Dall’art. 1755 cod. civ. deriva che i soggetti intermediati, aderendo al contratto di mediazione, non assumono alcun obbligo di pagare la provvigione quale diretto corrispettivo dell’attività posta in essere dal mediatore a loro vantaggio, se non al momento della conclusione dell’affare
I PRINCIPI ENUNCIATI DALLA CORTE
Il diritto alla provvigione del mediatore, ai sensi dell’art. 1755 cod. civ., è strettamente connesso alla conclusione dell’affare, intesa come costituzione di un vincolo giuridico che abiliti le parti ad agire per l’esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato.
E’ abusiva e, quindi, inefficace, la clausola che prevede la maturazione del diritto alla provvigione in una fase non corrispondente alla conclusione dell’affare in quanto determina un significativo “squilibrio normativo” (ex art. 33, comma 1, Codice del consumo) che stravolge il fondamento causale dell’operazione economico-giuridica posta in essere dalle parti.
IL PASSO SALIENTE DELLA SENTENZA
[…] Essendo stato mantenuto l’importo della provvigione anche nella sentenza di secondo grado, nonostante la riqualificazione della proposta accettata come contratto preliminare solo da riprodurre formalmente in un unico atto, nella misura convenzionale stabilita nel riconoscimento provvigionale, che faceva scattare il diritto alla provvigione alla comunicazione dell’accettazione della proposta di acquisto irrevocabile dei proprietari al proponente da parte dell’agenzia prima ancora della conclusione del contratto preliminare, anche in ragione della mancata proposizione di appello incidentale della DOMUS Srl volto ad ottenere la provvigione ex art. 1755 cod. civ., la clausola contenuta nel riconoscimento provvigionale doveva essere considerata nulla (e quindi non apposta, per nullità parziale di protezione ex art. 36, comma 1, Codice del consumo), in quanto determinante un significativo “squilibrio normativo” (ex art. 33, comma 1, Codice del consumo), laddove prevedeva la maturazione del diritto alla provvigione in una fase non corrispondente alla conclusione dell’affare (nell’interpretazione della giurisprudenza consolidata sopra richiamata), così stravolgendo il fondamento causale dell’operazione economico-giuridica posta in essere dalle parti. È stato già stabilito da questa Corte che la clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche nel caso di mancata conclusione dell’affare per fatto imputabile al venditore può presumersi vessatoria, e quindi inefficace a norma dell’art. 1469-bis cod. civ. (norma applicabile ratione temporis al caso ivi esaminato), se le parti non abbiano espressamente pattuito un meccanismo di adeguamento di tale importo all’attività sino a quel momento concretamente espletata dal mediatore (Cass. 3.11.2010 n. 22357 del 3.11.2010). Tale pronuncia ha introdotto un “principio di gradualità”, la cui ratio va ravvisata nell’esigenza di garantire, nei contratti a prestazioni corrispettive come il contratto di mediazione “atipica” in esame, il rispetto del sinallagma contrattuale, dovendo trovare la prestazione di una parte il proprio fondamento nella controprestazione dell’altra parte, al fine di evitare il ricorrere di situazioni di indebito arricchimento ai danni del contraente debole del negozio perfezionato. Come argomentato nella citata sentenza, il compenso del mediatore, in caso di mancata conclusione dell’affare, trova giustificazione nello svolgimento di una concreta attività di ricerca di terzi interessati, attraverso la predisposizione dei propri mezzi e della propria organizzazione (Cass. 8.9.2020 n. 19656). L’accertamento relativo all’abusività della clausola va svolto anche nell’ipotesi in cui sia prevista l’anticipazione della maturazione del diritto alla provvigione, al fine di evitare che il diritto al compenso possa essere fissato in misura indipendente dal tempo e dall’attività svolta dal mediatore. Ciò in conformità con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea secondo la quale l’art. 3, par. 1, della direttiva 93/13/CEE (corrispondente al nostro art. 33, comma 1, Codice del consumo) dev’essere interpretato nel senso che la nozione di “significativo squilibrio” a danno del consumatore deve essere valutata mediante un’analisi delle disposizioni nazionali applicabili