La Cassazione chiarisce che l’appaltatore deve segnalare errori e carenze del progetto fornito dal committente, altrimenti risponde dei vizi dell’opera
Il CASO
La vicenda giudiziaria nasce da una controversia relativa a un contratto d’appalto tra una società e un’impresa esecutrice per la realizzazione di un impianto di aspirazione di fumi industriali. La società committente aveva avviato una causa dinanzi al Tribunale per ottenere la risoluzione del contratto, sostenendo che l’impianto realizzato non fosse idoneo. In primo grado, il Tribunale aveva dato ragione alla società, ritenendo l’appaltatore responsabile della mancata installazione dei sistemi di abbattimento delle emissioni atmosferiche, considerati essenziali.
Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, ritenendo che la responsabilità non potesse essere attribuita all’appaltatore, poiché il progetto e le specifiche tecniche erano state fornite direttamente dal committente, il quale non aveva sollevato alcuna obiezione durante il collaudo dell’impianto. La Corte ha evidenziato che l’appaltatore aveva seguito fedelmente le istruzioni ricevute e che eventuali mancanze nella valutazione ambientale erano di competenza esclusiva del committente-gestore dell’impianto.
IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE
L’appaltatore ha il dovere di realizzare l’opera a regola d’arte, impiegando tutte le risorse e le competenze necessarie per garantire un risultato conforme agli standard richiesti. Questo obbligo sussiste anche quando l’appaltatore segue un progetto predisposto dal committente. In tal caso, se il progetto o le istruzioni ricevute presentano errori o carenze, l’appaltatore è responsabile dei difetti dell’opera qualora non abbia segnalato tali problematiche. Tuttavia, se il committente, dopo essere stato avvisato, insiste nell’esecuzione del progetto senza modifiche, l’appaltatore è esonerato da responsabilità, poiché si limita ad eseguire le istruzioni ricevute senza margine di intervento autonomo.
Per un approfondimento: “La responsabilità dell’appaltatore” su Dike Giuridica
L’ORDINANZA
Cassazione civile, Sez. II, Ordinanza del 15/01/2025, n. 969
(omissis)
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. L’adito Tribunale, in accoglimento della domanda avanzata da A.A. Die Casting Italy Sas di C.C. E C., risolto il contratto d’appalto stipulato con l’appaltatrice F.lli B.B. Srl, per colpa di quest’ultima – si afferma che quest’ultima aveva messo in opera un impianto di aspirazione di fumi industriali non idoneo -, condannò la convenuta alla restituzione del corrispettivo di Euro 15.599,23 e a risarcire il danno quantificato in Euro 292.716,00.
2. La Corte d’Appello di Ancona, riformata la sentenza di primo grado, rigettò le domande attoree.
2.1. Questi in sintesi gli argomenti salienti della decisione di secondo grado.
L’impianto non era dotato dei sistemi di abbattimento delle emissioni in atmosfera. Secondo la Corte di Ancona “la valutazione della necessità o meno di applicare all’opera sistemi di abbattimento e (rectius: è) demandata per legge al gestore dell’impianto (…) e non anche all’installatore dell’impianto, il quale non conosce i dati delle schede tecniche relative all’attività svolta ed i livelli delle emissioni in atmosfera (…) (non era possibile) addebitare alla F.lli B.B. la responsabilità della mancata installazione di sistemi di abbattimento non commissionati perché non voluti, neanche ai fini del rispetto della disciplina normativa di riferimento”.
Pur riconoscendo che l’appaltatore assume un’obbligazione di risultato, poiché emergevano “specifiche competenze e cognizioni che la legge attribuisce al committente-gestore o all’incaricato di occuparsi di tali aspetti, la relativa inosservanza e/o mancata valutazione da parte del soggetto a ciò deputato non può essere addebitata a soggetti terzi”. Ancor più tenendo conto che l’impianto era stato realizzato sulla scorta delle indicazioni tecniche fornite dalla committente, la quale nessuna osservazione aveva mosso all’appaltatrice in sede di collaudo.
