Tribunale di Roma, Giudice Dr.ssa Amelia Pellettieri, Sentenza n. 5472/2022, pubb. il 11/04/2022 (RG n. 74389/2018)
IL PASSO SALIENTE SENTENZA
“L’obbligazione del professionista è una obbligazione di mezzi non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni in tanto è ravvisabile in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (Cass. Civ. sent. 6967/2006).
In altri termini la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni difettando altrimenti la prova del nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone (Cass. Civ. 2638/2013; Cass. ord. 2072/2022 secondo la quale in caso di omissione colpevole, il difensore risponde dei danni subiti dal proprio ex cliente, qualora, sulla base di una valutazione controfattuale, sia molto probabile che i danni sarebbero stati evitati in assenza della condotta omissiva).”
In sostanza, non è sufficiente provare il non corretto adempimento dei doveri professionali del legale per ottenere un risarcimento in quanto occorre oltremodo dimostrare che, alla stregua dei criteri probabilistici, se il legale non avesse commesso errori il giudizio avrebbe avuto un esito diverso per la parte.
Spetta tuttavia al cliente l’onere di provare che una corretta conduzione dell’incarico professionale avrebbe determinato, con buona probabilità, un risultato favorevole.
Secondo il Giudice capitolino tuttavia, “nulla dall’attore è stato allegato in termini di probabile fondatezza della domanda risarcitoria” e, conseguentemente, la domanda attorea veniva inevitabilmente rigettata.
LA SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
TREDICESIMA SEZIONE CIVILE
Il Giudice Unico Dott.ssa Amelia Pellettieri nella causa N.R.G. 74389/2018 pervenuta all’udienza del 4 novembre 2021, per la spedizione a sentenza, vertente tra: [omissis], difeso giusta delega in atti dall’ Avv. M.,
ATTORE
E
Avv.ti [omissis] e [omissis]
difesi giusta delega in atti dall’Avv. [omissis]
CONVENUTI
Nonché
[omissis] difesa giusta delega in atti dall’Avv. F. [omissis]
TERZO CHIAMATO su istanza del convenuto [omissis]
OGGETTO: responsabilità professionale dell’avvocato – ricorso per cassazione tardivamente proposto – azione risarcitoria ex art. 1176 comma 2 c.c.
CONCLUSIONI: come precisate all’udienza del 4 novembre 2021 con note di trattazione scritta.
Ha pronunciato
SENTENZA
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via pregiudiziale si precisa che la presente sentenza viene redatta secondo lo schema contenutistico delineato dagli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., come modificato dalla legge 69/2009, e quindi con omissione dello svolgimento del processo ed espressione succinta delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; si premette la conoscenza dell’atto di citazione della comparsa di costituzione e risposta dei convenuti e del terzo chiamato, delle memorie autorizzate nonché di tutti gli atti e documenti di causa che in questa sede integralmente si richiamano.
[omissis] premettendo di avere adito il Tribunale di Roma – Sezione Lavoro nel 2012 per far dichiarare la illegittimità del proprio trasferimento a Torino; che il Tribunale rigettava la domanda; che, proposto appello, la Corte di Appello di Roma con sentenza del 16 giugno 2016, ribaltando la decisione di primo grado, dichiarava illegittimo il trasferimento del lavoratore, odierno attore, ma ometteva di valutare la domanda di risarcimento del danno pur proposta dal [omissis]; che esso attore, a ministero degli Avv.ti [omissis] e [omissis] ricorreva per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello, nella parte in cui non aveva valutato la domanda risarcitoria; che la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso in quanto tardivamente notificato oltre il termine semestrale; che in particolare, a fronte della sentenza della Corte di Appello depositata il 16 giugno 2016 – il ricorso andava notificato entro il 16 dicembre 2016, non operando in materia di lavoro la sospensione processuale dei termini nel periodo feriale, laddove il ricorso veniva notificato il 23 dicembre 2016, e cioè oltre il termine semestrale; che era configurabile, in diritto la responsabilità degli Avvocati [omissis] e [omissis] per avere tardivamente proposto ricorso per cassazione, in considerazione “della ragionevole certezza che gli effetti della diversa attività (notifica tempestiva del ricorso) avrebbero determinato l’esito vittorioso del giudizio innanzi alla Suprema Corte di Cassazione… “(pag. 6 atto di citazione); tanto premesso, ha evocato in giudizio gli Avv.ti [omissis] e [omissis] chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla condotta negligentemente tenuta dai due professionisti, come sopra enucleata, e quantificati in € 44.092,37, oltre accessori. I professionisti, costituiti a ministero di un unico difensore, in via preliminare hanno eccepito la improcedibilità della domanda per non essere stati preventivamente invitati alla stipula di convenzione di negoziazione assistita; nel merito hanno contestato la domanda risarcitoria, sia nell’an che nel quantum, deducendo in particolare che il mandato era stato loro conferito in data 20 dicembre 2016, quando era già scaduto il termine semestrale per ricorrere in cassazione; che inoltre, nessuna prova era stata offerta dall’attore circa il giudizio prognostico o controfattuale, non avendo l’attore allegato e dimostrato, che se fosse stata tenuta da parte di essi convenuti la condotta diligente omessa, avrebbe vinto il ricorso per cassazione; il solo convenuto [omissis] ha chiesto di essere autorizzato alla chiamata in causa della [omissis] S.p.a. ha con la quale aveva stipulato polizza per i rischi derivanti dalla responsabilità professionale di avvocato, onde essere da quest’ultima manlevato in caso di accoglimento della domanda risarcitoria; entrambi i convenuti hanno concluso per il rigetto della domanda.
