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Diritto di Famiglia Separazione e Divorzio

Assegno divorzile: va considerato anche il lavoro svolto a favore dell’ex coniuge (Cass. 30537/24)

Fondamentale l’attività svolta dalla moglie nei confronti del marito durante la vita matrimoniale che non può essere considerata svolta a titolo gratuito avendo fornito un contributo personale ed economico alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge e di quello familiare

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

Nel giudizio di appello avverso la disposizione dell’assegno di divorzio, il giudice è tenuto a considerare il contributo personale ed economico fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e alla conduzione della vita coniugale, in conformità ai parametri stabiliti dall’art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970. L’esame deve essere effettuato alla luce di una comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti e non può limitarsi ad una valutazione astratta, senza tener conto delle concrete circostanze emerse dal processo.

IL PASSO SALIENTE

[…] Il giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. L’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente l’assegno va accertata considerando, in sintesi, che l’assegno divorzile è finalizzato a garantire un livello reddituale parametrato alle pregresse dinamiche familiari ed è perciò necessariamente collegato, secondo la composita declinazione delle sue tre componenti (assistenziale, perequativa e compensativa), alla storia coniugale e familiare. […]

L’ORDINANZA

Cassazione civile, Sez. I, Ordinanza del 27/11/2024, n. 30537

(Omissis)

Svolgimento del processo

A.A. e B.B., dopo ventisei anni di matrimonio, contratto nel 1983, da cui non sono nati figli, giungevano all’accordo di separazione consensuale, omologato il 12/01/2010 dal Tribunale di Treviso, in forza del quale: – l’abitazione coniugale sita in L (TV) di proprietà esclusiva della moglie è stata assegnata alla stessa; – il marito si è obbligato a corrispondere, in via anticipata entro il giorno dieci di ciascun mese, a titolo di concorso al mantenimento della moglie, l’assegno mensile di Euro 1.500,00, rivalutabile di anno in anno in base agli indici Istat; – il marito si è impegnato altresì a pagare quanto dovuto alla moglie per il rapporto di lavoro in essere con il suo studio tecnico.

Con ricorso notificato il 03/01/2019, B.B. chiedeva dichiararsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio e A.A., nel costituirsi, chiedeva, tra l’altro, l’attribuzione di un assegno divorzile a suo favore.

Pronunciata sentenza parziale sullo status, espletata l’istruttoria, compresa una CTU per accertare le consistenze economiche dello B.B., il Tribunale respingeva le richieste della A.A.

Quest’ultima proponeva appello contro tale decisione, affidato a otto motivi: con il primo motivo, l’appellante deduceva l’errata valutazione delle condizioni reddituali effettive e complessive dei coniugi, con violazione dei presupposti di cui all’art. 5 L. n. 898 del 1970; con il secondo motivo, lamentava il vizio di motivazione di cui all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., laddove la sentenza del Tribunale aveva aderito alle considerazioni del CTU, affermando che lo B.B. non era titolare di partecipazione in società estera, perché ciò non emergeva dal quadro RW del Modello Unico; con il terzo motivo, l’appellante eccepiva, sempre ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., il vizio di motivazione sulla richiesta istruttoria di integrazione della CTU (in ordine ad approfondimento circa la partecipazione dello B.B. nella società ungherese), lamentandone comunque la mancata ammissione; con il quarto motivo, l’appellante deduceva la carenza di motivazione sul rigetto di istanze di istruttoria orale; con il quinto e il sesto motivo, l’appellante chiedeva la riforma della pronuncia di primo grado con riguardo alla statuizione sulle spese di CTU e di giudizio; con il settimo motivo, l’appellante deduceva la violazione dell’art. 8 L. n. 898 del 1970, per non avere la sentenza provveduto sull’istanza di sequestro dei beni dello B.B. a garanzia delle spettanze dell’ex moglie; con l’ottavo motivo, lamentava la violazione dell’art. 40 c.p.c., quanto all’errata valutazione dell’inammissibilità della domanda di riconoscimento dei contributi previdenziali e di distrazione di quota del trattamento pensionistico dell’ex marito.

B.B. si costituiva chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

La Corte d’Appello, con la sentenza in questa sede impugnata, respingeva tutti i motivi di appello.

