Tribunale di Padova – Giudice Dott. G. Bordon – sent. 07.01.2013
IL CASO:
Tizio conveniva in giudizio il Comune di Padova per ottenere il risarcimento del danno subito da lui subito a seguito di una caduta per strada. in particolare, Tizio assumeva che nel mentre attraversava la strada, era inciampato sulla rotaia del metrobus e con il piede sinistro era rimasto incastrato tra la sede della rotaia e il manto stradale a ridosso della stessa. L’anomalia avrebbe reso il fondo stradale dissestato e disomogeneo tanto da costituire un’insidia assolutamente pericolosa.
LA QUESTIONE GIURIDICA:
L’art. 2051 c.c. prevede che ciascuno sia responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. La norma non esige che la cosa in custodia sia suscettibile di produrre danni per sua natura, cioè per un suo intrinseco potere, in quanto, anche in relazione alle cose prive di un proprio “dinamismo”, sussiste il dovere di custodia e controllo. La Corte di Cassazione ha evidenziato che non ha rilievo agli effetti dell’art. 2051 c.c. la distinzione tra cose pericolose ed inerti, ben potendo anche queste ultime inserirsi in un complesso causale, produttivo di danno, in ordine al quale il legislatore ha inteso apprestare a favore del danneggiato una tutela rafforzata (cfr. Cass., sez. III, 5.12.08, n. 28811; Cass. Civ. Sez. III 4.8.2005 n. 16373). Secondo il più recente orientamento giurisprudenziale la responsabilità per il danno cagionato da cose in custodia si fonda non su un comportamento o un’attività del custode, ma su una relazione (di custodia) intercorrente tra questi e la cosa dannosa. Ciò significa che solo il “fatto della cosa” è rilevante (e non il fatto dell’uomo) e che la responsabilità discende dal mero rapporto di custodia. L’unico limite è costituito dall’esistenza del caso fortuito, con la precisazione che detto limite non si identifica con l’assenza di colpa. Si tratta, quindi, di una responsabilità oggettiva. La diligenza del custode, se non è provato il fortuito, non è sufficiente per escludere la sua responsabilità (Cass., sez. III, 25.7.08, n. 20427). La responsabilità deriva non da un comportamento del responsabile, ma dalle modalità di causazione del danno. La rilevanza del fortuito attiene al profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre all’elemento esterno, anziché alla cosa che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi. Al danneggiato compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Cass., sez. III, 30.10.08, n. 26051; Cass. Civ. Sez. III, 11.1.05 n. 376), quale anche la condotta imprevista e imprevedibile della vittima (Cass., III, 28.10.09, n. 22807) o di un terzo (Cass., sez. III, 7.10.08, n. 24755). Il fattore accertato potrebbe anche non essere sufficiente a interrompere il nesso di causalità, ma essere idoneo a giustificare un concorso di colpa ex art. 1227, I co. c.c. (Cass., sez. III, 8.5.08, n. 11227).
La possibilità di ricondurre la responsabilità della pubblica amministrazione per beni appartenenti al demanio all’art. 2051 c.c. è stata a lungo dibattuta in giurisprudenza. L’orientamento che appare da ultimo prevalere (cfr. Cass., sez. III, 8.5.12, n. 6903; Cass., sez. III, 22.4.10, n. 9546 e Cass., sez. III, 6.7.06, n. 15383) ritiene l’art. 2051 c.c. non si applichi agli enti pubblici ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non sia possibile – all’esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto – esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. Con specifico riferimento alle strade, la ricorrenza della custodia deve essere esaminata con riguardo all’estensione della strada, alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti. L’estensione della rete viaria e il suo uso da parte della collettività costituiscono meri indici dell’impossibilità di un concreto esercizio dei poteri di relativo controllo. L’oggettiva impossibilità di custodia del bene demaniale va, in radice, esclusa nel caso in cui l’evento dannoso si è verificato su una parte del bene demaniale, che in quel momento era concretamente oggetto di attività di custodia da parte del personale dell’ente pubblico, titolare del bene demaniale oppure quando è proprio l’attività posta in essere dall’ente a rendere pericolosa quella parte del bene demaniale. In quest’ultimo caso non deve valutarsi se era oggettivamente possibile una custodia del bene demaniale, ma deve solo accertarsi che la parte di bene demaniale, che avrebbe causato il danno ingiusto, era nel momento genetico dell’evento dannoso sottoposto ad una concreta e positiva attività da parte dell’Ente pubblico. Laddove, invece, l’oggettiva impossibilità della custodia, renda inapplicabile l’art. 2051 c.c., la tutela risarcitoria del danneggiato rimane esclusivamente affidata alla disciplina di cui all’art. 2043 c.c..
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