La [omissis] s.p.a. si è associata nel merito alle tesi difensive prospettate dal proprio assicurato.
In sede di memoria di precisazione della domanda parte attrice ha esteso la domanda risarcitoria nei confronti di [omissis]: in riferimento a detta estensione la [omissis] ha dichiarato e ribadito in tutti i suoi scritti di non accettare il contraddittorio, non avendo l’attore azione diretta nei confronti dell’assicuratore nella materia della responsabilità professionale dell’avvocato.
Tanto premesso in fatto, va anzitutto affermata la procedibilità della domanda avendo parte attrice prodotto invito alla stipula di convenzione di negoziazione assistita rivolto agli odierni convenuti e conclusosi con esito negativo (cfr. verbale di udienza del 9.9.2019).
Ciò posto, devesi ora valutare il merito della domanda valutazione che non può prescindere dall’inquadramento normativo della responsabilità dell’avvocato, quale esercente una professione intellettuale.
La norma di riferimento inserita nella disciplina dettata in tema di adempimento delle obbligazione è l’art. 1176 comma 2 c.c.: “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata“.
Mentre per l’adempimento delle obbligazioni in generale il comma 1 della citata disposizione richiede al debitore la diligenza del buon padre di famiglia, per l’adempimento delle obbligazioni derivanti dall’esercizio di una professione intellettuale il grado di diligenza richiesto è connaturato al tipo di attività in concreto esercitata.
La giurisprudenza di legittimità, con orientamento pressoché granitico e dal Tribunale condiviso, ha chiarito, in relazione alla individuazione del grado di diligenza richiesto al professionista, che le obbligazioni inerenti all’esercizio di attività professionale, sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo; pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176 comma 2 c.c., che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione (Cass. 18612/2013; 10454/2002; 6967/2006).
L’obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176 comma 2 e 2236 c.c. impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole. A tal fine incombe su di lui l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta, dovendo ritenersi, al riguardo, insufficiente il rilascio da parte del cliente della procura necessaria all’esercizio dello ius postulandi, attesa la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sulla opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio (Cass. Civ. 19520/2019; 24544/2009; 14597/2004).
Va inoltre evidenziato che se, come sopra chiarito, l’obbligazione del professionista è una obbligazione di mezzi non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni in tanto è ravvisabile in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (Cass. Civ. sent. 6967/2006).
In altri termini la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni difettando altrimenti la prova del nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone (Cass. Civ. 2638/2013; Cass. ord. 2072/2022 secondo la quale in caso di omissione colpevole, il difensore risponde dei danni subiti dal proprio ex cliente, qualora, sulla base di una valutazione controfattuale, sia molto probabile che i danni sarebbero stati evitati in assenza della condotta omissiva).
Applicando i principi giurisprudenziali di cui sopra al caso di specie e valutate le risultanze istruttorie di natura esclusivamente documentale, si osserva in primo luogo che l’attore ebbe a conferire mandato ai professionisti convenuti in data 20 dicembre 2016, ossia in epoca indubbiamente successiva alla scadenza del termine (semestrale) per proporre ricorso per cassazione.