3. A.A. Srl (incorporante la Sas A.A. Die Casting) ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di due motivi. L’intimata resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
4. Con il primo motivo viene denunciata nullità della sentenza per mancanza di motivazione, resa in forma meramente apparente.
Allega la ricorrente che la sentenza d’appello era giunta alla conclusione che fosse stata la committente e il suo consulente ambientale a reputare non necessario dotare l’impianto di sistemi di abbattimento e che l’impianto era stato messo in opera sulla scorta delle indicazioni della committenza.
Trattavasi, prosegue la ricorrente, di affermazioni del tutto avulse dalle emergenze di causa, niente affatto evidenziate dalla Corte di Ancona, pur avendo questa dissentito frontalmente dall’opinione del Tribunale.
5. Con il secondo correlato motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1667 e 1668 cod. civ., nonché degli artt. 268 e segg. D.Lgs. n. 152/2006.
La Corte territoriale, deduce la ricorrente, afferma che il corretto funzionamento dell’impianto di aspirazione avrebbe necessitato l’installazione di sistemi di abbattimento e, pur non dubitando della natura di risultato dell’obbligazione assunta dall’appaltatore, sostiene tuttavia che, sulla base di norme di legge, neppure individuate, spetti al committente farsi carico dell’anzidetta installazione.
Diametralmente all’opposto rispetto a quanto ritenuto in sentenza, prosegue la ricorrente, costituisce specifico obbligo dell’appaltatore verificare la validità tecnica del progetto, a prescindere dalla circostanza che esso gli sia stato fornito dal committente.
Inoltre, doveva escludersi che sia rinvenibile una norma che nella materia di cui si tratta liberi l’appaltatore dall’obbligazione di cui si è detto.
Nel solo caso in cui quest’ultimo abbia agito quale “nudus minister” si è reputato, secondo l’opinione consolidata in giurisprudenza, che egli non possa essere chiamato a rispondere dei difetti procurati dall’invasiva ingerenza della committenza.
Dal verbale di consegna dell’opera era dato leggere sol che la commissionaria garantiva la conformità di essa alle vigenti leggi in materia fiscale, commerciale e di prevenzione dagli infortuni sul lavoro e non altro.
A riprova dell’assunto andava letta la e-mail del 4/3/2008, con la quale la B.B. aveva comunicato alla A.A.: “Come da commissione, erano previsti gli abbattitori che non sono stati installati in coerenza con la Vs decisione, pertanto se si riportano danni agli aspiratori riteniamo che non sia a causa nostra”. Nonché quella del 12/8/2008: “(…) fermo restando il fatto che in mancanza di sistemi di pre-abbattimento, le giranti vengono a caricarsi di scorie e sporcizia che determinano comunque cedimento dall’albero motore. La valutazione è comunque che non si risolve il problema completamente e che le rotture si riverificheranno anche in seguito”.
6. Entrambi i motivi, tra loro osmotici, sono fondati.
6.1. La decisione impugnata rammenta che il Tribunale aveva affermato che l’appaltatrice aveva violato l’obbligo di diligenza, che la legge pone a suo carico, per avere proposto l’opera priva dell’installazione dei sistemi di abbattimento, nonostante la loro essenzialità, confermata dal c.t.u., non solo al fine di limitare l’impatto ambientale, ma anche per salvaguardare il macchinario.
Indi, giunge all’epilogo anticipato sulla base del seguente ragionamento:
– la necessità dell’installazione degli abbattitori non era stata presa in considerazione dalla committente e dal suo consulente ambientale e “poiché la valutazione della necessità o meno di applicare all’opera sistemi di abbattimento è demandata per legge al gestore dell’impianto o a chi, per esso, si occupa della consulenza in materia ambientale, e non anche all’installatore dell’impianto (…), non sembra possibile addebitare alla F.lli B.B. la responsabilità della mancata installazione di sistemi di abbattimento non commissionati perché non voluti (…) Anche se, in linea generale, quella assunta dall’appaltatore è una obbligazione di risultato, nel caso di specie, essendovi specifiche competenze e cognizioni che la legge attribuisce al committente-gestore dell’incarico o all’incaricato di occuparsi di tali aspetti, la relativa osservanza e/o mancata valutazione da parte del soggetto a ciò deputato non può essere addebitata a soggetti terzi.
