La S.C. ha affermato la responsabilità dell’appaltatrice mancando la prova che questa avesse avvertito il committente della pericolosità e della non conformità alle regole tecniche di cautela richieste dell’opera di escavazione
Il FATTO
Durante lavori di escavazione, un crollo causava dei danni. Il direttore dei lavori aveva dato istruzioni cautelative, ma non era presente al momento dell’esecuzione. L’impresa esecutrice aveva operato seguendo direttive ritenute scorrette senza opporsi. La Corte d’Appello aveva escluso la responsabilità dell’impresa esecutrice. La Cassazione, invece, ribalta la decisione.
IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE
L’appaltatore è responsabile dei danni occorsi a terzi in conseguenza dell’esecuzione di opere poste in essere in conformità a un progetto o a direttive del committente palesemente errate, salvo che dimostri di aver manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente e a rischio di quest’ultimo. (Nella specie, la S.C. ha affermato la responsabilità dell’appaltatrice mancando la prova che questa avesse avvertito il committente della pericolosità e della non conformità alle regole tecniche di cautela richieste dell’opera di escavazione, a tal fine non rilevando, nei rapporti con il committente, la circostanza che non fosse stata messa nelle condizioni di valutare l’intervento, avendo il suo dipendente addetto all’escavatore aderito alle pressanti richieste del committente senza avvertire il datore di lavoro).
Quanto al ruolo e alla responsabilità del Direttore dei Lavori
La S.C. ritiene inoltre che la Corte d’Appello non abbia omesso di considerare che il D.L. avesse dato le necessarie direttive circa le cautele da osservare nella esecuzione dello scavo di fondazione, ritenendolo nondimeno responsabile del danno per aver omesso di adempiere all’ulteriore obbligo connesso al suo incarico di vigilare attentamente circa il rispetto e la corretta osservanza di quelle direttive. Il compito del direttore dei lavori non si esaurisce, invero, nel dare direttive ma richiede anche una adeguata attività di vigilanza in cantiere circa la corretta ed effettiva osservanza delle stesse oltre che, naturalmente, del progetto, funzionale del resto anche alle modifiche o integrazioni che possano rendersi necessarie in relazione allo sviluppo concreto dei lavori. Tale connesso obbligo non si traduce in quello di una costante e continua presenza in cantiere, ma ciò non significa che il direttore dei lavori non possa e non debba essere presente in quelle fasi della lavorazione che maggiormente richiedano, secondo valutazione che egli certamente è in grado di compiere, attenzione e vigilanza.
In sintesi
La responsabilità in cantiere è condivisa e attiva: il direttore dei lavori deve essere presente nei momenti critici e l’appaltatore ha il dovere di contestare, se del caso, ordini errati pena la sua responsabilità esclusiva o solidale.
L’ORDINANZA
Cassazione civile, Sez. III, Ordinanza del 23/10/2024, n. 27526
(omissis)
Svolgimento del processo
1. B.B. e C.C. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Macerata, sez. distaccata di Civitanova Marche, la Global Srl unipersonale e l’Arch. A.A. chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni subiti dall’immobile di loro proprietà a causa dei lavori di sbancamento e demolizione operati dalla Global sull’edificio confinante e della cui direzione era incaricato il A.A.
Esteso il contraddittorio nei confronti della D.D., di E.E. e della UGF Assicurazioni Spa – chiamati in causa dalla Global nelle rispettive qualità: la prima, di impresa esecutrice dei lavori di sbancamento; la seconda, di impresa esecutrice dei lavori di ristrutturazione ed ampliamento dell’edificio; la terza, di compagnia assicuratrice – il Tribunale di Macerata, con sentenza n. 992 del 2017, condannò i convenuti “al pagamento in favore di B.B. e C.C. della somma di Euro 107.875,90 con interessi correnti dal 25.10.2007 (epoca del sinistro) al soddisfo”, regolando le spese secondo soccombenza.
Ritenne, infatti, la Global responsabile del danno ex art. 2050 cod. civ., in quanto diretta esercente l’attività pericolosa, sul presupposto che il contratto verbale intercorso fra essa e la D.D. dovesse qualificarsi non come appalto ma quale noleggio con operatore (c.d. nolo a caldo). La responsabilità del A.A. venne, invece, affermata per non avere egli adeguatamente vigilato lo svolgimento dei lavori, omettendo di ordinarne la sospensione come dovuto in caso di evidenza di pericolosità dell’organizzazione di cantiere, di violazione delle regole dell’arte e di disapplicazione delle norme cautelari stabilite a tutela dei lavoratori o dei terzi.
2. Pronunciando sui gravami separatamente proposti dal A.A. e dalla Global, previa riunione, la Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 1354/2021, resa pubblica in data 7 dicembre 2021, li ha rigettati confermando la decisione di primo grado, seppur con diversa motivazione quanto al fondamento della responsabilità della Global, e condannando gli appellanti, in solido fra loro, a rifondere in favore di ciascuna parte appellata le spese del grado.
2.1. Con riferimento alla posizione della Global ha, infatti, osservato che – sebbene il contratto concluso verbalmente con la D.D. Srl andasse propriamente qualificato, in base agli elementi emersi (avuto riguardo in particolare alla descrizione dei lavori contenuta nella fattura emessa dalla D.D. Srl, non vincolante invece la qualificazione giuridica del contratto ivi contenuta, e al fatto stesso che la committente ritenne di dover nominare un direttore dei lavori), come di appalto d’opera e non di nolo a caldo, e sebbene, in base a preferibile indirizzo, “la responsabilità del proprietario di un fondo per i danni derivanti da attività di escavazione, ex art. 840 c.c., non opera in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, sicché, nell’ipotesi in cui i lavori di escavazione siano affidati in appalto, è l’appaltatore ad essere, di regola, l’esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nell’esecuzione dell’opera, salvo che non risulti accertato che il proprietario committente, avendo – in forza del contratto di appalto – la possibilità di impartire prescrizioni o di intervenire per richiedere il rispetto delle normative di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro, nel qual caso la responsabilità dell’appaltatore verso il terzo danneggiato può aggiungersi a quella del proprietario, ma non sostituirla o eliminarla” (Cass. n. 7027 del 12/03/2021, Rv. 660749) – nondimeno dei danni cagionati dalla sua esecuzione alla proprietà delle confinanti, attrici/appellate, doveva ritenersi comunque responsabile la Global, per la ingerenza esercitata tale da ridurre l’appaltatrice D.D. Srl alla figura di nudus minister.
