IL BIOTESTAMENTO IN 5 PUNTI
(a cura del Dott. Marco Martinoia)
La legge sul testamento biologico (legge 22 dicembre 2017, n. 219) è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 16.01.2018.
Essa tratteggia un quadro coerente del rapporto tra medico e paziente, valorizzando il principio di autodeterminazione del malato nelle scelte terapeutiche.
In particolare, il testo recentemente approvato dal Senato disciplina le modalità di espressione e di revoca del consenso informato e delle D.A.T. (disposizioni anticipate di trattamento): disposizioni con le quali l’interessato esprime le proprie decisioni sul “fine vita” nell’ipotesi in cui sopravvenga una perdita irreversibile della sua capacità di intendere e di volere.
Premessa.
Dopo anni di dibattito sul tema del fine-vita e attraverso un susseguirsi di progetti di legge, lo scorso 14 dicembre, il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, cristallizzando per via legislativa i principi ormai da anni consolidati nelle aule dei Tribunali.
In seguito anche ai recenti eventi mediatici di drammatica attualità (su tutti si veda il caso del DJ Fabo) l’interesse generale si è, infatti, concentrato sull’esistenza o meno di un diritto dell’individuo di poter decidere – anche anticipatamente – sulle terapie da adottare o da evitare, nella fase terminale della propria vita.
Nella definitiva approvazione parlamentare, relativamente a queste delicate tematiche, al confine tra l’aspetto etico-religioso e quello laico-civile, ha ricoperto un ruolo decisivo anche la mutata sensibilità del mondo cattolico, testimoniata dalle parole pronunciate recentemente da Papa Francesco il quale, in relazione alla tentazione di insistere con trattamenti sanitari che non giovano al bene integrale della persona, ha richiesto un “supplemento di saggezza”.
- Biotestamento, eutanasia, suicidio assistito, sedazione terminale: concetti molto vicini ma da non confondere.
Nell’esaminare la recente approvazione della Legge sul biotestamento, in primo luogo, è importante fare un po’ di chiarezza all’interno dell’ampio tema del “fine vita” nel quale, fin troppo spesso, si confonde il significato di nozioni quali: biotestamento, eutanasia attiva o passiva, suicidio assistito e sedazione terminale.
Con il biotestamento (o testamento biologico) la persona compie una scelta, proiettata nel futuro, e fondata sul diritto di ricevere o rifiutare determinati trattamenti sanitari (anche se indispensabili per la sua sopravvivenza).
Con l’eutanasia (attiva) si richiede al medico, la somministrazione o la prescrizione di una sostanza letale per accorciare la sofferenza di un malato terminale provocandone il decesso (tale attività non può certamente essere paragonata ad un trattamento sanitario).
La sospensione delle cure (eutanasia passiva) consiste nell’interruzione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza su richiesta del paziente, nel rispetto della sua volontà ed in conformità con il principio del consenso informato.[1]
Pertanto, mentre nell’eutanasia attiva la causa (o la concausa) della morte è rappresentata proprio dalla condotta del medico, nella forma passiva essa va ricondotta esclusivamente al progredire della malattia.
Il suicidio assistito è l’aiuto medico e amministrativo portato a un soggetto che ha deciso di togliersi la vita: l’atto finale è compiuto interamente dal malato e non dai terzi i quali assistono l’interessato relativamente agli altri aspetti (ricovero, preparazione delle sostanze e gestione tecnica/legale post mortem).
Infine, nella sedazione terminale (o palliativa) i medicinali ed i relativi dosaggi utilizzati sono finalizzati alla miglior conduzione dei sintomi in un paziente terminale (attuabile con una riduzione della coscienza) e non alla rapida induzione della morte del malato, come invece accade nell’eutanasia.[2]
- Ogni individuo ha diritto (e non dovere) alla vita.
L’articolo 1 esprime, fin da subito, il punto focale della legge stabilendo che la stessa – nel rispetto dei principi della Costituzione (artt. 2, 13 e 32) e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (artt. 1, 2 e 3) – tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata”.