Tale circostanza, che per i convenuti rivela l’assenza di negligenza nella attività professionale da costoro espletata (“… non può predicarsi l’inadempimento di una obbligazione che non poteva comunque essere adempiuta in quanto soggetta al rispetto di un termine che era già scaduto al momento di conferimento del mandato…”; pag. 2 comparsa di costituzione e risposta), non costituisce, a parere del Tribunale, espressione di un concorso del fatto colposo del danneggiato, ma rileva ai fini della valutazione dell’attività latu sensu di consiglio dell’avvocato.
Invero il fatto che il mandato sia stato conferito quando il termine per ricorrere in cassazione era già scaduto depone per il non diligente adempimento della attività di consiglio da parte del professionista nei confronti del proprio cliente che, essendo un profano della materia processualcivilistica, non è tenuto alla conoscenza dei termini per proporre le impugnazioni in materia civile: è invece l’avvocato a conoscere, anzi, a dover conoscere i termini per proporre le impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali; trattasi di nozioni fondamentali e basilari della procedura civile per reagire avverso provvedimenti del giudice che risultino latu sensu ingiusti.
È dunque evidente che nella fattispecie il dovere di consiglio non sia stato diligentemente espletato.
Come è del pari evidente che il ricorso per cassazione sia stato proposto oltre il termine semestrale previsto dalla legge.
La tardiva proposizione del ricorso per cassazione non vale tuttavia ad affermare la responsabilità del professionista in assenza di allegazione e dimostrazione del giudizio contro fattuale.
Nel caso in esame parte attrice ha dedotto unicamente la ragionevole certezza che il ricorso sarebbe stato accolto, ove fosse stato proposto nei termini.
Giova a questo punto evidenziare che quando anche il ricorso fosse stato accolto la Corte di Cassazione, in quanto giudice di legittimità con funzione nomofilattica, avrebbe solo potuto rilevare la omessa pronuncia da parte del giudice di appello sulla domanda risarcitoria del lavoratore; giammai avrebbe potuto provvedere a liquidare il danno in suo favore, dovendo invece rimettere la causa ad altro giudice (di grado pari a quello che ebbe a pronunciare la sentenza impugnata), a norma dell’art. 383 c.p.c., per la valutazione da parte di quest’ultimo, in quanto giudice di merito, della sussistenza dei presupposti per far luogo all’accoglimento della domanda risarcitoria, valutazione che implica un accertamento in fatto, notoriamente precluso al giudice di legittimità.
Nulla dall’attore è stato allegato in termini di probabile fondatezza della domanda risarcitoria da parte di altra sezione della Corte di Appello di Roma, a seguito di rimessione ex art. 383 c.p.c..
Per le argomentazioni che precedono la domanda va inevitabilmente rigettata.
Quanto alla regolamentazione delle spese di causa nel rapporto processuale attore – convenuti le stesse seguono la soccombenza a norma dell’art. 91 c.p.c. con liquidazione ex D.M. 55/2014 (scaglione da € 26.001,00 ad € 52.000,00, valori medi, avuto riguardo alla somma richiesta a titolo di risarcimento e alle quattro fasi del giudizio), anche tenuto conto del fatto che l’attore ebbe a rifiutare l’offerta formulata dai convenuti in corso di causa del pagamento della somma di € 5036,42, pari alle spese sostenute dall’attore per il ricorso per cassazione poi dichiarato inammissibile (cfr. verb. ud. 11.11.2019); l’attore deve poi rifondere i convenuti del contributo unificato per la chiamata del terzo, chiamata che ha avuto origine e trae fondamento proprio dalla domanda attorea.
In riferimento infine alla posizione della Compagnia, chiamata in manleva, le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia vanno poste a carico dell’attore, ossia della parte che rimasta soccombente, ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia trovando detta statuizione fondamento nel principio di causalità che governa la regolamentazione delle spese processuali, salva l’ipotesi di arbitraria ed evidentemente infondata chiamata in causa da parte del chiamante (Cass. Civ. 23123/2019; 31889/2019); liquidazione ai sensi del D.M. 55/2014 con gli stessi parametri già sopra enunciati.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, così provvede:
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rigetta la domanda;
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condanna l’attore alla refusione delle spese di causa in favore dei convenuti che si liquidano in € 518,00 per contributo unificato per la chiamata in causa del terzo; € 7254,00 per compenso ex D.M. 55/2014; rimb. forf. sp. gen., IVA e CPA come per legge;
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condanna l’attore alla refusione delle spese di lite sostenute dal terzo chiamato, che si liquidano in € 7254,00 per compenso ex D.M. 55/2014; rimb. forf. sp. gen., IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma 1’11 aprile 2022
Dott.ssa Amelia Pellettieri
Sentenza-N.R.2022-5472