in mancanza di un accordo tra le parti, onde appurare se, ed eventualmente in che misura, il contratto collochi il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dal vigente diritto nazionale (Corte di Giustizia Europea, C-415/11, Mohammed Aziz). Nel nostro caso, soccorre l’art. 1755 cod. civ., laddove fa coincidere la maturazione del diritto alla provvigione con la “conclusione dell’affare”, da interpretarsi nei termini e limiti sopra precisati. D’altra parte, aggiunge la Corte di Giustizia, per accertare se lo squilibrio sia creato “malgrado il requisito della buona fede”, occorre verificare d’ufficio se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo avrebbe aderito alla clausola in oggetto in seguito a negoziato individuale. La Corte d’Appello avrebbe quindi dovuto anche valutare se nell’ipotesi in cui la DOMUS Srl avesse reso edotto il A.A. della circostanza nota della necessità della B.B. di incassare una parte cospicua del prezzo entro il mese di febbraio 2007 per la sua esigenza di acquistare a breve un’altra abitazione a seguito della separazione dal marito, così riducendo il tempo disponibile per il A.A. per ottenere il mutuo bancario necessario all’acquisto dell’immobile, quest’ultimo avrebbe aderito alla clausola in questione, anziché basarsi su un preteso ripensamento del proponente successivo alla conclusione dell’affare. […]
LA SENTENZA
Cassazione civile, Sez. II, sentenza del 04/10/2024, n. 26061
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere
Dott. PICARO Vincenzo – Relatore
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13553/2019 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 93, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA PALMA (Omissis), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALENTINA ROMAGNA (Omissis) per procura ara margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
DOMUS Srl, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA LARGO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA DI GIULIO (Omissis), che la rappresenta e difende per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 1056/2019 depositata il 13.2.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22.2.2024 dal Consigliere VINCENZO PICARO.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 13.10.2007 A.A. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma l’agenzia di intermediazione immobiliare DOMUS Srl e B.B. per ottenere la restituzione dell’importo di Euro 5.000,00, che aveva corrisposto tramite un assegno lasciato in deposito a garanzia della serietà dell’impegno assunto presso l’agenzia, insieme alla formulata proposta irrevocabile, in vista dell’acquisto dell’immobile di R, via (Omissis) con box e cantina, di proprietà di B.B. e C.C., al prezzo di Euro 530.000,00, in quanto l’affare non si era poi concluso.
Si costituiva in primo grado oltre alla B.B., la cui posizione non più rileva, la DOMUS Srl, che oltre a rilevare che l’assegno di Euro 5.000,00 era stato incassato dall’intestataria B.B. a seguito della comunicazione al A.A. da parte dell’agenzia d’intermediazione immobiliare dell’avvenuta accettazione della proposta irrevocabile di acquisto, determinante il perfezionamento tra le parti intermediate di un contratto preliminare di vendita dell’immobile, chiedeva in via riconvenzionale di accertare la conseguente maturazione in suo favore nei confronti di entrambe le parti del diritto al pagamento della provvigione di Euro 19.080,00.
Il Tribunale di Roma con la sentenza n. 9848/2011 riteneva che la proposta di acquisto irrevocabile del A.A., che era stata accompagnata dal deposito dell’assegno di Euro 5.000,00, accettata da B.B. e C.C., costituisse una mera puntuazione, e non un contratto preliminare, in quanto dopo l’accettazione la DOMUS Srl aveva comunicato alle parti la fissazione di una successiva data (12.2.2007) per la conclusione del contratto preliminare, posto che secondo la giurisprudenza prevalente all’epoca della Suprema Corte il preliminare di preliminare era ritenuto nullo per mancanza di causa, e considerato che le trattative tra le parti intermediate non erano sfociate nella conclusione dell’affare, condannava la sola B.B., che aveva incassato l’assegno, alla restituzione di Euro 5.000,00 in favore del A.A.