Sul primo motivo di gravame, la menzionata Corte, dopo avere effettuato una comparazione delle situazioni patrimoniali delle parti, riteneva che non emergesse uno squilibrio meritevole di perequazione.

Sul secondo motivo di gravame, la Corte di merito ribadiva che era stata effettuata una CTU completa ed esaustiva sulle condizioni economiche dello B.B. e, in ordine alla partecipazione dell’appellato nella società di diritto ungherese, era inammissibile per tardività la produzione reiterata in grado di appello della visura societaria offerta dall’appellante, già allegata alla richiesta di sequestro in corso di causa in primo grado (che, secondo la menzionata Corte, avrebbe dovuto essere offerta a prova diretta davanti al Tribunale con la prima memoria istruttoria ex art. 183, comma 6, c.p.c.). La medesima Corte aggiungeva, comunque, che risultava acquisito al processo che detta società, quale soggetto terzo pignorato dall’appellante, aveva reso la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. nella procedura esecutiva mobiliare n. 388/2021 del Tribunale di Vicenza, rappresentando un credito del citato B.B. pari a 30.252.366,38 fiorini ungheresi, assegnati alla A.A. a gennaio/maggio 2022 sino a concorrenza del credito azionato.

In ordine al terzo motivo di impugnazione, la Corte d’Appello affermava che la CTU contabile, unitamente alla documentazione di primo grado e ai documenti sopravvenuti, prodotti dall’appellato, permettevano una corretta analisi comparata delle disponibilità delle parti che non necessitava di chiarimenti ed integrazioni peritali.

In riferimento al quarto motivo di appello, la Corte riteneva non necessario dare corso ad ulteriore attività istruttoria orale, che non avrebbe potuto supplire a possibili carenze di documenti, aggiungendo, in ogni modo, che, per quanto riguardava le prestazioni di lavoro di un soggetto a favore del coniuge, si doveva tenere presente che in queste ipotesi opera una presunzione di gratuità, essendo tali prestazioni rese normalmente affectionis vel benevolentiae causa, con la conseguenza che, per superare questa presunzione, era necessario fornire la prova rigorosa (nel corretto ambito giudiziario) degli elementi tipici della subordinazione, tra i quali, soprattutto l’assoggettamento al potere direttivo-organizzativo altrui e l’onerosità, senza che nella specie vi fossero tempestive deduzioni e allegazioni in tal senso.

Sul quinto e sesto motivo di appello, la Corte dava rilievo alla soccombenza dell’appellante, evidenziando, con riguardo al settimo motivo, che il rigetto nel merito di tale domanda escludeva il fumus boni iuris in riferimento alla richiesta di sequestro dei beni dell’appellato.

Nel respingere l’ottavo motivo di appello, la Corte territoriale affermava che le domande, soggette a rito diverso, e dichiarate inammissibili, non erano connesse a quella di divorzio, bensì indipendenti e distinte.

Avverso tale decisione A.A. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a sette motivi di impugnazione.

L’intimato si è difeso con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970 per avere la Corte d’Appello omesso di considerare, senza motivazione ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. il contributo personale ed economico dato dalla donna alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge e di quello familiare, circostanza rilevante ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile in funzione compensativo-perequativa.

Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’Appello reso una motivazione viziata sulla censura riferita alla adesione del primo giudice alla valutazione del CTU (che aveva affermato che lo B.B. non risultava titolare di partecipazioni in società estera perché non emergente dal quadro RW del modello unico), limitandosi la Corte di merito ad affermare che la CTU era dettagliata ed esaustiva e a richiamare gli argomenti già spesi sulla tardività della produzione della visura camerale, senza pronunciarsi sulla rilevanza della dichiarazione allegata alla stessa CTU, quale documento 8, menzionato a p. 20 e 42 della relazione peritale, e sottintendente una relazione determinante – ai fini di causa – tra lo B.B. e la società ungherese ” Euro Buildings “, facendo, inoltre, riferimento al documento prodotto in appello dalla difesa B.B., consistente nella dichiarazione di tale società quale terzo pignorato nella procedura esecutiva promossa dalla ricorrente per ottenere il pagamento dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione, ove veniva indicato il credito dello B.B. nei confronti di detta società, che non era affatto pertinente alla censura formulata.

Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in merito alla mancata utilizzazione ai fini della decisione della visura camerale, ai fini della prova della partecipazione societaria di B.B., rilevante per la valutazione dei presupposti per la concessione dell’assegno divorzile, avendo il giudice di appello ritenuto la tardività della produzione documentale, mentre invece avrebbe dovuto tenere conto che tale documento, prodotto prima al n. 4 con la richiesta di adozione del provvedimento di sequestro in corso di causa e, poi, al n. 18 con la comparsa conclusionale di primo grado, per essere poi nuovamente prodotto con l’atto di appello, era stato offerto in conseguenza dell’acquisizione, nell’elaborato peritale, del documento 8 (dichiarazione della BIM Private Banking), a seguito dell’indagine privata effettuata dalla parte per sopperire alla carenza di indagine del CTU, a fronte di allegazioni della A.A. che, sin dall’atto di costituzione in primo grado, aveva affermato che lo B.B. era socio della menzionata società estera, che aveva acquistato nel 2000, in relazione alla quale aveva prodotto anche una visura immobiliare (p. 6 della comparsa di costituzione del 13/03/2019 e doc. 9 ad essa allegato).

Con il quarto motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in relazione alla partecipazione societaria dell’ex coniuge B.B. in società estera, tempestivamente dedotta dalla ricorrente in causa già nella memoria difensiva di costituzione in primo grado (p. 6 della memoria del 13/02/2019) e oggetto del richiesto, ma non disposto, accertamento peritale integrativo, volto all’approfondimento della dichiarazione raccolta proprio dal perito dell’ufficio dalla società BIM Fiduciaria, allegata all’elaborato quale documento numero 8 e richiamata a p. 20 dello stesso, ove si afferma, per il tramite della BIM Private Banking, che lo B.B. aveva in essere con la Fiduciaria un contratto di amministrazione senza intestazione fiduciaria, aperto nel 2009, avente ad oggetto il rimpatrio giuridico di somme a titolo di finanziamento soci verso la società ungherese ” Euro Buildings ” con mandato segretato.

Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la motivazione illogica sulla mancata disposizione dell’integrazione peritale sulla partecipazione societaria dello B.B. in società estera, dedotta in causa ai fini della statuizione dell’assegno divorzile, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., limitandosi la Corte di merito ad affermare che la perizia era aderente alla realtà e non necessitava di chiarimenti ed integrazioni peritali.

Con il sesto motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per essere la sentenza di prime cure carente di motivazione in ordine alla mancata ammissione delle richieste di prova orale, volte a confermare, oltre alla partecipazione societaria estera dello B.B., le disponibilità economiche da quest’ultimo conseguite grazie alla dedizione della moglie e all’utilizzo dei soldi comuni per gli acquisti di immobili e l’impiego, poi, nella partecipazione societaria estera con solo beneficio per lo B.B.

Con il settimo motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in relazione alla sussistenza delle condizioni per la concessione del provvedimento cautelare di sequestro per maturata sussistenza di un credito a titolo di mantenimento della ricorrente, senza tenere conto della sussistenza al momento del ricorso per sequestro del credito per non versati assegni di mantenimento sufficienti a giustificare la doverosa e dovuta concessione per il pregresso del vincolo richiesto.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato.

2.1. Com’è noto, l’art. 5, comma 6, L. n. 899 del 1970, stabilisce quanto segue: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.”

La giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 18287 dell’11/07/2018) ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

I criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono, pertanto, dal tenore di vita godibile o goduto durante il matrimonio (come, invece, avviene per l’assegno in favore del coniuge separato), dovendo il giudice procedere all’esame della presenza di redditi adeguati (e della possibilità di procurarseli) in base ai parametri di cui all’art. 5, comma 6, prima parte, L. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita, assistenziale e perequativo-compensativa, di detto assegno (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 32398 del 11/12/2019).

Il giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

L’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente l’assegno va accertata considerando, in sintesi, che l’assegno divorzile è finalizzato a garantire un livello reddituale parametrato alle pregresse dinamiche familiari ed è perciò necessariamente collegato, secondo la composita declinazione delle sue tre componenti (assistenziale, perequativa e compensativa), alla storia coniugale e familiare (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5055 del 24/02/2021, in motivazione).

