L’art. 167 c.p.c. impone al convenuto l’onere di prendere posizione in modo specifico e non limitarsi a una generica contestazione del documento. Ne consegue che anche un semplice preventivo non contestato specificamente è prova. La contestazione, infatti, non deve essere generica, ma specifica.
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Mentre in passato la Suprema Corte (Cass. civ., sez. un., 23 gennaio 2002, n. 761) riteneva che il principio di non contestazione fosse limitato ai fatti principali (ossia costitutivi del diritto azionato) del processo (ivi compresi quelli posti dal convenuto alla base della domanda riconvenzionale), laddove in relazione ai fatti secondari (ossia dedotti in esclusiva funzione probatoria) il comportamento processuale inerte dovesse essere valorizzato solo come argomento di prova ex art. 116, co. 2, c.p.c., di recente sembra, invece, essersi affermato [dapprima in dottrina (PROTO PISANI, in Trattato di diritto privato (a cura di G. Iodice e P. Zatti), S. Patti, Le prove, Parte generale, Giuffrè, 2008) e poi in giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5356)] l’orientamento secondo cui il principio in esame va esteso altresì ai fatti secondari; d’altra parte, l’attuale art. 115, co. 1, c.p.c. non opera alcuna distinzione tra i due tipi di fatto. (cfr. pag. 32 mio libro). Per essere rilevante sul piano probatorio, la non contestazione deve riguardare fatti storici, e non già la qualificazione giuridica degli stessi o l’applicazione di norme giuridiche, essendo queste ultime attività ermeneutiche riservate al giudice (cfr. A. Penta, in Le prove nel processo civile, pag. 27, Giuffrè, 2020).
I fatti non specificamente contestati dalla parte costituita non hanno bisogno di essere provati, con la conseguenza che ad essi non si applica la regola sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). Questa regola iuris è vincolante per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato. Una eventuale prova articolata per dimostrare fatti pacifici dovrebbe essere dichiarata irrilevante. (Cfr. Penta, cit., pag. 24).
La contestazione deve essere puntuale e circostanziata e, dunque, “specifica” (tale non è, all’evidenza, un’affermazione apodittica del tipo “contesto in fatto ed in diritto l’avversa domanda”; cfr. Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5356); peraltro, affinchè scatti l’onere di contestazione, è necessario, da un lato, che la parte avversa abbia nitidamente allegato i fatti costitutivi o a fondamento delle eccezioni e, dall’altro lato, che i fatti (o le situazioni) siano riferibili alla parte destinataria dell’allegazione in quanto rientranti nella sua sfera di controllo e di conoscenza (cfr. Penta, cit. pag. 29).
IL PASSO SALIENTE DELL’ORDINANZA
La violazione dell’onere, imposto al convenuto (art. 167 c.p.c.) di prendere posizione in maniera specifica e non limitarsi ad una generica contestazione, ha come conseguenza che non solo l’attore viene esonerato dalla prova del fatto non contestato, ma che non è ammessa una contestazione specifica successiva, ossia fuori termine (Cass. 22701/2017).
Cassazione civile, Sez. VI – 3, Ordinanza del 03-12-2020, n. 27624
(Presidente Dott. A. AMENDOLA – Relatore Dott. G. CRICENTI)
L’ORDINANZA
Svolgimento del processo
La società ricorrente, “xxx sas” è proprietaria di un autocarro Iveco, che ha riportato danni alla parte superiore mentre, condotto da un dipendente, cercava di passare sotto un ponte che si trovava su strada del Comune di Trebisacce.
Secondo la ricorrente il Comune non aveva segnalato l’altezza del ponte, circostanza che ha impedito al conducente di valutare gli spazi adeguatamente, con la conseguenza che il veicolo ha subito danni alla parte superiore, per un ammontare di circa 12 mila Euro, come da preventivo e da fattura allegate.
La società ha agito quindi contro il Comune di Trebisacce, il quale si è difeso sostenendo, da un lato, di non avere alcun obbligo di segnalare l’altezza; in secondo luogo attribuendo tutta o parte della responsabilità al conducente del veicolo che avrebbe cercato di passare sotto al ponte ad una velocità eccessiva.
Il Tribunale di Castrovillari ha accolto la domanda riconoscendo una cifra di poco inferiore a quella portata dal preventivo.
Il Comune di Trebisacce ha proposto appello, proponendo un motivo sull’an, ed uno sulla prova dell’ammontare del danno, quest’ultimo accolto dalla corte di secondo grado.
La società “xxx sas” propone due motivi di impugnazione, cui resiste con controricorso il Comune di Trebisacce che deposita memorie.
Motivi della decisione
1.- La ratio della decisione impugnata.
La corte di appello, pur avendo due motivi di impugnazione, uno sulla responsabilità del Comune e l’altro sull’ammontare del danno, accoglie solo quest’ultimo, dando, si ritiene, per assorbito il primo.