Nel contempo la sentenza di primo grado, poiché nell’atto di riconoscimento provvigionale il A.A. si era impegnato a corrispondere alla DOMUS Srl la provvigione pattuita, che sarebbe maturata a seguito della comunicazione di accettazione della proposta irrevocabile anche nel caso in cui poi l’affare non si fosse concluso per causa imputabile al proponente e sarebbe stata esigibile al momento della conclusione del contratto preliminare, pur non ritenendo applicabile l’art. 1755 cod. civ. (che subordina la maturazione della provvigione del mediatore alla conclusione dell’affare), condannava il A.A. al pagamento in favore della DOMUS Srl della provvigione pattuita di Euro19.080,00 oltre interessi, considerando derogabile l’art. 1755 cod. civ., condannava la B.B. al pagamento delle spese di lite per Euro 2.200,00 in favore del A.A., e quest’ultimo al pagamento delle spese di lite per Euro4.000,00 in favore della DOMUS Srl
Essendo intervenuto un accordo transattivo tra il A.A. e la B.B., la sentenza di primo grado veniva appellata dal solo A.A. nei confronti della DOMUS Srl, lamentando che il primo giudice, dopo avere ritenuto che le trattative si erano interrotte prima che l’affare fosse concluso e che quindi nessun diritto alla provvigione fosse sorto a favore della DOMUS Srl ex art. 1755 cod. civ., avesse comunque condannato il A.A. al pagamento della provvigione sulla base della pattuizione contenuta nel riconoscimento provvigionale, che faceva maturare il diritto alla provvigione già alla comunicazione dell’accettazione della proposta anche senza successiva conclusione dell’affare, pattuizione che violava la norma di ordine pubblico economico inderogabile dell’art. 1755 cod. civ., nonché gli articoli 1341 e 1342 cod. civ. e l’art. 33 lett. f) del D.Lgs. n. 206/2005.
L’appellante sosteneva poi che la provvigione non era dovuta, in quanto la DOMUS Srl, violando gli obblighi informativi a suo carico, aveva omesso di avvertire il A.A., che per l’acquisto dell’immobile doveva contrarre un mutuo bancario (con determinati tempi tecnici), del fatto che la B.B. aveva urgenza di incassare nel mese di febbraio 2007 parte del prezzo perché aveva già una data prossima fissata per l’acquisto di una nuova abitazione, necessaria per la separazione dal marito, pur essendo l’agenzia a conoscenza di tale circostanza.
L’appellante sosteneva, infine, che la provvigione della DOMUS Srl andava comunque ridotta rispetto a quanto pattuito, per tener conto dell’attività effettivamente svolta e della mancata conclusione dell’affare, e lamentava l’eccessività della condanna alle spese subita a favore della DOMUS Srl, rispetto alla condanna alle spese pronunciata in suo favore ed a carico della B.B., di importo molto inferiore.
In secondo grado la DOMUS Srl si limitava a chiedere il rigetto dell’appello del A.A., senza rimettere in discussione la sentenza di primo grado nella parte in cui, accogliendo la domanda del A.A. di condanna della B.B. alla restituzione dell’importo dell’assegno di Euro 5.000,00 dato in deposito, ed escludendo il diritto della DOMUS Srl alla provvigione ex art. 1755 cod. civ., aveva accertato che le trattative contrattuali fra le parti intermediate si erano interrotte prima che si addivenisse alla conclusione dell’affare (nella specie prima della firma del contratto preliminare), negando alla proposta di acquisto irrevocabile accettata la qualificazione giuridica di contratto preliminare.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 1056/2019 del 13.2.2019, rigettava l’appello del A.A., che condannava al pagamento delle spese processuali di secondo grado, modificando la motivazione della sentenza di primo grado.
In particolare l’impugnata sentenza riteneva che l’opera svolta dalla DOMUS Srl (raccolta della proposta di acquisto irrevocabile del A.A. del 4.1.2007 con assegno in deposito di Euro 5.000,00, accettazione della stessa da parte di B.B. e C.C. il 5.1.2007, comunicazione dell’accettazione al proponente con telegramma dell’8.1.2007) fosse stata l’antecedente necessario per la conclusione dell’affare, che la proposta accettata, contenendone tutti gli elementi essenziali, dovesse essere qualificata come vero e proprio contratto preliminare di vendita, che doveva solo essere formalizzato in un successivo atto il 12.2.2007, e che pertanto quale affare concluso avesse determinato l’insorgenza del diritto della DOMUS Srl alla provvigione in base al disposto dell’art. 1755 cod. civ.
La decisione impugnata respingeva poi l’eccezione di vessatorietà della clausola contenuta nel riconoscimento di provvigione, in quanto non alterava l’equilibrio tra le parti, limitandosi ad escludere che il mediatore potesse perdere il diritto alla provvigione in caso di ripensamento del proponente, respingeva l’eccezione di inadempimento dell’obbligo informativo del mediatore, in quanto il termine di stipulazione dell’atto di compravendita davanti al notaio (30.4.2007) era stato liberamente accettato dal A.A. con la sottoscrizione della proposta di acquisto il 4.1.2007, respingeva la richiesta di riduzione della provvigione per la mancata specificazione delle ragioni giustificative della richiesta medesima, confermando quindi l’importo dovuto all’agenzia secondo il riconoscimento provvigionale, respingeva per genericità la doglianza relativa alla condanna alle spese emessa a carico del A.A. in primo grado, per mancata contestazione di specifiche voci, e respingeva per irrilevanza le istanze istruttorie riproposte dall’appellante.