In tal senso ha attribuito rilievo:
– alle dichiarazioni, ritenute di contenuto confessorio, rese dal legale rappresentante della Global, Sig. F.F., nelle missive inviate alla compagnia assicuratrice, nelle quali affermava che la fondazione del muro, poi crollato, era stata scoperta per circa 60/70 cm sulla base di disposizioni da lui dettate, e riferiva altresì che, pur avendo il direttore dei lavori prescritto per tale ipotesi la necessaria realizzazione di pali di sostegno, egli nondimeno, stante l’indisponibilità delle ditte specializzate contattate per l’esecuzione di tale intervento, “per non sospendere i lavori per qualche settimana, … di sua iniziativa, confortato dal giudizio positivo dell’operatore della macchina escavatrice, … (aveva) eseguito i lavori sopra descritti”;
– alla deposizione del teste H.H. – operatore sul mezzo utilizzato per l’escavazione- il quale aveva riferito che il F.F. era sempre presente in cantiere e forniva le istruzioni per l’esecuzione dei lavori (dichiarazioni queste convergenti con quelle rese dal teste D.D.).
Ha al riguardo precisato che nessun rilievo di contro poteva assumere l’asserito consenso dell’operatore, sia perché trattavasi di affermazione a contenuto favorevole per la stessa parte che l’aveva resa (Global), sia in considerazione del fatto che la mera comunicazione al dipendente dell’appaltatore e la immediata esecuzione dell’intervento non avevano consentito alla D.D. Srl di valutare l’intervento e di manifestare la propria eventuale opposizione.
In base alle dichiarazioni del teste G.G., progettista strutturale, rese in termini che inducevano ad escludere che il progetto prevedesse già il raggiungimento di un livello di escavazione inferiore rispetto al piano di fondazione dell’edificio adiacente, ha altresì escluso che l’appaltatore fosse stato messo in condizioni di assolvere compiutamente al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, e, dunque, dell’obbligo di controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto.
Doveva pertanto ritenersi dimostrato che “l’appaltatore fosse stato indotto ad eseguire le errate istruzioni impartite dal committente quale nudus minister, in ragione della decisa richiesta dallo stesso avanzata nei soli confronti del dipendente in quanto spinto dalla volontà di non voler in alcun modo sospendere i lavori per realizzare l’intervento che sapeva essere necessario, attese le indicazioni fornite dal direttore dei lavori, in ipotesi in cui lo scavo fosse stato di 60-70 cm più profondo della fondazione del muro comune”.
Ha infine osservato che “sussistono in ogni caso nella fattispecie in esame elementi di colpa in capo alla Global Srl idonei ad integrare la responsabilità ex art. 2043 c.c. avendo deciso di procedere all’escavazione in violazione delle norme tecniche del settore, procedendo allo scavo per una profondità di circa 60/70 cm rispetto al piano di appoggio delle fondamenta del muro comune, in un periodo di tempo di forti piogge che avevano reso il terreno ancora più fragile”.
2.2. Con riferimento alla posizione del A.A. ha rilevato che se era vero che gli elementi istruttori consentivano di ritenere che egli aveva effettivamente impartito alla Global Srl le necessarie istruzioni circa le modalità di esecuzione dell’escavazione, nondimeno la delicatezza della situazione – derivante, oltre che dalle condizioni del terreno, dovute alle precedenti precipitazioni atmosferiche, dalla peculiarità della fase di costruzione, per la riconosciuta eventualità della necessità di procedere ad operazioni di sostegno della vecchia fondazione con dei pali – avrebbe richiesto il controllo della fase di escavazione, tenuto, peraltro, conto delle ridotte dimensioni dell’intervento e dei tempi necessari alla sua realizzazione.
2.3. Conformemente al primo giudice la Corte d’Appello ha inoltre escluso l’operatività, nel caso di specie, della polizza assicurativa evocata dalla Global a fondamento della chiamata in garanza della UGF Ass.ni Spa (ora Unipolsai Ass.ni Spa), avendo ritenuto che l’intervento in questione andasse ricondotto alla previsione della clausola 1.10 della polizza a tenore della quale “La garanzia comprende i danni a cosa provocati da cedimento o franamento del terreno, a condizione che tali danni non derivino da lavori che implichino sottomurature o altre tecniche sostitutive o da lavori di prosciugamento o impoverimento delle falde acquifere (es. utilizzo di impianti well-poin)”.
Ha, infatti, osservato che l’intervento realizzato (concretizzatosi nella escavazione del terreno ad un livello inferiore a quello delle fondazioni del muro dell’adiacente proprietà) richiedeva necessariamente la esecuzione di opere di sottomuratura, consistenti nell’apposizione di pali di sostegno, per tal motivo dovendosi ritenere integrata la causa di esclusione della operatività della polizza riguardante “… lavori che implichino sottomurature o altre tecniche sostitutive …”: tali lavori, infatti, comportando un maggior rischio, avrebbero diversamente determinato, nel rapporto contrattuale, un diverso e più elevato premio assicurativo.
Ha inoltre respinto la iterata eccezione di nullità della clausola per mancanza di causa, ritenendola diretta solo a limitare l’oggetto del contratto senza incidere su alcun elemento essenziale, espressione dunque della libertà negoziale delle parti in relazione al rischio da coprire.
3. Per la cassazione di tale sentenza l’Arch. A.A. ha proposto ricorso affidato a due motivi, per resistere al quale B.B. e C.C., da un lato, e la società D.D. Srl, dall’altro, hanno depositato controricorsi.
Gli altri intimati – Global Srl unipersonale, Unipolsai Assicurazioni Spa (già UGF Assicurazioni Spa) e E.E. – sono rimasti tali.