E lo accoglie ritenendo insufficiente la prova fornita dalla società ricorrente, non potendo considerarsi utile, a tale fine il preventivo, che peraltro viene ritenuto illeggibile, nè del tutto conferente la prova testimoniale.
2.- La società ricorrente contesta questa ratio con due motivi.
Con il primo motivo assume violazione degli artt. 342 c.p.c., oltre che artt. 112, 115 e 116 c.p.c..
Il senso del motivo è il seguente: secondo la ricorrente, il Comune in primo grado non ha contestato in modo specifico l’ammontare del danno, essendosi limitato alla perentoria affermazione che la richiesta di risarcimento era eccessiva, ed anzi, avendo mostrato acquiescenza a quella pretesa, ossia alla indicazione dell’ammontare, con la conseguenza che la contestazione del quantum non poteva più essere riproposta come motivo di appello, sul quale invece erroneamente ha deciso la corte di secondo grado.
3.- Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 115 c.p.c. e 2697 c.-c. per avere la corte fondato il suo giudizio in tanto solo sul preventivo, mentre altre prove del quantum erano state offerte, sia quella testimoniale che una fattura; e per essere incorsa in errore percettivo ritenendo non leggibile il preventivo che invece era chiaro.
Il ricorso è fondato.
Il primo motivo postula che una contestazione solo generica ed anzi contraddittoria in primo grado comporti una acquiescenza che non può essere poi messa in discussione con l’appello.
La violazione dell’onere, imposto al convenuto (art. 167 c.p.c.) di prendere posizione in maniera specifica e non limitarsi ad una generica contestazione, ha come conseguenza che non solo l’attore viene esonerato dalla prova del fatto non contestato, ma che non è ammessa una contestazione specifica successiva, ossia fuori termine (Cass. 22701/2017).
Il Comune di Trebisacce in effetti non ha svolto una contestazione specifica dell’ammontare del risarcimento richiesto; anzi, negli atti difensivi del primo grado ha ritenuto che la responsabilità del conducente, per velocità eccessiva, si poteva dedurre dall’entità dei danni riportati dal veicolo, con ciò ammettendo che tali danni erano, per l’appunto, ingenti. Infine, con il controricorso il Comune di Trebisacce ammette in un certo senso di non aver fatto una specifica contestazione del quantum perchè non era tenuto a farla, nel senso che, poichè la prova che l’attore adduceva era un preventivo, e poichè il preventivo non è prova, ciò rendeva superfluo contestarlo.
Il Comune di Trebisacce richiama (p. 4 del controricorso) a sostegno di questa sua tesi Cass. 11765/2013 che ha ritenuto sussistere l’onere di specifica contestazione solo se il documento da contestare è giuridicamente esistente: si trattava di fotocopie non firmate ed incomplete nel contenuto.
Ovviamente non è una tesi che si possa accogliere, in quanto altro è il documento che giuridicamente non è tale (cioè non ha gli elementi per potersi considerare documento, e, come si è verificato nel precedente citato, tale deve ritenersi una fotocopia incompleta di un atto non sottoscritto), altro è invece il documento che è formalmente e giuridicamente tale, ma della cui efficacia probatoria si discute; il convenuto non ha l’onere di prendere specifica posizione su documenti che non hanno i requisiti minimi per essere considerati tali, condizione questa che precede quella del loro valore probatorio, attenendo alla loro stessa natura giuridica di documenti; ha invece l’onere di contestazione specifica di documenti che sono giuridicamente tali (il preventivo in originale completo di ogni elemento identificativo, lo è), e di cui si tratta di valutare l’efficacia probatoria. In questo caso la contestazione è necessaria proprio perchè, dando per scontato che il documento è giuridicamente tale, ossia ha i requisiti per considerarsi documento, l’unica cosa di cui si discute è se sia atto sufficiente a fare da prova di un fatto.
Dunque, si può concludere nel senso che una contestazione specifica non è stata fatta in primo grado, dove anzi, il Comune ha ritenuto che il danno fosse ingente, usando questo dato per dedurne l’eccessiva velocità del mezzo, con ciò non adeguatamente contestando l’allegazione di parte avversa.
Inoltre, ed è ciò che rileva maggiormente, la corte aveva a disposizione ai fini della valutazione delle prove una serie di indizi, dal preventivo alla richiesta prova testimoniale, che avrebbe dovuto, ai fini del quantum valutare anche unitamente al comportamento della controparte, ai fini della quantificazione dell’ammontare.
Invece ha ritenuto apoditticamente insufficiente il quadro probatorio, pur in presenza di elementi che avrebbero potuto consentire una stima, essendo peraltro la responsabilità del Comune non in discussione.
Il secondo motivo può dunque ritenersi assorbito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020