Avverso tale sentenza, notificata l’11.3.2019, ha proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato alla DOMUS Srl Il 19.4.2019, A.A., affidandosi a sei motivi, ed ha resistito la DOMUS Srl con controricorso notificato il 29.5.2019.
Depositata memoria ex art. 380-bis. 1 c.p.c. dal solo A.A., e fissata la causa per l’udienza camerale del 16.1.2023, con ordinanza interlocutoria del 16.2/23.7.2023 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo, per la fissazione in pubblica udienza, sulle questioni di diritto di particolare rilevanza poste dai primi due motivi di ricorso, rappresentate dalla definizione del rapporto fra giudicato e qualificazione giuridica data dal giudice all’azione, e dalla determinazione del concetto di conclusione dell’affare e di buona fede contrattuale nella sfera delle previsioni pattizie circa la provvigione, con connessa problematica dell’individuazione dei limiti dell’autonomia contrattuale nei rapporti di intermediazione.
La Procura Generale ha concluso per l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso, con assorbimento degli altri quattro.
A.A. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
La causa, previa assegnazione ad un nuovo relatore, è stata discussa e trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 22.2.2024.
Motivi della decisione
Col primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata perché si è pronunciata su un capo della sentenza di primo grado che non era stato fatto oggetto di specifica impugnazione.
Si duole il ricorrente che la Corte d’Appello di Roma, benché nessuna delle parti avesse investito tramite specifico motivo di appello principale, o incidentale, la questione della qualificazione giuridica da parte del Tribunale di Roma della proposta irrevocabile di acquisto del A.A. del 4.1.2007 accettata dai proprietari dell’immobile, B.B. e C.C., il 5.1.2007, come mera puntuazione, collocata nell’ambito delle trattative precontrattuali fra tali soggetti per la vendita dell’immobile di R, via (Omissis) con box e cantina, abbia ritenuto che la suddetta proposta accettata fosse da qualificare come vero e proprio contratto preliminare, e quindi come affare concluso, abilitante l’esercizio dell’azione ex art. 2932 cod. civ., peraltro continuando comunque a fondare il diritto della DOMUS Srl al pagamento della provvigione sulla previsione convenzionale del riconoscimento provvigionale e non sull’art. 1755 cod. civ.
Per verificare la fondatezza del primo motivo occorre prendere le mosse da alcuni consolidati principi fissati dalla Suprema Corte, di seguito riportati, in tema di limiti alla riqualificazione giuridica della fattispecie da parte del giudice di appello, di determinazione dell’estensione del giudicato anche alla qualificazione giuridica della fattispecie, quando la stessa sia stata fatta oggetto di discussione tra le parti, sia stata decisa e non impugnata e di individuazione dei limiti oggettivi del giudicato.
Anzitutto il giudice d’appello può dare al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella data dal giudice di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purché nell’ambito delle questioni riproposte col gravame e col limite di lasciare inalterati il “petitum” e la “causa petendi” e di non introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto (Cass. 15.5.2019 n. 12875; Cass. 26.6.2012 n. 10617; Cass. 23.2.2006 n. 4008), e tale potere di qualificazione giuridica spetta, del resto, anche al giudice di legittimità – il quale, salva l’ipotesi in cui la qualificazione della domanda od eccezione accolta dal primo giudice non debba intendersi coperta dal giudicato interno, non incorre nel vizio di extrapetizione.
Occorre poi ricordare che il giudicato non si forma (anche) sugli aspetti del rapporto che non abbiano costituito oggetto di accertamento effettivo, specifico e concreto (Cass. 10.10.2007 n. 21266), mentre l’efficacia preclusiva dell’accertamento si forma anche sulla qualificazione giuridica data all’azione dal giudice, quando essa abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito e la parte interessata abbia omesso di impugnarla (Cass. 28.12.2023 n. 36272; Cass. ord. 19.3.2018 n. 6716; Cass. 7.11.2005 n. 21490; Cass. 17.12.1993 n. 12499), per cui la parte che sia rimasta soccombente su di una questione preliminare qual è la qualificazione giuridica di un contratto, o di un accordo preliminare, rispetto all’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di adempiere, quando tale qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito -ha l’onere di proporre appello incidentale condizionato, pena il formarsi sulla questione preliminare del giudicato (cosiddetto giudicato implicito), che concerne anche gli accertamenti che costituiscono il presupposto logico – giuridico della decisione (Cass. ord. 19.3.2018 n. 6716; Cass. 23.9.2004 n. 19126).