2.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha dato atto delle emergenze relative alla storia lavorativa della ricorrente, evidenziando quanto segue: “Nella fattispecie concreta, dalla pronuncia di I Grado, senza che il relativo capo sia stato motivo di doglianza e di censura, si evince che A.A., al tempo della celebrazione del matrimonio (da cui non sono nati figli) risalente al 1983 nonché fino al 1988, ha svolto attività lavorativa a tempo pieno alle dipendenze di terzi; a partire dall’anno 2000, ha iniziato a lavorare part. time (v. estratto conto previdenziale quale documento 5 fascicolo I Grado B.B.) e nel contempo ha collaborato presso lo studio professionale del marito geometra, svolgendo mansioni di segretaria/impiegata (v. testi Astuni Roberto e A.A. Ermenegildo sentiti all’udienza dell’1.10.2020). Attualmente l’appellante è impiegata amministrativa part. time presso lo Studio Logos Srl di B (VI) dove lavora dal 2007 e conduce in locazione un immobile pagando un canone mensile di Euro 400,00…”.

Ma poi, dopo aver descritto le consistenze reddituali e patrimoniali della ricorrente, la medesima Corte è passata subito ad operare la valutazione di adeguatezza dei mezzi di quest’ultima, in base ad un criterio del tutto astratto (p. 8 della sentenza impugnata), senza tenere conto, come avrebbe dovuto, dei criteri sopra menzionati, forniti dall’ art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970, ed in particolare del contributo dalla stessa dato alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge per una significativa parte del tempo della lunga vita coniugale, che pure aveva acquisito al processo.

3. Il secondo e il quinto motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente stante la intima connessione logica esistente, risultano fondati.

3.1. Questa Corte ha evidenziato che, nel giudizio d’appello è ammissibile la richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, ove si contestino le valutazioni tecniche del consulente fatte proprie dal giudice di primo grado, poiché non viene chiesta l’ammissione di un nuovo mezzo di prova. Il giudice, peraltro, se non ha l’obbligo di motivare il diniego, che può essere anche implicito, è tenuto a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall’appellante avverso le valutazioni di ugual natura contenute nella sentenza impugnata, sicché l’omesso espresso rigetto dell’istanza di rinnovazione non integra un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ma, eventualmente, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure tecniche alla sentenza impugnata (Cass, Sez. 2, Ordinanza n. 26709 del 24/11/2020; Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 5339 del 18/03/2015).

Allo stesso modo, questa stessa Corte ha ritenuto che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 21525 del 20/08/2019; Cass., Sez. 6 – L, Ordinanza n. 2103 del 24/01/2019).

In effetti, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente. Ben diversa è tuttavia l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate. In tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio di motivazione è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15147 del 11/06/2018).

D’altronde, l’omessa valutazione da parte del giudice di merito dei rilievi tecnici mossi alla CTU è deducibile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., se la motivazione, pur aderendo alle conclusioni rassegnate dal consulente d’ufficio, omette qualsivoglia menzione delle osservazioni a quelle svolte, non consentendo di comprendere il percorso logico-giuridico che ha portato alla decisione (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 9925 del 12/04/2024).

3.2. Com’è noto, in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. (introdotta nel 2012), non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. “per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ma soltanto “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).

A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).

Questa Corte ha, in particolare, affermato che il vizio di motivazione previsto dall’ art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020).

Ricorre, dunque, il vizio in questione, quando la decisione, benché graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).

Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia meramente assertiva, ma anche qualora sussista un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 12096 del 17/05/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018).

Alle stesse conseguenze è assoggettata una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, poiché anche in questo caso non è possibile comprendere il ragionamento seguito dal giudice e, conseguentemente, effettuare un controllo sulla correttezza dello stesso (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).

In tale quadro, ben si comprende la precisazione di questa Corte, laddove evidenzia che il principio per cui il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento – non dovendo necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili – non trova applicazione allorquando le censure all’elaborato peritale si rivelino non solo puntuali e specifiche, ma evidenziano anche la totale assenza di giustificazioni delle conclusioni dell’elaborato (nella specie, oggetto di una prima stesura e di un postumo immotivato ripensamento a opera del consulente d’ufficio, oggetto di critiche anche nel merito), ipotesi nella quale la sentenza di appello, che ometta di motivare l’adesione acritica alle predette conclusioni, si rivela a sua volta nulla (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 15804 del 06/06/2024).