4. Successivo ricorso è stato proposto dalla Global Srl unipersonale sulla base di quattro motivi; vi hanno resistito, depositando controricorsi, B.B. e C.C., la D.D. Srl, A.A. e la Unipolsai Assicurazioni Spa; la D.D. Srl ha, con lo stesso atto, proposto ricorso incidentale condizionato con unico mezzo.
E.E. è rimasto intimato.
5. È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
A.A. e le controricorrenti B.B. e C.C. hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Giova preliminarmente rilevare che il secondo ricorso (vale a dire quello della Global Srl) è stato tempestivamente proposto nel rispetto del termine previsto per il deposito del controricorso che, come noto, il ricorso successivo è tenuto a rispettare, anche se proposto in via autonoma, in virtù del principio di unità dell’impugnazione, perché ne sia possibile la necessaria conversione in ricorso incidentale (giurisprudenza costante: v. ex multis Cass. Sez. U. n. 7074 del 20/03/2017; Cass. n. 30775 del 26/11/2019; n. 28520 dell’8/11/2018; n. 2516 del 9/02/2016, n. 5695 del 20/03/2015; in precedenza v. Cass. Sez. U. n. 9232 del 25/06/2002; Cass. n. 25662 del 4/12/2014; n. 16501 del 18/07/2014; n. 25054 del 7/11/2013; n. 27898 del 21/12/2011; n. 27887 del 30/12/2009; n. 20593 del 22/10/2004; n. 15199 del 6/08/2004).
2. Ne discende anche la tempestività (rispetto al termine interno ex art. 371 c.p.c.) del ricorso incidentale condizionato proposto dalla D.D. Srl a seguito del ricorso incidentale proposto dalla Global, essa dovendo essere (positivamente) valutata avuto riguardo alla data di notifica di detto secondo ricorso (Global: 7/3/2022) e non a quella del primo (A.A.: 2/3/2022). Ciò in quanto è il secondo ricorso e non il primo a investire la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la responsabilità di detta Srl, per tal motivo confermando il rigetto della domanda (di accertamento della esclusiva o quanto meno concorrente responsabilità) nei suoi confronti proposta dalla Global.
3. Ancora in via preliminare deve essere rilevata l’inammissibilità dei controricorsi depositati da B.B. e C.C., intimate da entrambi i ricorrenti, di essi essendo stata omessa la notifica alle controparti, come richiesto dall’art. 370 cod. proc. civ. nel testo ancora applicabile alla fattispecie, ratione tempons, in base alla disposizione transitoria di cui all’art. 35, comma 5, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. riforma Cartabia).
Ne discende l’inammissibilità anche della memoria da esse depositata.
4. Deve invece ritenersi tempestivo il controricorso depositato dalla D.D. Srl per resistere al ricorso principale, proposto da A.A.
Secondo interpretazione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte, dal combinato disposto degli artt. l’art. 13 del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44 (a mente del quale “(2) I documenti informatici di cui al comma 1 si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. (3) Nel caso previsto dal comma 2 la ricevuta di avvenuta consegna attesta, altresì, l’avvenuto deposito dell’atto o del documento presso l’ufficio giudiziario competente”) e 16-bis, comma 7, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221 (secondo cui: “il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia; il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza …”) si ricava la regola per cui la tempestività del deposito va verificata con riferimento al momento in cui viene generata, da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia, la ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) e, cioè, la cosiddetta “seconda p.e.c.”, la quale attesta l’ingresso della comunicazione nella sfera di conoscibilità del “sistema giustizia” (cfr., ex aliis, Cass. Sez. U. n. 22834 del 21/07/2022; Cass. n. 29357 del 10/10/2022; n. 12422 dell’11/05/2021; n. 19796 del 12/07/2021; n. 19163 del 15/09/2020; n. 4787 del 1/03/2018; n. 1366 del 19/01/2018).
Resta fermo, ovviamente, che si tratta di effetto (solo) “anticipato e provvisorio rispetto all’ultima PEC” e, dunque, subordinato “al buon fine dell’intero procedimento di deposito, che è quindi fattispecie a formazione progressiva”, sicché esclusivamente con l’accettazione del cancelliere (la quarta p.e.c.), “e solo a seguito di essa, si consolida l’effetto provvisorio anticipato di cui alla seconda PEC e, inoltre, il file viene caricato sul fascicolo telematico, divenendo così visibile alle controparti” (v. Cass. n. 28982 dell’8/11/2019; n. 17404 del 20/08/2020; 27654 del 21/09/2022).
In presenza di “errore fatale” ovvero “non gestibile” – qual è quello nella specie segnalato al procuratore della controricorrente – ovvero, di rigetto della busta da parte della cancelleria, l’avvocato depositante dovrà, dunque, pur sempre provvedere ad effettuare un nuovo deposito.
Sennonché, può accadere – ed è nella specie accaduto – che la segnalazione dell’errore fatale arrivi qualche giorno dopo l’invio della busta telematica e in data posteriore alla scadenza di eventuali termini perentori.
In siffatte evenienze il depositante risulterà senz’altro decaduto dal termine, ma – per pacifica giurisprudenza (v. in particolare Cass. n. 19163 del 2020, cit.) – lo stesso depositante potrà ricorrere all’istituto della remissione in termini di cui all’art. 153, secondo comma, c.p.c.
In tale quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, per poter accedere alla rimessione in termini è sufficiente ma anche necessario il deposito della c.d. seconda ricevuta, attestante l’avvenuta consegna (RdAC) al gestore di posta elettronica Ministero della Giustizia della busta contenente l’atto inviato per il deposito.
Ciò è quanto, nella specie, può ritenersi dimostrato dalla parte sia attraverso il deposito telematico del messaggio RdAC datato 19 aprile 2022 denominato “CONSEGNA: DEPOSITO Comparsa di costituzione D.D. (Omissis)”, sia soprattutto attraverso il deposito della mail indirizzata al difensore dal Gruppo Referenti Processo Telematico Cassazione presso la Corte Suprema di Cassazione, recante ad oggetto “Re: deposito controricorso e relativi allegati R.G.n. 6650/2022”, con la quale si comunica che “i depositi del 19 e 20 sono arrivati con un errore fatale e non possono essere elaborati dai nostri sistemi, in quanto è errato l’ufficio di destinazione nel dati atto. È stato indicato Contenzioso invece di Cassazione Civile”.