Di estrema rilevanza risulta essere il richiamo all’art. 32 della nostra Costituzione il quale stabilisce espressamente che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Infatti, quando una legge vuole porre un limite alla libertà individuale, deve giustificare questo “sacrificio” con il bisogno di salvaguardare degli altri interessi che siano meritevoli di tutela.[3]
Tale principio di civiltà giuridica posto a tutela della dignità umana era già stato recepito anche dal codice di deontologia medica in cui si definisce la rilevanza del consenso alle cure e delle dichiarazioni anticipate di trattamento (anche dette “living will“).[4]
La legge in commento, pertanto, evita possibili equivoci rafforzando il diritto del malato di rifiutare tutte le cure (anche vitali).
La nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale (necessari alla vita), infatti, vengono considerati dalla normativa come “trattamenti sanitari” e quindi rifiutabili.
Con tale importante precisazione vengono, così, superate le controverse implicazioni in ordine alla loro possibile sospensione (drammaticamente emerse nel caso di Eluana Englaro).
Prima della legge sul testamento biologico, invero, non si contestava il principio secondo cui nessuno può essere obbligato ad un determinato “trattamento sanitario” (art. 32 Cost.), ma si riteneva che alimentazione e idratazione non fossero tali, costituendo un mero “sostegno vitale” (non rifiutabile).[5]
- Il rapporto medico – paziente.
La novella legislativa promuove e valorizza il rapporto di cura e di fiducia tra l’équipe sanitaria ed il paziente dando la massima rilevanza al consenso informato.
Il medico deve illustrare al malato i benefici ed i rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari, nonché le possibili alternative e le conseguenze dell’eventuale rifiuto agli stessi.
Il professionista è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente anche quando questi decida di rinunciare o rifiutare un trattamento necessario alla sua sopravvivenza.
Il consenso informato è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare; ovviamente, resta ferma la possibilità per il paziente di modificare, in qualsiasi momento, la propria volontà.
Il 6° comma dell’articolo 1 prevede espressamente che, in questi casi, il medico va “esente da responsabilità civile o penale”; egli è tenuto solamente ad informare correttamente il malato delle conseguenze della sua scelta ed a promuovere ogni azione di sostegno allo stesso, anche tramite i servizi di assistenza psicologica.
La formula utilizzata dal Legislatore non deve orientare verso un richiamo all’esonero della responsabilità penale, perché, a fronte di un rifiuto valido ed efficace del paziente, il comportamento del terapeuta deve semplicemente ritenersi non illecito.[6]
Nei fatti ci si trova, nuovamente, davanti ad una consacrazione dell’esistente: già prima dell’approvazione di questa legge, una specifica richiesta del malato di non essere sottoposto a cure faceva venir meno in capo al terapeuta l’obbligo di curarlo, mancando il necessario consenso di cui all’art. 32 Cost..[7]
L’ultima parte del sesto comma dell’art. 1 prevede che il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. A fronte di tal genere di richieste, il medico non ha obblighi professionali.
Tale ultima clausola viene considerata da alcuni critici come una sorta di ancora di salvezza per il medico che, ritenendo la scelta del paziente contraria ai propri principi etici, potrebbero esercitare, in concreto, una vera e propria “obiezione di coscienza”, non prevista dalla legge in commento.[8]
Nella relazione di cura, se l’interessato lo desidera, possono essere coinvolti anche i suoi familiari, la parte dell’unione civile, il convivente o una persona di fiducia dello stesso.
Essi potranno, infatti, essere incaricati di ricevere tutte le informazioni relativamente alle condizioni di salute del paziente nonché di esprimere, in sua vece, il consenso al trattamento sanitario.
L’articolo 2 prevede che il medico, anche in caso di rifiuto o revoca del trattamento sanitario, deve adoperarsi per alleviare le sofferenze del malato.
Nei confronti del paziente con prognosi infausta, invece, il terapeuta deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure ricorrendo alla sedazione palliativa profonda.
In questi casi, infatti, l’art. 5 prevede che il paziente (correttamente informato) ed il medico possano realizzare una pianificazione delle cure condivisa in forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso video-registrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare
L’équipe sanitaria è tenuta ad attenersi a tali indicazioni quando il malato venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso.