Il giudicato si forma, infatti, anche sulla qualificazione giuridica data all’azione dal giudice, quando tale qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito e la parte interessata abbia omesso di impugnarla in appello (Cass. 12.6.2023 n. 16603; Cass. 7.8.1996 n. 7260; Cass. 17.12.1993 n. 12499; Cass. n. 11022/1991).
È poi opportuno rammentare, che nell’interpretazione della portata del giudicato, non si deve soltanto tenere conto della formula conclusiva in cui si riassume il contenuto precettivo della sentenza passata in giudicato, ma si deve individuare l’essenza e l’effettiva portata della decisione, ricavandola anche dalla motivazione e, quindi, altresì dal contenuto attribuito dalla sentenza alla domanda giudiziale (Cass. n. 21490/2005; Cass. 17.2.2000 n. 1773; Cass. sez. un. 17.3.1998 n. 2874; Cass. 27.4.1996 n. 3916).
Il ragionamento non può però limitarsi a considerare la possibilità in astratto che il giudicato si formi anche sulla qualificazione giuridica nei termini sopra riportati, perché in tema di limiti oggettivi del giudicato questa Corte ha ripetutamente affermato che il giudicato “interno” non si determina sul fatto, o sulla sua qualificazione giuridica, o sul suo effetto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. 7.3.2022 n. 7358; Cass. ord. 17.4.2019, n. 10760; Cass. sez. lav. ord. 8.10.2018, n. 24783; Cass. sez. lav. 4.2.2016, n. 2217; Cass. 19.3.2014, n. 6304, secondo cui la pronuncia, esplicita o implicita, sulla natura di un credito (nella specie, ritenuto di valore) non è idonea a determinare la formazione del giudicato interno sul punto, in quanto esso si forma solo su capi autonomi della sentenza, che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia, tali da integrare una decisione del tutto indipendente).
Tenendo conto di questi principi, occorre considerare che la sentenza di primo grado:
1) ha escluso espressamente la qualificazione della proposta irrevocabile di acquisto del A.A. del 4.1.2007, accettata dai proprietari dell’immobile, B.B. e C.C. il 5.1.2007, come contratto preliminare, perché valorizzando il telegramma della DOMUS Srl dell’8.1.2007, successivo alla comunicazione dell’accettazione, col quale era stata fissata una data successiva per la stipulazione del contratto preliminare, e considerando invalido il preliminare di preliminare, ha ritenuto che vi fosse stata solo una puntuazione e che le trattative per l’acquisto dell’immobile non si fossero concluse;
2) ha ritenuto coerentemente ed espressamente che l’affare non fosse stato concluso e che non fosse maturato il diritto alla provvigione della DOMUS Srl in base all’art. 1755 cod. civ.;
3) ha ritenuto coerentemente ed espressamente fondata la domanda del A.A. di condanna della B.B. alla restituzione della somma di Euro5.000,00, data in deposito all’agenzia d’intermediazione mediante un assegno, da consegnare alla B.B., che l’ha poi incassato, in vista dell’acquisto, in ragione della mancata conclusione dell’affare, con un capo di sentenza che non è stato impugnato per la sopravvenuta transazione tra il A.A. e la B.B., ma che è comunque dipendente dalla mancata conclusione, o conclusione dell’affare tra tali soggetti, quest’ultima costituente il presupposto della maturazione del diritto alla provvigione della DOMUS Srl contestato con l’appello del A.A.;
4) ha riconosciuto il diritto della DOMUS Srl a percepire la provvigione di Euro 19.080,00 oltre interessi dal A.A. per l’attività d’intermediazione immobiliare svolta, sulla base della pattuizione contenuta nel riconoscimento provvigionale firmato dal A.A., che prevedeva che il diritto maturasse a favore dell’agenzia a seguito della comunicazione al proponente dell’accettazione della proposta irrevocabile di acquisto, e fosse poi esigibile al momento della conclusione del contratto preliminare, anche nel caso di successivo ripensamento del proponente e quindi di mancata conclusione dell’affare.