La parte ha inoltre tempestivamente depositato, in data 4 maggio 2022, nota con la quale, dato atto di quanto accaduto (e sopra riferito), ha chiesto alla Corte di essere rimessa in termini e per l’effetto di poter depositare nuovamente il tutto in via telematica.
È alla data, dunque, del 19 aprile 2022 che occorre aver riferimento per valutare la tempestività del deposito e non a quella del 4 maggio 2022, che segna soltanto il momento in cui, a seguito del rideposito resosi necessario per rimediare all'”errore fatale”, è stata generata la necessaria p.e.c. di accettazione del deposito da parte della cancelleria.
Può dunque ritenersi documentato che il termine ex art. 370 cod. proc. civ. (testo previgente) di venti giorni dalla notifica del controricorso (a sua volta tempestiva in quanto avvenuta, come documentato in atti, il 6 aprile 2022) è stato rispettato.
Ciò precisato, può adesso procedersi allo scrutinio dei ricorsi.
Ricorso principale (Arch. A.A.) e relativo scrutinio.
5. Con il primo motivo del ricorso principale, l’Arch. A.A. denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, per avere la Corte erroneamente ritenuto sussistente la responsabilità ex artt. 2043 e 2050 c.c. del direttore dei lavori nonostante lo stesso avesse dato direttive precise sulle modalità di svolgimento dell’opera, disattese dall’appaltatore e per aver ritenuto responsabile il direttore dei lavori per omessa vigilanza in considerazione delle ridotte dimensioni dell’opera di escavazione, con violazione anche del disposto di cui all’art. 2050 c.c. e dell’art. 1176 c.c., non avendo tenuto conto della diligenza nell’adempimento in relazione alla concreta natura dell’attività esercitata posta in essere dal direttore lavori”.
Lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto, in maniera contraddittoria e non supportata da idonei riscontri probatori, che il direttore dei lavori risponda dei danni cagionati in solido col proprietario, essendo obbligato ad attuare quella stessa sorveglianza ed ingerenza cui è tenuto il proprietario, senza tenere in debito conto (con conseguente violazione anche dell’art. 116 c.p.c.) o comunque ritenendo insufficiente la direttiva data di non procedere con i lavori sotto una certa quota se non previa realizzazione di pali di sostegno.
Sostiene che erroneamente, in violazione dell’art. 2050 cod. civ., la Corte ha parificato la condotta del Direttore dei Lavori che aveva dato specifiche direttive per eseguire il lavoro nel rispetto della regola dell’arte e della tutela della sicurezza, con il soggetto (Global Srl) che materialmente ha effettuato in modo incauto, insicuro e contrario alle predette indicazioni l’operazione che ha condotto al crollo per cui è causa; errore ancor più apprezzabile – afferma – avuto riguardo al ristrettissimo lasso di tempo intercorso tra l’attività della Global effettuata in spregio delle direttive di sicurezza impartite (25/10/2017) e l’evento dannoso realizzatosi in conseguenza di tale attività (notte tra il 25 e il 26/10/2017); circostanza questa che – soggiunge – rende di tutta evidenza che la Global ha approfittato dell’assenza del Direttore dei Lavori per agire in contrasto con le prescrizioni ricevute e il danno conseguente si è verificato nell’arco di una notte, impedendo di fatto qualunque controllo.
6. Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello non ha omesso di considerare che il A.A. aveva dato le necessarie direttive circa le cautele da osservare nella esecuzione dello scavo di fondazione (v. sentenza, pag. 27: “gli elementi istruttori consentono di ritenere che nella fattispecie in esame il direttore dei lavori aveva impartito alla Global Srl le necessarie istruzioni circa le modalità di esecuzione dell’escavazione”), ma lo ha nondimeno ritenuto responsabile del danno per aver omesso di adempiere all’ulteriore obbligo connesso al suo incarico di vigilare attentamente circa il rispetto e la corretta osservanza di quelle direttive.
La premessa in iure di tale statuizione è corretta e non incorre nella denunciata violazione di norme; il compito del direttore dei lavori non si esaurisce, invero, nel dare direttive ma richiede anche una adeguata attività di vigilanza in cantiere circa la corretta ed effettiva osservanza delle stesse oltre che, naturalmente, del progetto, funzionale del resto anche alle modifiche o integrazioni che possano rendersi necessarie in relazione allo sviluppo concreto dei lavori (compreso l’eventuale ordine di sospensione degli stessi).
È vero che tale connesso obbligo non si traduce in quello di una costante e continua presenza in cantiere, ma ciò non significa che il direttore dei lavori non possa e non debba essere presente in quelle fasi della lavorazione che maggiormente richiedano, secondo valutazione che egli certamente è in grado di compiere, attenzione e vigilanza.
Il giudizio della Corte marchigiana si muove all’interno di tale impostazione logico-giuridica. Premesso che “non incombe … sul direttore dei lavori l’obbligo di presenza giornaliera all’interno del cantiere” ma certamente gli compete di seguire la realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi, “attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi”, rileva la Corte in punto di fatto che, proprio in virtù di tale premessa, la presenza in cantiere del D.L. nella fase che ha condotto allo scavo dannoso sarebbe stata possibile e doverosa e, per contro, la sua assenza fonte di responsabilità (v. sentenza, pag. 27: “le necessarie istruzioni circa le modalità di esecuzione dell’escavazione, la delicatezza della situazione derivante oltre che dalle condizioni del terreno, dovute alle precedenti precipitazioni atmosferiche, anche dalla peculiarità della fase di costruzione, per la riconosciuta eventualità della necessità di procedere ad operazioni di sostegno della vecchia fondazione con dei pali, evidenzia l’esistenza di elementi di rilievo tali che avrebbero richiesto il controllo della fase di escavazione da parte del direttore dei lavori tenuto, peraltro, conto delle ridotte dimensioni dell’intervento e dei tempi necessari alla sua realizzazione”).
La censura si risolve nella meramente oppositiva affermazione della sufficienza delle direttive già impartite e della inesigibilità di una presenza effettiva in cantiere, ma appare evidente che, nella sua prima parte, è infondata in iure, nella seconda si infrange contro la natura meritale della contraria valutazione della Corte, congruamente motivata e come tale insindacabile.
7. Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, per avere la Corte erroneamente condannato l’arch. A.A. al pagamento delle spese legali in solido con la Global Srl, anche nei confronti dei terzi chiamati in causa dalla Global Srl con violazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 332 c.p.c. poiché le parti in causa vittoriose non erano state evocate dall’arch. A.A.”.
Rileva che:
– le altre parti del giudizio diverse da quelle originarie (UGF Assicurazioni, ora Unipolsai Assicurazioni, Impresa Edile E.E., D.D. Srl) non erano state evocate nel giudizio da esso ricorrente;
– egli non aveva proposto alcuna domanda nei loro confronti, né in primo, né in secondo grado;
– le posizioni processuali dei summenzionati chiamati in causa concernevano uno sgravio di responsabilità e/o manleva propugnati dalla Global;
– solo per ragioni di corretta instaurazione del contraddittorio in sede di gravame egli, nell’instaurare il giudizio di secondo grado, aveva convenuto tutte le parti in causa, anche quelle non da lui chiamate in causa nel corso del giudizio di primo grado;
– tali soggetti si sono costituiti nel giudizio d’appello da lui promosso (iscritto al n. 2118/2017 R.G. Corte d’Appello di Ancona) e, parimenti, si sono costituiti in quello promosso dalla Global Srl (iscritto al n. 2104/2017 R.G.);
– i suddetti giudizi, proseguiti inizialmente in maniera separata, sono stati successivamente riuniti dalla Corte d’Appello;
– la sentenza di primo grado aveva correttamente condannato unicamente la Global al pagamento delle spese legali delle parti dalla stessa evocate in giudizio.
8. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
Si trae dallo svolgimento del processo quale narrato nella sentenza impugnata che, in effetti, gli appellati diversi dalle originarie attrici (UGF Assicurazioni, ora Unipolsai Assicurazioni, Impresa Edile E.E., D.D. Srl) erano stati evocati nel giudizio di primo grado dalla Global e non da esso odierno ricorrente, il quale non aveva proposto alcuna domanda nei loro confronti degli stessi, né il suo gravame aveva investito in alcun modo le statuizioni che li riguardavano.
Non può dunque dubitarsi che gli appelli contestualmente trattati concernevano rapporti distinti e che si versasse in ipotesi di scindibilità di cause, non esclusa dal vincolo di solidarietà dal lato passivo dell’obbligo risarcitorio affermato, sulla base di titoli diversi, ex art. 2055 cod. civ., in capo al A.A. ed alla Global.
In tale contesto viene dunque in rilievo il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e fondatamente evocato in ricorso, secondo cui nell’ipotesi di cause scindibili ex art. 332 c.p.c., la notifica dell’appello proposto dal convenuto soccombente nei confronti degli altri convenuti vittoriosi nel giudizio di primo grado non ha valore di vocatio in ius ma di mera litis denuntiatio, sicché questi ultimi non diventano, per ciò solo, parti del giudizio di gravame, né sussistono i presupposti per la condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite in loro favore, ove gli stessi non abbiano impugnato incidentalmente la sentenza, atteso che, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., detta pronuncia presuppone la qualità di parte nonché la soccombenza (Cass, n. 34174 del 15/11/2021, Rv. 662844; Cass. n. 5508 del 21/03/2016, Rv. 639030; n. 2208 del 16/02/2012, Rv. 621530).
La sentenza impugnata non si conforma a tale principio, avendo erroneamente attribuito il peso delle spese sostenute dagli appellati diversi dalle originarie attrici in via solidale anche all’odierno ricorrente.
Essa va pertanto sul punto cassata.
Ricorso successivo (Global Srl unipersonale).
9. Con il primo motivo del proprio ricorso la Global Srl unipersonale denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 2050 e 2043 cod. civ., in subordine art. 2055 cod. civ., per avere la Corte d’Appello escluso la responsabilità dell’appaltatore (D.D. Srl), tale ritenuto in sentenza e non mero noleggiatore, sul rilievo che questo era stato indotto ad eseguire le errate istruzioni impartite dal committente quale nudus minister in ragione della decisa richiesta dallo stesso avanzata nei (soli) confronti del proprio dipendente.
Rileva che tale richiesta non aveva in alcun modo vincolato l’attività dell’appaltatore; a fronte di essa questi aveva, infatti, il potere dovere di prendere tutte le iniziative necessarie per la corretta attuazione del contratto, di controllare gli atti attraverso i quali si esplicava l’ingerenza del committente e di contestare, sotto il profilo tecnico, quelli che potevano comportare una sua responsabilità anche per i danni arrecati a terzi; detto potere dovere non era stato esercitato (con ciò incorrendo in grave colpa) per fatto del proprio dipendente, il quale, avendo ricevuto la richiesta, anziché immediatamente opporsi e/o immediatamente consentire al proprio datore il controllo della richiesta e la contestazione, l’aveva attuata senza esprimere alcuna riserva e ricevere l’insistenza del committente.
Sostiene che, in tale contesto, avrebbe dovuto affermarsi la responsabilità dell’appaltatore: esclusiva – atteso che, anche in presenza di una eventuale colpa del committente nell’emanazione della richiesta, il doveroso comportamento diligente (nel senso suddetto) dell’appaltatore avrebbe evitato i danni annullando la rilevanza causale di detta eventuale colpa – o, quanto meno, concorrente.
10. Gli altri tre motivi – dal secondo al quarto – investono la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato il rigetto della domanda di garanzia avanzata dalla Global nei confronti della compagnia assicuratrice, in ragione della ritenuta inoperatività della polizza assicurativa.
10.1. In particolare, con il secondo motivo, essa denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ.
Deduce che una corretta interpretazione della clausola, alla luce dei criteri di cui alle norme predette, avrebbe dovuto limitarne la portata ai soli “lavori che implichino sottomurature” e non dunque ai lavori di cui nella specie si tratta, i quali non comprendevano interventi di sottomuratura ma l’escavazione ad un livello inferiore delle fondazioni e per i quali la sottomuratura si sarebbe resa necessaria solo per evitare danni a terzi.