In effetti, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente. Ben diversa è tuttavia l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate. In tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio di motivazione è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15147 del 11/06/2018).

D’altronde, l’omessa valutazione da parte del giudice di merito dei rilievi tecnici mossi alla CTU è deducibile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., se la motivazione, pur aderendo alle conclusioni rassegnate dal consulente d’ufficio, omette qualsivoglia menzione delle osservazioni a quelle svolte, non consentendo di comprendere il percorso logico-giuridico che ha portato alla decisione (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 9925 del 12/04/2024).

3.3. Nei giudizi di divorzio, inoltre, ai sensi dell’art. 5, comma 9, L. cit. (abrogato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, che ha introdotto l’art. 473-bis.2 c.p.c., ma applicabile al presente giudizio ratione temporis) i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al Presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune, con la precisazione che, in caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi se del caso, anche della polizia tributaria.

Questa Corte ha precisato che il potere di disporre indagini sui redditi è un potere senza dubbio discrezionale, il cui mancato esercizio può essere sindacato per vizio di motivazione, ove non venga attivato a fronte di richiesta fondata su fatti concreti e circostanziati, di cui non sia spiegata l’irrilevanza ai fini della decisione (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21603 del 20/09/2013).

Tale principio opera anche nel caso in cui le indagini siano state effettuate, ma a fronte di contestazioni circostanziate sull’esito e la completezza delle stesse venga richiesto al giudice di discostarsi dall’elaborato peritale o di effettuare delle integrazioni.

3.4. Nella specie, la ricorrente ha dedotto di aver censurato davanti alla Corte d’Appello la decisione di primo grado, nella parte in cui ha fatto proprie le conclusioni del CTU, il quale ha escluso la rilevanza del documento menzionato nella relazione peritale a p. 20, e ad essa allegato al n. 8, ai fini della dimostrazione della partecipazione dello B.B. nella società di diritto ungherese ” Euro Buildings “, opinando che, se tale partecipazione vi fosse, stata avrebbe dovuto risultare dal quadro RW delle dichiarazioni reddituali e aggiungendo che la visura camerale della società straniera, prodotta dall’appellante dopo il deposito della CTU, dalla quale lo B.B. risultava socio e legale rappresentante di detta società, non era utilizzabile perché tardiva.

La ricorrente ha dedotto che nessuna parola è stata spesa sulla carenza motivazionale della sentenza di primo grado, laddove ha ritenuto esaustiva la perizia e non ha spiegato le ragioni della ritenuta irrilevanza della dichiarazione, allegata alla perizia stessa, quale documento n. 8, e ivi descritta a p. 20, proveniente dalla BIM Private Banking, ove si legge quanto segue: “… in qualità di Capogruppo siamo a comunicare in nome e per conto della società controllata Bim Fiduciaria Spa quanto segue: il sig. B.B… ha in essere un contratto di amministrazione senza intestazione fiduciaria aperto nel 2009, il cui oggetto è il rimpatrio giuridico del finanziamento soci verso la società Euro Buildings per un importo pari ad HUF 30.252.366,38. Il mandato ad oggi è ancora segretato…”.

La A.A. ha riportato, nel ricorso per cassazione, le critiche formulate nelle censure di appello, riportando quanto segue: ” A pagina 23 dell’atto di citazione in appello si evidenziava infatti che “Non spiega, tuttavia, il Tribunale la ragione per cui: – sia sufficiente l’indagine peritale sul punto, velocemente liquidata come sopra (i. e. risultanza quadro RW); – non sia imprecisa ed erronea la valutazione peritale laddove la stessa non considera che la dichiarazione della società Bim citata dalla ctu a pagina 20 dell’elaborato peritale e nel riepilogo a pagina 45 del predetto non sia indicativo dell’investimento-capitale estero dello B.B.; – non sia incompleta la relazione peritale della ctu d’ufficio laddove il tecnico d’ufficio non abbia seguito le indicazioni offerte dal tecnico di parte resistente Dottor Reginato che, nelle proprie osservazioni, affermava “.. in merito alla documentazione oggetto della relazione del ctu, essendo emersi, dalla documentazione finanziaria, indizi di attività estere – in particolare in Ungheria – si riterrebbe opportuno approfondire tale aspetto in detto Paese, richiedendo una visura su persona fisica tramite appositi servizi dedicati”…omissis.” (p. 33-34 del ricorso per cassazione).

