(a cura del Dott. Nicolò Cecchini – Studio Legale Calvello)
Nell’universo del diritto sportivo si suole dividere gli atleti in due categorie: professionisti e dilettanti. La qualificazione di essi non è sempre agevole: a livello nazionale, la norma di riferimento è rappresentata dalla legge 91/1981, la quale, all’articolo 2 stabilisce che “sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”. Tutti gli altri sportivi, invece, sarebbero, sic et simpliciter, dilettanti.
Gli atleti non rientranti in tale definizione non sono, tuttavia, tout court da assimilare come dilettanti: infatti occorre sempre procedere ad una verifica in concreto del tipo di prestazione svolta dall’atleta.
La Corte di Giustizia ha infatti statuito che “la semplice circostanza che un’associazione o federazione sportiva qualifichi unilateralmente come dilettanti gli atleti che ne fanno parte non è di per sé tale da escludere che questi ultimi esercitino attività economiche ai sensi del Trattato” (Cort Giust., 11-04-2000, Deliege).
Tanto premesso, qualora ad un atleta venga attribuito lo status di dilettante, non sorgerà tra lo stesso e la società d’appartenenza un contratto di lavoro, bensì il c.d. “vincolo sportivo”. Tale istituto si caratterizza per “legare” il giocatore alla società, senza possibilità di risoluzione unilaterale del contratto, dopo che lo stesso sia stato “tesserato”.
Il vincolo sportivo ha una durata variabile, a seconda della federazione d’appartenenza: ciò significa che, sulla base degli statuti delle varie federazioni sportive, l’istituto in esame assumerà sfumature diverse.
Va sottolineato che la legge 91/1981 ha previsto la possibilità di stabilire un c.d. premio, in favore delle società in cui l’atleta ha svolto la sua attività dilettantistica o giovanile, di addestramento e formazione tecnica.
Orbene l’istituto in esame sembra confliggere con alcuni principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico. A mero titolo esemplificativo risulterebbero violati gli articoli 2 (nei casi, non rari, di vincolo sportivo a vita), 3 (violazione del principio di uguaglianza tra sportivi professionisti e dilettanti), 4 (nel caso in cui l’atleta sia un professionista di fatto e gli sia impedito il trasferimento ad una società che gli garantisca un contratto di lavoro ed una retribuzione migliori) e 18 (violazione del principio del libero associazionismo) della Costituzione.
Cosa fare, pertanto, qualora sorga nell’atleta dilettante la volontà di “trasferirsi” in un’altra società, ma quella d’appartenenza non presti il suo consenso? Lo sportivo potrà utilmente rivolgersi ad un Legale, il quale esperirà un ricorso avanti la Federazione d’appartenenza, affinchè la stessa dichiari lo scioglimento del vincolo sportivo.