Sostiene, in altre parole, che l’esclusione della garanzia opera, a termini di contratto, nella sola ipotesi in cui i danni a cosa provocati da cedimento o franamento del terreno “derivino da lavori che implicano sottomurature e non dal mancato svolgimento degli stessi” (v. ricorso, pag. 23, primo cpv.).
10.2. Il terzo motivo denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ., lamentandosi sul punto anche la “assoluta incoerenza ed illogicità” della sentenza, per “radicale inadeguatezza della motivazione, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti”.
Si deduce la “palese illogicità” della motivazione poiché “fa rientrare il caso di specie nella clausola di esclusione della garanzia, che prevede l’esecuzione di lavori che implicano sottomurature nonostante che i suddetti lavori non abbiano interessato le sottomurature in quanto omessi” (v. ricorso, pag. 25).
10.3. Con il quarto motivo, infine, si denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369 e 1370 cod. civ.
Si sostiene che, sia secondo buona fede (1366 c.c.), sia per fornire della polizza un’interpretazione che non la privasse completamente di alcun senso effettivo (1367 c.c.) e che fosse coerente con la natura e l’oggetto del contratto (1369 c.c.), sarebbe stato necessario ammettere, in primo luogo, che la copertura riguardasse anche il cedimento del terreno derivante dall’attività di demolizione e che l’esclusione della garanzia di cui al punto 1.10 del contratto andava intesa come relativa a danni derivanti dall’esecuzione di lavori di sottomuratura.
Si rileva, infine, che, ai sensi dell’art. 1370 cod. civ. l’incertezza sul significato da riconoscere alle clausole escludenti la copertura assicurativa avrebbe dovuto essere superata a favore dell’assicurato, essendo stata la polizza predisposta unilateralmente dalla compagnia.
Ricorso incidentale condizionato (D.D. Srl).
11. Con l’unico motivo del proprio ricorso incidentale condizionato la D.D. Srl denuncia, per il caso di accoglimento del ricorso della Global, “violazione dell’art. 360 c. 1, n 3 e 5 c.p.c. per falsa applicazione dell’art. 1655 c.c. per inquadramento del contratto verbale concluso tra la Global Srl e la D.D. Srl nella figura di contratto di appalto piuttosto che in quella atipica del contratto di “nolo a caldo” anche per errata e/o omessa valutazione di fatti trattati in corso di causa: titolazione ed emissione della fattura n 3 del 30.01.2008 … e intimazione di sospensione dei lavori diretta non alla ditta D.D. Srl bensì alla ditta Global Srl”.
Lamenta che, ai fini della qualificazione del contratto, la Corte territoriale non abbia sufficientemente e compiutamente valutato sia la fattura emessa a tre mesi di distanza dall’evento: lasso di tempo che avrebbe consentito alla Global la contestazione, invece non opposta, della qualificazione in termini di nolo a caldo ivi contenuta.
Si duole, inoltre, dell’omessa considerazione del fatto che, come documentato in atti e fatto oggetto di dibattito nel giudizio di appello, il direttore dei lavori ordinò la sospensione dei lavori non ad essa ma alla Global Srl
Scrutinio dei ricorsi incidentali.
12. Sebbene la questione posta dal ricorso della D.D. Srl rivesta sul piano logico carattere prioritario e potenzialmente assorbente rispetto a quella posta dal primo motivo del ricorso della Global Srl, è dallo scrutinio di quest’ultimo che occorre muovere.
Ciò in base al principio, reiteratamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte e cui questo Collegio intende dare continuità, secondo cui il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito; qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass. Sez. U. n. 7381 del 25/03/2013; v. anche Cass. n. 12321 del 17/05/2017; n. 27304 del 2016; n. 23812 del 23/11/2016; in senso contrario, ma nella sola ipotesi, che qui non è dato apprezzare, in cui il ricorso incidentale condizionato sia fondato su ragione più liquida, v. Cass. n. 14039 del 21/05/2021, Rv. 661395, e, ivi richiamate, Cass. 18/11/2016, n. 23531; 19/04/2018, n. 9671).
Nella specie, la questione della qualificazione del contratto verbale intercorso tra la Global Srl e la D.D. Srl, come detto, è stata espressamente esaminata dalla Corte d’Appello e decisa, difformemente dal primo giudice, nel senso che tale contratto dovesse intendersi come di appalto e non di nolo, seppure “a caldo”.
Nondimeno la D.D. Srl è stata ritenuta esente da ogni responsabilità, risultando pertanto vittoriosa anche in appello nella controversia che la vedeva opposta alla Global, avendo la Corte anconetana ritenuto che nella specie essa avesse operato, di fatto, bensì quale impresa appaltatrice, ma in condizione di nudus minister.
Con il primo motivo del proprio ricorso la Global Srl impugna, come s’è detto, quest’ultima ratio decidendi ed è a tale censura che occorre dunque dare priorità nello scrutinio, rivelandosi l’interesse all’esame del ricorso incidentale della controparte sussistente solo nell’ipotesi in cui detto motivo debba ritenersi fondato.
13. Ebbene, è proprio a tale ipotesi che il Collegio ritiene di dover accedere.
Secondo consolidato indirizzo, perché l’appaltatore sia degradato a nudus minister del committente (o del progettista/direttore dei lavori) è necessario che il committente, da lui reso edotto di eventuali carenze ed errori di progettazione, gli richieda di dare egualmente esecuzione al progetto (Cass. 15/06/2018, n. 15732; v. anche, da ultimo, Cass. 11/12/2023, n. 34530).
Sull’appaltatore incombe, infatti, l’obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, quello di controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo (Cass. 9/10/2017, n. 23594).
Nella specie, manca la prova che l’appaltatore avesse avvertito il committente che l’esecuzione dell’opera non rispettava le regole della tecnica o che non era conforme al progetto, ma anzi vi è prova del contrario.
Si dà atto espressamente in sentenza che la D.D. Srl (ovvero il suo amministratore, organo deliberante) non era stato messo nelle condizioni di valutare l’intervento e di manifestare la propria eventuale opposizione (v. sentenza, pagg. 24-25).