Va però considerato che il A.A. ha proposto appello per vedere negato il diritto alla provvigione della DOMUS Srl che era stato riconosciuto sulla base della pattuizione del riconoscimento provvigionale, sia in quanto l’affare non era stato concluso per essere pervenute le trattative secondo la sentenza di primo grado solo ad una puntuazione e non ad un contratto preliminare, sia in quanto quella pattuizione era contraria alla norma inderogabile dell’art. 1755 cod. civ. che faceva sorgere il diritto alla provvigione solo in caso di conclusione dell’affare tra le parti intermediate, nonché contraria agli articoli 1341 e 1342 cod. civ. ed all’art. 33 lett. f) del D.Lgs. n. 206/2005, sia in quanto la DOMUS Srl era risultata inadempiente all’obbligo di informare il A.A. del fatto che la B.B. aveva urgenza di acquistare entro febbraio 2007 una cospicua parte del prezzo perché doveva procedere all’acquisto di un’altra abitazione a seguito della separazione dal marito, chiedendo in subordine la riduzione della provvigione riconosciuta per tener conto dell’attività effettivamente svolta dall’agenzia d’intermediazione, mentre la DOMUS Srl si è limitata a chiedere il rigetto dell’appello del A.A., senza proporre appello incidentale condizionato per vedersi riconosciuto il diritto alla provvigione ex art. 1755 cod. civ.
Ne deriva che, non potendosi scindere il fatto rappresentato dalla proposta di acquisto irrevocabile del A.A. accettata dai proprietari, qualificata giuridicamente in primo grado come puntuazione indicativa della mancata conclusione di un affare, e dal riconoscimento provvigionale sottoscritto dal A.A. a favore dell’agenzia DOMUS Srl, rispetto all’effetto giuridico dell’insorgenza quale effetto dell’attività d’intermediazione della DOMUS Srl del diritto della stessa nei confronti del A.A. alla provvigione nella misura convenzionalmente pattuita nel riconoscimento provvigionale determinata in Euro19.080,00, della quale il A.A. con l’appello ha contestato la debenza, e risultando dipendente sempre dalla questione della conclusione, o meno dell’affare rimessa in discussione, anche il capo della sentenza di primo grado relativo alla restituzione al A.A. da parte della B.B. dell’importo di Euro 5.000,00, dato con assegno in deposito dal A.A. all’agenzia d’intermediazione all’atto della sottoscrizione della proposta irrevocabile di acquisto, e destinato a trasformarsi in caso di accettazione in caparra confirmatoria con conseguente consegna dalla DOMUS Srl alla B.B., che ha poi incassato l’assegno, non può ritenersi intervenuto il giudicato interno sulla qualificazione giuridica della proposta irrevocabile di acquisto del A.A. accettata dalla B.B. come mera puntuazione, con conseguente mancata conclusione dell’affare intermediato, ostativa alla riqualificazione giuridica in secondo grado come vero e proprio contratto preliminare che doveva solo essere formalmente riprodotto, e con conseguente esclusione del diritto del mediatore DOMUS Srl al pagamento della provvigione. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1755 cod. civ. per non avere la Corte d’Appello considerato la natura inderogabile di quella norma di ordine pubblico economico, che faceva sorgere il diritto alla provvigione solo nei casi di conclusione dell’affare, individuati dalla giurisprudenza nelle ipotesi in cui si realizzi il trasferimento del bene, o in cui le parti in virtù dell’accordo raggiunto dispongano comunque di uno strumento (tipicamente l’azione ex art. 2932 cod. civ.) per ottenere coattivamente il trasferimento medesimo, e la vessatorietà ex artt. 1341 e 1342 cod. civ. ed ex art. 33 lettera f) del D.Lgs. n. 206/2005 della pattuizione contenuta nel riconoscimento provvigionale, che invece prevedeva la maturazione del diritto alla provvigione già per effetto della comunicazione dell’accettazione della proposta irrevocabile pur in ipotesi di mancata conclusione dell’affare per ripensamento sopravvenuto del sottoscrittore della proposta irrevocabile, anche se indicandolo come esigibile al momento della sottoscrizione del preliminare.