La stessa parte ha precisato di avere richiesto al giudice una integrazione della perizia, nei seguenti termini: “Al di là, comunque, della produzione tempestiva o meno della visura camerale attestante la certa partecipazione societaria dello B.B., al Tribunale prima e alla Corte d’Appello poi si chiedeva una cosa specifica: la disposizione di un’integrazione peritale resasi necessaria in forza di una specifica dichiarazione ottenuta dal perito d’Ufficio – la dichiarazione della società fiduciaria all. 8 cit.- da cui sorgeva il dubbio della relazione tra l’appellato e la società estera, come evidenziato dalla scrivente a verbale d’udienza del 21 gennaio 2021 riportata da ultimo in atto di appello a pagina 26 “… l’avv. Casarin chiede l’integrazione della ctu con riferimento alla partecipazione della quota societaria ovvero a qualsiasi altro rapporto finanziario economico dello B.B. in Ungheria e nello specifico della Euro Buildings autorizzando il ctu ad acquisire la documentazione presso il Consolato italiano in Ungheria. Chiede che il giudice disponga che la predetta società finanziaria tolga la secretazione degli atti relativi al mandato – contratto di amministrazione senza intestazione fiduciaria in essere tra B.B. e la BIM. In subordine chiede indagini sul punto a mezzo di Polizia Tributaria…”

Nella sentenza della Corte d’Appello quanto segue: “Della partecipazione di B.B. nella società di diritto ungherese si è già detto al punto 5.; inoltre, detta società, quale soggetto terzo pignorato da A.A., ha reso la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. nella procedura esecutiva mobiliare N. 388/2021 del Tribunale di Vicenza (v. doc. 7 allegato alla costituzione in appello) relativa all’esistenza di un credito del citato B.B. pari a 30.252.366,38 fiorini ungheresi che sono stati assegnati alla medesima A.A. a gennaio/maggio 2022 sino a concorrenza del credito azionato di Euro 134.799, 39 (v. doc. 8 allegato alla costituzione in appello).”

Nel precedente punto 5 della sentenza impugnata è riportato: “In data 22.06.2022 è stato disposto, a cura della Cancelleria, il passaggio degli atti alla Procura Generale che il 06.07.2022 ha trasmesso il parere sopra riportato”, sicché deve ritenersi che il riferimento sia stato operato con riguardo al successivo punto 6 della sentenza stessa, ove si legge: “Va osservato sin d’ora che la causa è stata adeguatamente istruita in I Grado mediante l’espletamento anche di una CTU contabile dettaglia ed esaustiva concernente la situazione patrimoniale di B.B., che verrà considerata nel prosieguo tenendo conto della documentazione sopravvenuta dimessa da quest’ultimo unitamente alla comparsa costitutiva in appello (v. cessata attività di geometra al 31.12.2021; cancellazione dall’Albo Geometri dal 30.12.2021; liquidazione di pensione di anzianità del 29.04.2022; bonifico pensione del 01.06.2022; assegnazione del 19.01/18.05.2022 di Euro 134.799,39 all’odierna appellante a seguito di pignoramento presso la società terza Euro Buildings C.F. 12460401-2-18 ai danni dell’appellato). Al riguardo, giova ricordare che, nel giudizio di II Grado, non possono essere ammessi nuovi mezzi di prova…”.

Con riferimento, poi alla specifica, richiesta di integrazione della CTU, oggetto di specifico motivo di appello, la Corte di merito ha affermato quanto segue: “Il contenuto della CTU contabile, unitamente alla documentazione di I Grado ed ai documenti sopravvenuti prodotti dall’appellato, permettono una corretta analisi comparata delle disponibilità delle parti che – com’è già stato spiegato ai punti 5. e 6. – è aderente alla realtà e non necessita di chiarimenti ed integrazioni peritali.”