Tale circostanza, però, diversamente da quanto implicitamente postula la Corte territoriale, lungi dallo scriminare l’operato dell’impresa appaltatrice (se tale era, come ritenuto in sentenza), vale solo a dimostrare che l’attività di escavazione, sia pure secondo gli ordini pressanti della committente, fu posta in essere dall’impresa senza alcun vaglio circa la sua pericolosità e il rispetto delle regole tecniche di cautela nel caso richieste; vaglio da presumersi ben rientrante nelle competenze e nella possibilità di accertamento da parte di un’impresa che svolga professionalmente l’attività di escavazione.
Il fatto che colui che operava sull’escavatore, dipendente della D.D. Srl, abbia di fatto supinamente acconsentito alle pressanti richieste del legale rappresentante della Global (committente, secondo la qualificazione data al contratto dalla Corte d’Appello), senza avvertirne il proprio datore di lavoro, costituisce in questa prospettiva mero fatto interno alla organizzazione della prima, rilevante semmai nei rapporti interni tra la stessa e il proprio dipendente, ma non può valere di per sé a integrare i presupposti perché la stessa, nei rapporti esterni con la committente, possa considerarsi quale nudus minister e andare dunque esente da responsabilità, a tal fine richiedendosi, come detto, necessariamente, la consapevolezza in capo all’appaltatore, e l’espresso avvertimento al committente, circa la non correttezza tecnica dell’intervento.
14. Mette conto peraltro a questo punto rilevare (salvo il rilievo assorbente che, anche sotto questo profilo, assume quanto appresso sarà detto con riferimento al ricorso della D.D. Srl) che l’affermazione della responsabilità dell’appaltatore non varrebbe comunque necessariamente ad escludere la concorrente responsabilità del proprietario/committente.
Va al riguardo invero rammentato, in diritto, che, in tema di danni cagionati a terzi dall’esecuzione di opere appaltate, si applica il principio per cui risponde il solo appaltatore, ove abbia operato in autonomia con propria organizzazione e apprestando i mezzi a ciò necessari, e il solo committente, nel caso in cui si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di nudus minister, mentre rispondono entrambi, in solido, qualora la suddetta ingerenza si sia manifestata attraverso direttive che abbiano soltanto ridotto l’autonomia dell’appaltatore (v. ex aliis, Cass. 24/04/2019, n. 11194).
Questa regola trova applicazione non solo quando il proprietario-committente dia in appalto lavori od opere da eseguire sopra il suolo, bensì anche quando dia in appalto lavori di escavazione nel proprio sottosuolo, avuto riguardo al principio per cui la proprietà del suolo, con le facoltà ad essa connesse, si estende al sottosuolo, ai sensi dell’art. 840 cod. civ. Al riguardo, questa Corte ha infatti affermato che la responsabilità del proprietario di un fondo per i danni derivanti da attività di escavazione, ex art. 840 cod. civ., non opera in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, sicché, nell’ipotesi in cui i lavori di escavazione siano affidati in appalto, è l’appaltatore ad essere, di regola, l’esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nell’esecuzione dell’opera, salvo che non risulti accertato che il proprietario committente, avendo – in forza del contratto di appalto – la possibilità di impartire prescrizioni o di intervenire per richiedere il rispetto delle normative di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro, nel qual caso la responsabilità dell’appaltatore verso il terzo danneggiato può aggiungersi a quella del proprietario, ma non sostituirla o eliminarla (Cass. 12/03/2021, n. 7027; tra le meno recenti, v. Cass. 17/01/2012, n.538; Cass. 25/09/2012, n. 15254; Cass. 13/03/2013, n. 6296; da ultimo, cfr. Cass. 2/02/2024, n. 3092; 11/12/2023, n. 34530).
15. Occorrendo, dunque, passare all’esame del ricorso incidentale condizionato, se ne deve rilevare la fondatezza (con il conseguente assorbimento del testé esaminato primo motivo del ricorso della Global), nei sensi appresso precisati.
15.1. Giova premettere, in linea di principio, che, come questa Corte ha avuto più volte modo di precisare, l’interpretazione e la qualificazione del contratto sono due operazioni concettualmente distinte, sebbene legate da una connessione biunivoca, in quanto volte all’unico fine che è la determinazione dell’effettivo regolamento negoziale.
La prima (l’interpretazione) precede logicamente la seconda (la qualificazione); è governata da criteri giuridici cogenti; tende alla ricostruzione del significato del contratto in conformità alla comune volontà dei contraenti.
Una volta individuata l’intenzione comune delle parti del contratto, il passaggio successivo è la sussunzione del negozio in un paradigma disciplinatorio, sì da apprezzarne l’aderenza (magari anche solo parziale e/o secondo schemi combinatori) con una fattispecie astratta, tra quelle preventivamente delineate dal legislatore oppure conformate dagli usi e dalle prassi commerciali, sebbene il contratto possa anche non coincidere affatto con il “tipo” e mantenere, come tale, la sua vocazione ad essere “legge tra le parti”, ove sia diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, cod. civ. (v. ex aliis Cass. 14/07/2016, n. 14355; 4/10/2017, n. 23171; 15/10/2021, n. 28424; 7/06/2022, n. 18320).
In siffatta prospettiva la qualificazione del contratto ha la funzione di stabilire quale sia la disciplina in concreto ad esso applicabile, con le relative conseguenze effettuali.
L’attività di interpretazione è diretta alla ricerca e alla individuazione della comune volontà dei contraenti e costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito (normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del c.d. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi del num. 5 del primo comma del citato art. 360 nella formulazione attualmente vigente a applicabile nella specie ratione temporis, ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 e ss. cod. civ.).
L’attività di qualificazione, invece, affidandosi al metodo della sussunzione, si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può formare oggetto di verifica in sede di legittimità sia per ciò che attiene alla descrizione del modello tipico cui si riferisce, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto cosi come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussunzione della fattispecie concreta nel paradigma normativo (v. Cass. 14/07/2016, n. 14355).