E poiché l’impianto installato dalla F.lli B.B. risulta realizzato in esecuzione e sulla scorta delle indicazioni tecniche impartite dalla committente, come da questa riconosciuto in sede di collaudo, ed alla F.lli B.B. non viene mosso altro addebito diverso dalla mancata installazione sull’impianto fornito di sistemi di abbattimento, non resta che concludere, in riforma dell’impugnata sentenza, per il rigetto delle domande proposte dalla A.A. (…)”.
6.2. La giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Il ragionamento sopra riportato poggia su un presupposto rimasto invincibilmente inesplicato, non avendo la Corte di merito spiegato sulla base di quali risultanze probatorie sia pervenuta alla ricostruzione fattuale alternativa rispetto a quella del primo Giudice, né, tantomeno, specifica quale sia la norma che ponga la responsabilità in capo alla committente nei rapporti di essa con l’appaltatrice.
Sotto altro, e concorrente, profilo, evidenzia una radicale contraddizione, che ne annichilisce la portata di razionale giustificazione: riconosce che l’appalto impone all’appaltatore il raggiungimento del risultato e, allo stesso tempo, in questo caso lo esonera da un tal risultato, “poiché la valutazione della necessità o meno di applicare all’opera sistemi di abbattimento è demandata per legge al gestore dell’impianto o a chi, per esso, si occupa della consulenza in materia ambientale”.
6.3. A prescindere dal riferimento a norme di legge neppure individuate, a tutto concedere – a volere, quindi, reputare che la sentenza abbia inteso richiamare il D.Lgs. n. 152/2006 (T.U. Ambiente) – il riferimento è del tutto inconferente, stante che qui non si tratta di misurare la correttezza degli adempimenti ambientali che la legge (con “norme d’azione”) pone a carico dell’impresa la cui attività impatta con l’ambiente (la cui violazione viene accertata dagli organi preposti e punita con sanzioni amministrative e penali), bensì, avuto riguardo alla domanda del committente, accertare se il prospettato inadempimento sussista e se sia tale da importare la risoluzione (“norme di relazione”).
6.4. Si è più volte chiarito che la diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c., che impone all’appaltatore (sia egli professionista o imprenditore) di realizzare l’opera a regola d’arte, impiegando le energie ed i mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell’attività esercitata, onde soddisfare l’interesse creditorio ed evitare possibili eventi dannosi, rileva anche se egli si attenga alle previsioni di un progetto altrui, sicché, ove sia il committente a predisporre il progetto e a fornire indicazioni per la sua realizzazione, l’appaltatore risponde dei vizi dell’opera se, fedelmente eseguendo il progetto e le indicazioni ricevute, non ne segnali eventuali carenze ed errori, il cui controllo e correzione rientra nella sua prestazione, mentre è esente da responsabilità ove il committente, edotto di tali carenze ed errori, richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o ribadisca le indicazioni, riducendo così l’appaltatore a proprio mero “nudus minister”, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico (Sez. 2, n. 1981, 02/02/2016, Rv. 638792, ex multis).
Il Giudice d’appello, attraverso il salto logico sopra descritto, inspiegabilmente, per il solo fatto che norme imperative poste a tutela dell’ambiente obblighino i gestori d’impianti capaci d’inquinare ad apprestare presidi e cautele, assegna alla Fratelli B.B. il defilato ruolo di “nudo minister”, che andava, per contro puntualmente provato e motivatamente spiegato.
7. In conclusione la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio.
Il Giudice del rinvio, rendendo motivazione effettiva, rivalutata la vicenda alla luce delle emergenze di causa (allo stato un tale accertamento non è stato fatto e non ha pertinenza alcuna l’evocazione del T.U. Ambiente), farà applicazione dei principi sopra richiamati in materia di appalto.
Regolerà, inoltre, le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona, altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Conclusione
Così deciso nella camera di consiglio del 13 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2025.