L’impugnata sentenza, pur avendo ritenuto intervenuta tra le parti con l’accettazione della proposta di acquisto irrevocabile del A.A. da parte della B.B. un vero e proprio contratto preliminare, che successivamente si sarebbe dovuto riprodurre in un unico atto, e non una semplice puntuazione, ha comunque confermato la spettanza all’agenzia di mediazione DOMUS Srl della provvigione nella misura stabilita nel riconoscimento provvigionale firmato dal A.A., che agganciava l’insorgenza del diritto alla provvigione alla comunicazione effettuata dall’agenzia al A.A. dell’accettazione della sua proposta di acquisto da parte dei proprietari dell’immobile pur indicando tale credito come esigibile solo alla conclusione del contratto preliminare, ed ha comunque escluso la vessatorietà della pattuizione sopra richiamata del riconoscimento provvigionale, in quanto ha ritenuto che la stessa non avesse provocato un netto squilibrio dei diritti e degli obblighi tra le parti, non avendo introdotto una limitazione della libertà del A.A. nella stipulazione del contratto, ma avendo inteso solo evitare che un ripensamento del proponente l’acquisto (come quello avvenuto da parte del A.A. il 19.2.2007 allorché aveva dichiarato di non poter più procedere all’acquisto) potesse esporre la mediatrice al rischio del mancato conseguimento del compenso pur avendo adempiuto all’incarico ricevuto.
Il secondo motivo è fondato, in quanto nel contratto di mediazione, il pagamento della provvigione ai sensi dell’art. 1755 cod. civ. è strettamente connesso alla conclusione dell’affare. La rilevanza causale della conclusione dell’affare, quale fondamento delle pretese di carattere patrimoniale del mediatore, del resto, emerge indirettamente anche dall’art. 1756 cod. civ., ai sensi del quale, salvo patti o usi contrari, il mediatore avrà diritto al rimborso delle spese nei confronti della persona per incarico della quale sono state eseguite, anche se l’affare non è stato concluso (Cass. 24.11.2020 n. 26682). Dall’art. 1755 cod. civ. deriva, allora, che i soggetti intermediati, aderendo al contratto di mediazione, non assumono alcun obbligo di pagare la provvigione quale diretto corrispettivo dell’attività posta in essere dal mediatore a loro vantaggio, se non al momento della conclusione dell’affare (vedi ex plurimis Cass. 11.4.2023 n. 9612; Cass. 5.10.2022 n. 28879; Cass. 19.11.2019 n. 30083).
Nella più recente giurisprudenza di questa Corte, partendo dalle affermazioni fatte da Cass. sez. un. n. 4628/2015, è stato affermato che al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 cod. civ., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Va, invece, escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dello stesso, come nel caso in cui sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un cd. “preliminare di preliminare”, costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., in caso di inadempimento. Tale ultimo negozio, pur essendo di per sé stesso valido ed efficace, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo, non legittima, tuttavia, la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell’accordo interlocutorio (Cass. 5.10.2022 n. 28879; Cass. n. 7781/2020 non massimata; Cass. 19.11.2019 n. 30083).
Essendo stato mantenuto l’importo della provvigione anche nella sentenza di secondo grado, nonostante la riqualificazione della proposta accettata come contratto preliminare solo da riprodurre formalmente in un unico atto, nella misura convenzionale stabilita nel riconoscimento provvigionale, che faceva scattare il diritto alla provvigione alla comunicazione dell’accettazione della proposta di acquisto irrevocabile dei proprietari al proponente da parte dell’agenzia prima ancora della conclusione del contratto preliminare, anche in ragione della mancata proposizione di appello incidentale della DOMUS Srl volto ad ottenere la provvigione ex art. 1755 cod. civ., la clausola contenuta nel riconoscimento provvigionale doveva essere considerata nulla (e quindi non apposta, per nullità parziale di protezione ex art. 36, comma 1, Codice del consumo), in quanto determinante un significativo “squilibrio normativo” (ex art. 33, comma 1, Codice del consumo), laddove prevedeva la maturazione del diritto alla provvigione in una fase non corrispondente alla conclusione dell’affare (nell’interpretazione della giurisprudenza consolidata sopra richiamata), così stravolgendo il fondamento causale dell’operazione economico-giuridica posta in essere dalle parti. È stato già stabilito da questa Corte che la clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche nel caso di mancata conclusione dell’affare per fatto imputabile al venditore può presumersi vessatoria, e quindi inefficace a norma dell’art. 1469-bis cod. civ. (norma applicabile ratione temporis