15.2. Tale premessa, qui pienamente condivisa, si rivela utile, nella specie, per un corretto approccio al sindacato della sentenza impugnata richiesto in funzione delle censure in esame, in quanto consente di evidenziare che l’aspetto saliente dell’attività ermeneutica svolta dal giudice di merito, sul quale al tempo stesso si concentrano le critiche della ricorrente D.D. Srl, attiene a ben vedere più propriamente alla prima delle fasi suddette, ossia alla ricerca e alla individuazione della comune volontà dei contraenti attraverso la ricognizione in punto di fatto degli elementi maggiormente indicativi.
In tale prospettiva appare cogliere nel segno la denuncia di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
La motivazione posta a fondamento della interpretazione, e poi quindi della qualificazione, del contratto come appalto appare invero gravemente inficiata dalla omessa considerazione della circostanza – che la D.D. Srl ha dimostrato, nel rispetto degli oneri di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., essere stata debitamente documentata e introdotta nel dibattito processuale – che il direttore dei lavori ebbe a rivolgere l’ordine di sospensione dei lavori non alla D.D. Srl ma esclusivamente alla Global Srl, espressamente indirizzando la missiva a “F.F., in qualità di responsabile dei lavori Amministratore Unico della Global Srl”, nel testo poi anche espressamente evidenziando che la titolarità del cantiere era in capo proprio alla Global, senza alcuna menzione invece della D.D. Srl
La rilevanza e potenziale decisività della circostanza sono indirettamente dimostrate dal fatto che la nomina di un direttore dei lavori è in sentenza considerata determinante ai fini della qualificazione del contratto, omettendosi però di considerare il rilievo che occorre attribuire al soggetto con il quale tale figura si è di fatto poi rapportata nella esplicazione dei propri compiti.
Tale aspetto appare peraltro idoneo a gettare luce anche sugli altri elementi considerati in sentenza, di per sé non incompatibili con un esito interpretativo diverso da quello ivi accolto, di guisa che il giudice di rinvio dovrà rivalutare il compendio degli elementi acquisiti alla luce di una considerazione non atomistica ma complessiva e organica degli stessi.
16. Venendo, infine, all’esame dei restanti tre motivi del ricorso incidentale della Global Srl – esame che è possibile operare in modo congiunto attesane l’evidente stretta connessione – se ne deve rilevare l’infondatezza.
16.1. Deve anzitutto escludersi che la sentenza impugnata possa tacciarsi, anche solo con riferimento al subordinato tema della copertura assicurativa invocata dalla Global, di motivazione mancante o apparente (terzo motivo di ricorso).
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. , Sez. U, n. 8053 del 7/04/2014, Rv. 629830).
Nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti.
Devesi invero ribadire che, intanto un vizio di motivazione omessa o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga), risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione.
Non può, invece, un siffatto vizio predicarsi quando, a fronte di una motivazione in sé perfettamente comprensibile, se ne intenda diversamente evidenziare un mero disallineamento dalle acquisizioni processuali (di tipo quantitativo o logico: vale a dire l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione).
In questo secondo caso, infatti, il sindacato che si richiede alla Cassazione non riguarda la verifica della motivazione in sé, quale fatto processuale riguardato nella sua valenza estrinseca di espressione linguistica (significante) diretta a veicolare un contenuto (significato) e frutto dell’adempimento del dovere di motivare (sindacato certamente consentito alla Corte di cassazione quale giudice anche della legittimità dello svolgimento del processo: cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077), ma investe proprio il suo contenuto (che si presuppone, dunque, ben compreso) in relazione alla correttezza o adeguatezza della ricognizione della quaestio facti.
Una motivazione in ipotesi erronea sotto tale profilo non esclude, infatti, che il dovere di motivare sia stato adempiuto, ma rende semmai sindacabile il risultato di quell’adempimento nei ristretti limiti in cui un sindacato sulla correttezza della motivazione è consentito, ossia, secondo la vigente disciplina processuale, per il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), salva l’ipotesi dell’errore revocatorio.
16.2. Le altre censure (secondo e quarto motivo di ricorso), con le quali si deduce l’erronea conduzione, in iure, dell’attività esegetica riferita al contratto di assicurazione, si appalesano altresì infondate, quando non inammissibili.
Secondo il pacifico e consolidato orientamento di questa Corte, l’interpretazione del contratto, traducendosi in un’operazione di ricerca ed individuazione della comune volontà dei contraenti, costituisce un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per violazione delle regole ermeneutiche (ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), oppure per inadeguatezza di motivazione (ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, ove applicabile), oppure, ancora, nel vigore del novellato testo di detta norma, per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Cass. 14/07/2016, n. 14355; v. anche, tra le altre, Cass. 22/06/2005, n. 13399). Quale che sia la censura in concreto formulata, nessuna di esse può peraltro risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice del merito, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione atteso che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data al contratto dal giudice del merito non deve essere l’unica possibile, né la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni (Cass. 2/05/2006, n. 10131; Cass. 20/11/2009, n. 24539; Cass. 15/11/2017, n. 27136; Cass. 28/11/2017, n. 28319).
Nel caso di specie la società ricorrente ha dedotto il preteso tradimento, da parte dei giudici di merito, della comune intenzione delle parti ai sensi dell’art. 1362 c.c., orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della Corte territoriale non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito ai testi e ai comportamenti negoziali interpretati, bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex art. 360, n. 3, c.p.c.) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito.
Sul punto, è appena il caso di rilevare come la Corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione della clausola in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, né spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà, per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, e del tutto scevro da residue incertezze, sì da sfuggire integralmente alle odierne censure avanzate dalla ricorrente in questa sede di legittimità.
17. In conclusione meritano accoglimento il secondo motivo del ricorso principale (proposto da A.A.) e l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato proposto dalla D.D. Srl; vanno invece rigettati il primo motivo del ricorso principale, il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale proposto dalla Global Srl unipersonale e deve essere dichiarato assorbito il primo motivo del ricorso di quest’ultima.
Per l’effetto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
18. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale Global Srl, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso da essa proposto, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato; rigetta il primo motivo del ricorso principale, il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale proposto dalla Global Srl unipersonale; dichiara assorbito il primo motivo del ricorso di quest’ultima; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale Global Srl unipersonale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2024.