In sintesi, il rigetto delle censure mosse in ordine alle ragioni delle conclusioni della CTU, riferite alla partecipazione dello B.B. nella società ungherese, e alla conseguente necessità di una integrazione delle indagini peritali, si fonda, su un’asserzione generica e immotivata di completezza dell’elaborato, che si accompagna a valutazioni di inammissibilità di documentazione offerta dalla ricorrente all’esito della CTU (la visura camerale) e al risalto dato ad altra documentazione successivamente acquisita (la dichiarazione della società ungherese quale terzo pignorato), che tuttavia non riguarda la proprietà delle partecipazioni azionarie nella società ungherese, ma il credito dello B.B. nei confronti di detta società.

Tali ultimi due argomenti non illustrano affatto le ragioni della ritenuta infondatezza delle critiche della ricorrente alla relazione peritale e alla decisione del Giudice di merito di non disporre l’integrazione richiesta, le quali, infatti, non hanno ricevuto alcuna spiegazione in ordine alle censure riferite all’esclusione della irrilevanza, quanto meno ai fini della integrazione dell’indagine peritale, della esistenza di un mandato segreto, conferito dallo B.B. a una società fiduciaria, per recuperare un credito da finanziamento-soci nei confronti della menzionata società di diritto ungherese.

Si tratta di circostanze rilevanti ai fini della decisione, perché influiscono sulla valutazione delle consistenze reddituali e patrimoniali dello B.B. e, dunque, sulla valutazione di adeguatezza dei mezzi della ex moglie ai sensi dell’art. 5 , comma 6, L. n. 898 del 1970.

4. È meritevole di accoglimento anche il terzo motivo di ricorso, essendo fondata la critica riferita alla lesione del diritto alla prova, sia pure per motivi di seguito evidenziati (cfr. da ultimo Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18775 del 28/07/2017, ove si precisa che la Corte di cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, sempre che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto).

Parte ricorrente ha censurato la statuizione della Corte d’Appello, nella parte in cui ha ritenuto inammissibile per tardività la produzione allegata al n. 4 del ricorso cautelare in corso di causa e al n. 18 della comparsa conclusionale in primo grado, e prodotto unitamente all’atto di appello, consistente nella visura camerale della menzionata società ungherese di cui lo B.B. risulta socio e legale rappresentante.

Secondo la ricorrente, il Giudice avrebbe dovuto tenere conto che tale documento, prodotto prima al n. 4 con la richiesta di adozione del provvedimento di sequestro in corso di causa e, poi, al n. 18 con la comparsa conclusionale di primo grado, per essere poi nuovamente prodotto con l’atto di appello, era stato offerto in conseguenza dell’acquisizione, nell’elaborato peritale, del documento 8 (dichiarazione della BIM Private Banking, a seguito dell’indagine privata effettuata dalla parte per sopperire alla carenza di indagine del CTU, a fronte di allegazioni della A.A. che, sin dall’atto di costituzione in primo grado, aveva affermato che lo B.B. era socio di detta società, che aveva acquistato nel 2000, in relazione alla quale aveva prodotto anche una visura immobiliare (p. 6 della comparsa di costituzione del 13/03/2019 e doc. 9 ad essa allegato).

Nella sentenza impugnata si legge quanto segue: “Al riguardo, giova ricordare che, nel giudizio di II Grado, non possono essere ammessi nuovi mezzi di prova e prodotti nuovi documenti, neppure se essi siano indispensabili; l’unico caso in cui ciò è consentito è se la parte dimostra di non avere potuto proporli o produrli nel giudizio di I Grado per causa ad essa non imputabile (v. Cass., 09.11.2017, n. 26522). Invero, non è questo il caso della visura societaria (munita di traduzione asseverata dall’ungherese all’italiano) che A.A. ha già offerto assieme all’istanza di sequestro in corso di causa avanzata in I Grado dopo il deposito della CTU contabile, poiché si tratta di documento tardivo che costei poteva e doveva produrre a prova diretta con la prima memoria istruttoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., a supporto dell’allegazione presente nella comparsa costitutiva di I Grado (v. pag. 5) in ordine alla partecipazione societaria di B.B. nell’indicata società ungherese Euro Buildings.”