Con tale pianificazione, pertanto, il paziente esprime una sorta di consenso proiettato al futuro se del caso anche indicando un “fiduciario”.
- I minori e gli incapaci.
Per i minori e gli incapaci, l’art. 3 prevede che il consenso informato al trattamento sanitario di questi sia espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale, dal tutore o dall’ amministratore di sostegno (la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario) nel pieno rispetto e valorizzazione della volontà e delle capacità di comprensione dell’interessato.
La decisione circa il rifiuto o meno di un trattamento sanitario può essere rimessa al giudice tutelare, solo nel caso in cui, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (D.A.T.), si formi un contrasto tra la decisione assunta dal rappresentante legale del minore (o dell’incapace) ed il parere del medico curante.
- Le D.A.T. (Disposizioni anticipate di trattamento).
Le D.A.T. sono disciplinate all’articolo 4 della legge sul testamento biologico: esse consentono ad ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari.
L’utilizzo della nozione “disposizioni” e non del termine “dichiarazioni” (utilizzato in passato) esprime chiaramente l’idea che le stesse non hanno un carattere meramente orientativo ma devono essere pienamente rispettate.[9]
L’interessato indica altresì una persona di sua fiducia che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
Il “fiduciario” (persona maggiorenne e capace di intendere e di volere) può, in ogni momento, accettare o rinunciare alla nomina. Tale designazione può, comunque, essere revocata dal disponente senza obbligo di motivazione.
Le D.A.T. mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente anche qualora non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace.
Ai sensi del quinto comma dell’articolo 4, le D.A.T. possono essere disattese dal medico, solo se, in accordo con il fiduciario, esse appaiano “palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita”.
Le D.A.T. – completamente esenti dall’obbligo di registrazione, imposta di bollo o tassazione alcuna – devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dall’interessato all’ufficiale di stato civile del suo comune di residenza.
Se le condizioni fisiche del paziente non lo consentono, possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare e con le medesime forme sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento.
Solo in situazioni di emergenza ed urgenza le D.A.T. possono essere revocate, senza seguire le forme suddette, con una dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, alla presenza di due testimoni.
L’art. 6, inoltre, precisa che ai documenti volti ad esprimere le volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il comune di residenza o presso un notaio prima della data di entrata in vigore della legge sul biotestamento, si applicano le medesime disposizioni.
[1] In tal senso, R. Cataldi, Il Biotestamento taglia il traguardo, in Studio Cataldi il diritto quotidiano, 15 dicembre 2017.
[2] Sul punto, G. Facchini, Testamento biologico: è un diritto disporre sulla propria sorte?, in Quotidiano giuridico, 29 marzo 2017.
[3] Si veda, R. Cataldi, Il Biotestamento taglia il traguardo, in Studio Cataldi il diritto quotidiano, 15 dicembre 2017.
[4] In tal senso, R. Cataldi, Il Biotestamento taglia il traguardo, in Studio Cataldi il diritto quotidiano, 15 dicembre 2017.
[5] Cfr. M. Ronco, Testamento biologico: è un diritto disporre sulla propria sorte?, in Quotidiano giuridico, 29 marzo 2017.
[6] Sul punto, G. Buffone, Legge sul biotestamento: la mappa delle novità, in Altalex, 18 dicembre 2017.
[7] Si veda, C. Cupelli, Libertà di autodeterminazione terapeutica e disposizioni anticipate di trattamento: i risvolti penalistici, in Diritto penale contemporaneo, 21 dicembre 2017.
[8] Cfr. C. Cupelli, Libertà di autodeterminazione terapeutica e disposizioni anticipate di trattamento: i risvolti penalistici, in Diritto penale contemporaneo, 21 dicembre 2017.
[9] In tal senso, Cristiano Cupelli, Libertà di autodeterminazione terapeutica e disposizioni anticipate di trattamento: i risvolti penalistici, in Diritto penale contemporaneo, 21 dicembre 2017.