “una mera supposizione”, ciò che si verifica, appunto, quando la presunzione si fondi “su fatti incerti” e venga “dedotta da questi in via di semplice ipotesi”; in altri termini occorre che “il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto del ricorso alle “praesumptiones de praesumpto”” (cosi, con riferimento ai danni da emotrasfusione, Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno 2019, n. 17421, Rv. 654353-01; in senso analogo, tra le più recenti, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 marzo 2022, n. 10190, Rv. 664459-01).
Tali principi, dunque, debbono trovare applicazione anche nell’ipotesi che occupa, con conseguente accoglimento del ricorso e cassazione della sentenza impugnata.
10. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, per la decisione nel merito (oltre che per la liquidazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità), alla stregua del seguente principio di diritto:
“il termine di prescrizione del credito risarcitorio relativo ai danni, subiti nella fase di vita prenatale a causa dell’assunzione di farmaci ad effetti teratogeni da parte della gestante, decorre, di regola, dalla presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo di cui all’art. 1 della legge 29 ottobre 2005, n. 229, salvo prova, di cui è onerato il convenuto, da fornirsi anche in via presuntiva, che la consapevolezza, in capo al danneggiato, del nesso causale tra l’assunzione del farmaco e la propria condizione di disabilita e/o menomazione non sia maturata in epoca anteriore”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
Conclusione
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi l’11 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2024.