La decisione, sul punto, si trova in dissonanza con l’orientamento espresso da questa Corte, la quale, con orientamento condiviso da questo Collegio, ha precisato che, nel giudizio divorzile in appello, che si svolge, ai sensi dell’ art. 4, comma 15, L. n. 898 del 1970, secondo il rito camerale (in base alla disciplina vigente ratione temporis), di per sé caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, va esclusa la piena applicabilità delle norme che regolano il processo ordinario ed è quindi ammissibile l’acquisizione di nuovi mezzi di prova, in specie documenti, a condizione che sia assicurato un pieno e completo contraddittorio tra le parti (così Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 27234 del 30/11/2020, recante richiamai a precedenti conformi).

Nel caso di specie, senza dubbio il rispetto del contraddittorio è stato assicurato, trattandosi di visura camerale già offerta nel giudizio di primo grado, per la prima volta con la domanda di sequestro in corso di causa.

Il giudice del gravame avrebbe, dunque, dovuto ritenere ammissibile la produzione in appello e valutare la stessa ai fini della decisione nel merito o, comunque, ai fini della statuizione sulla richiesta integrazione peritale.

5. Anche il sesto motivo di ricorso è fondato.

La ricorrente ha dedotto di avere formulato in primo grado richieste di prove orali, non ammesse dal primo giudice, riportando nel ricorso per cassazione le circostanze oggetto della reiterata richiesta di ammissione, respinta con il rigetto del quarto motivo di appello (p. 45-46 del ricorso per cassazione).

La Corte d’Appello risulta avere statuito come segue: “La situazione degli ex coniugi va ancorata il più possibile a dati documentali che quantifichino la natura e l’entità dei cespiti di ciascuno; i testimoni Astuni Roberto e A.A. Ermenegildo, sentiti in I Grado all’udienza del 01.10.2020, hanno riferito dell’attività lavorativa svolta dall’appellante assieme all’ex marito; dunque, non è necessario dare corso ad ulteriore attività istruttoria che non potrebbe supplire a possibili carenze di documenti. Ad ogni modo, per completezza, va rammentato che la Corte di Cassazione ha affermato un importante principio che riguarda le prestazioni di lavoro di un soggetto a favore del coniuge (v. Cass. 30.09.2020, n. 20904), nel senso che, fra persone legate da vincoli di parentela od affinità, opera una presunzione di gratuità della prestazione lavorativa che trova la sua fonte nella circostanza che la stessa viene resa normalmente affectionis vel benevolentiae causa, con la conseguenza che, per superare questa presunzione, è necessario fornire la prova rigorosa (nel corretto ambito giudiziario) degli elementi tipici della subordinazione, tra i quali, soprattutto l’assoggettamento al potere direttivo-organizzativo altrui e l’onerosità. Nulla di specifico è mai stato tempestivamente dedotto ed allegato in tal senso dall’appellante.”

Tenuto conto dei principi illustrati nell’esaminare il secondo e il quinto motivo di ricorso, ai fini della verifica della sussistenza della motivazione della decisione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c, la statuizione sulle istanze istruttorie, nella specie, risulta meramente apparente, poiché, guardando a capitoli di prova, riferiti a circostanze tra loro del tutto diverse, non è spiegato per quale motivo per tutti i capitoli siano “preferibili” le prove documentali, in particolare con riferimento alle prove orali volte a dimostrare il contributo della donna all’attività professionale e alla formazione del patrimonio del marito con modalità diverse e ulteriori rispetto alla prestazione lavorativa in studio, in relazione alle quali non è in alcun modo conferente il riferimento, contenuto nella motivazione, alla presunzione del carattere gratuito della prestazione lavorativa in ambito familiare.

L’accoglimento del primo, del secondo, del terzo, del quinto e del sesto motivo di ricorso, imponendo una nuova valutazione delle consistenze patrimoniali e reddituali delle parti, rende superfluo l’esame degli altri motivi, che devono ritenersi assorbiti.

6. In conclusione, deve essere accolto il primo, il secondo, il terzo, il quinto e il sesto motivo di ricorso e, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti dei motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, chiamata a statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.

7. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

P.Q.M.

La Corte

accoglie il primo, il secondo, il terzo, il quinto e il sesto motivo di ricorso e, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, chiamata a statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2024.

Depositata in cancelleria il 27 novembre 2024.

 

 

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