al caso ivi esaminato), se le parti non abbiano espressamente pattuito un meccanismo di adeguamento di tale importo all’attività sino a quel momento concretamente espletata dal mediatore (Cass. 3.11.2010 n. 22357 del 3.11.2010). Tale pronuncia ha introdotto un “principio di gradualità”, la cui ratio va ravvisata nell’esigenza di garantire, nei contratti a prestazioni corrispettive come il contratto di mediazione “atipica” in esame, il rispetto del sinallagma contrattuale, dovendo trovare la prestazione di una parte il proprio fondamento nella controprestazione dell’altra parte, al fine di evitare il ricorrere di situazioni di indebito arricchimento ai danni del contraente debole del negozio perfezionato. Come argomentato nella citata sentenza, il compenso del mediatore, in caso di mancata conclusione dell’affare, trova giustificazione nello svolgimento di una concreta attività di ricerca di terzi interessati, attraverso la predisposizione dei propri mezzi e della propria organizzazione (Cass. 8.9.2020 n. 19656). L’accertamento relativo all’abusività della clausola va svolto anche nell’ipotesi in cui sia prevista l’anticipazione della maturazione del diritto alla provvigione, al fine di evitare che il diritto al compenso possa essere fissato in misura indipendente dal tempo e dall’attività svolta dal mediatore. Ciò in conformità con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea secondo la quale l’art. 3, par. 1, della direttiva 93/13/CEE (corrispondente al nostro art. 33, comma 1, Codice del consumo) dev’essere interpretato nel senso che la nozione di “significativo squilibrio” a danno del consumatore deve essere valutata mediante un’analisi delle disposizioni nazionali applicabili in mancanza di un accordo tra le parti, onde appurare se, ed eventualmente in che misura, il contratto collochi il consumatore in una situazione giuridica meno favorevole rispetto a quella prevista dal vigente diritto nazionale (Corte di Giustizia Europea, C-415/11, Mohammed Aziz). Nel nostro caso, soccorre l’art. 1755 cod. civ., laddove fa coincidere la maturazione del diritto alla provvigione con la “conclusione dell’affare”, da interpretarsi nei termini e limiti sopra precisati. D’altra parte, aggiunge la Corte di Giustizia, per accertare se lo squilibrio sia creato “malgrado il requisito della buona fede”, occorre verificare d’ufficio se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo avrebbe aderito alla clausola in oggetto in seguito a negoziato individuale. La Corte d’Appello avrebbe quindi dovuto anche valutare se nell’ipotesi in cui la DOMUS Srl avesse reso edotto il A.A. della circostanza nota della necessità della B.B. di incassare una parte cospicua del prezzo entro il mese di febbraio 2007 per la sua esigenza di acquistare a breve un’altra abitazione a seguito della separazione dal marito, così riducendo il tempo disponibile per il A.A. per ottenere il mutuo bancario necessario all’acquisto dell’immobile, quest’ultimo avrebbe aderito alla clausola in questione, anziché basarsi su un preteso ripensamento del proponente successivo alla conclusione dell’affare.
L’accoglimento del secondo motivo, che comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità, determina l’assorbimento dei seguenti altri quattro motivi fatti valere:
3) in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la Corte d’Appello di Roma rigettato, con motivazione meramente apparente, l’eccezione di violazione dell’obbligo di corretta informazione previsto dall’art. 1759 cod. civ. da parte della DOMUS Srl, per avere taciuto al A.A. la circostanza, ad essa perfettamente nota, dell’estrema urgenza dei proprietari di concludere la compravendita dell’immobile a causa della trattativa già in corso per l’acquisto di un altro immobile, argomentando che il termine fissato per la stipulazione dell’atto di compravendita davanti al notaio (30.4.2007) era stato liberamente accettato dal proponente l’acquisto con la sottoscrizione del relativo modulo il 4.1.2007;
4) in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 91 e 88 c.p.c. quanto alla regolamentazione delle spese processuali di primo grado;
5) in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1756 cod. civ. per avere la Corte d’Appello di Roma escluso la rideterminazione del compenso del mediatore in relazione all’attività svolta;
6) in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c. e la conseguente violazione del diritto di difesa del A.A. per non avere la Corte d’Appello ammesso i mezzi istruttori non ammessi in primo grado e dallo stesso riproposti con l’atto di appello.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, assorbiti gli altri motivi, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Conclusione
Così deciso nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2024.