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mediatore

Immobili, Condominio e Locazioni

Compravendita immobiliare: quid iuris se manca il certificato di abitabilità? (Cass. 23604/23)

IL FATTO

Gli acquirenti di alcuni singoli appartamenti convenivano in giudizio la società costruttrice e venditrice per sentire accertare l’inadempimento di detta società all’obbligo contrattualmente assunto di ottenere, entro un anno dalla stipula degli indicati atti di compravendita, la certificazione di agibilità/abitabilità, con la conseguente condanna al risarcimento dei danni.

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

Secondo la ricostruzione di questa Corte, in tema di compravendita immobiliare, la mancata consegna al compratore del certificato di abitabilità non determina, in via automatica, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l’importanza e la gravità dell’omissione in relazione al godimento e alla “commerciabilità” del bene, sicchè, ove in corso di causa si accerti che l’immobile promesso in vendita presentava tutte le caratteristiche necessarie per l’uso suo proprio e che le difformità edilizie rispetto al progetto originario erano state “sanate” a seguito della presentazione della domanda di concessione in sanatoria, del pagamento di quanto dovuto e del formarsi del silenzio-assenso sulla relativa domanda, la risoluzione non può essere pronunciata.

Medesima conclusione vale per l’atto di vendita concluso tra le parti, senza la previa stipulazione di un preliminare.

Pertanto, solo ove difettino – in termini assoluti e senza possibilità di sanatoria – i requisiti igienico-sanitari e di sicurezza per ottenere l’agibilità, la vendita può essere risolta per l’intervenuta consegna di aliud pro alio datum.

Ne deriva che, in tale ambito, deve operarsi una discriminazione qualitativa tra difformità sanabili e insanabili, collegata alla natura e alla rilevanza delle prescrizioni violate, allo scopo di diversificare sinergicamente le azioni esperibili: 1) allorchè l’inosservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie e di sicurezza si consacri in una difformità non riparabile, è integrata la fattispecie della vendita di aliud pro alio; 2) si ha, invece, vizio redibitorio oppure mancanza di qualità essenziali, allorchè il mancato rispetto delle prescrizioni sia suscettibile di sanatoria.

LA SENTENZA

Cassazione civile, Sez. II, Sentenza del 02/08/2023, n. 23604

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa M. – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. CHIECA Danilo – Consigliere –

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 13406/2018 proposto da:

A.A. (C.F.: (Omissis)) e B.B. (C.F.: (Omissis)), in proprio e quali ex socie della (Omissis) di B.B. (Omissis) Snc , rappresentate e difese, giusta procura a margine del ricorso, dall’Avv. Gaetano Bruno, elettivamente domiciliate in Roma via Alessandro Volta n. 45 scala B interno 2, presso Benevento Raffaele;

– ricorrenti – contro

Condominio (Omissis) (P.IVA: (Omissis)), in persona del suo amministratore pro – tempore, nonchè C.C. (C.F.: (Omissis)), D.D. (C.F.: (Omissis)), E.E. (C.F.: (Omissis)), F.F. (C.F.: (Omissis)), G.G. (C.F.: (Omissis)), H.H. (C.F.: (Omissis)), I.I. (C.F.: (Omissis)), L.L. (C.F.: (Omissis)), M.M. (C.F.: (Omissis)), N.N. (C.F.: (Omissis)) e O.O. (C.F.: (Omissis)), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. Gerardo Cicalese, nel cui studio in Nocera Inferiore via Cucci n. 11, hanno eletto domicilio;

– controricorrenti –

e P.P. (C.F.: (Omissis)), Q.Q. (C.F.: (Omissis)), R.R (C.F.: (Omissis)), S.S , T.T., U.U. e V.V.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 510/2018, pubblicata il 19 aprile 2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 luglio 2023 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Tommaso Basile, che ha chiesto il rigetto del ricorso con riferimento a tutti i motivi articolati, ribadendole nell’udienza pubblica;

vista la memoria depositata nell’interesse dei controricorrenti, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Svolgimento del processo

1.- Con atto di citazione notificato il 15/23 settembre 2004, il Condominio (Omissis) in (Omissis), via (Omissis), e i condomini P.P., D.D., L.L. e Q.Q., nella qualità di acquirenti dei singoli appartamenti realizzati dalla ditta costruttrice e venditrice (Omissis) di B.B. (Omissis) Snc , convenivano, davanti al Tribunale di Nocera Inferiore, la (Omissis) di B.B. (Omissis) Snc nonchè i soci A.A. e B.B., per sentire: a) accertare l’inadempimento della società alienante all’obbligo contrattualmente assunto di ottenere, entro un anno dalla stipula degli indicati atti di compravendita, la certificazione di abitabilità, con la conseguente condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, nella misura di Euro 15.000,00, in favore di ciascuno degli attori acquirenti, ovvero in quella diversa, maggiore o minore, ritenuta di giustizia; b) identificare nell’area di risulta del lotto di terreno utilizzato dalla società convenuta per la realizzazione del fabbricato condominiale, situata sui lati nord ed est, lo spazio da assoggettare all’inderogabile uso normativamente previsto e, quindi, all’esercizio del diritto reale d’uso per il parcheggio delle proprie autovetture, dichiarando la società costruttrice, unitamente ai soci, inadempiente all’obbligo sancito dall’inderogabile normativa urbanistica, con il conseguente obbligo di garantire, in favore degli acquirenti, il diritto reale d’uso nell’area di parcheggio e con l’accertamento della nullità delle clausole contrarie contenute nei titoli contrattuali di acquisto; c) accertare che la rampa di accesso al piano seminterrato era stata realizzata in una posizione diversa rispetto a quella prevista in progetto e, per l’effetto, condannare i convenuti allo spostamento della stessa nella posizione prevista, con la contestuale, necessaria demolizione del locale interrato, non riportato nei grafici progettuali e quindi costruito abusivamente sullo spazio che avrebbe dovuto invece essere occupato dalla rampa.

Si costituivano in giudizio la (Omissis) di B.B. (Omissis) Snc nonchè i soci A.A. e B.B., i quali resistevano alle avverse domande e, in via riconvenzionale, chiedevano che gli attori fossero condannati al pagamento di quanto dovuto per la destinazione dell’area a parcheggio, estendendo il contraddittorio anche nei confronti dei restanti condomini del fabbricato.

Pertanto, il contraddittorio era instaurato anche verso I.I., N.N., H.H., G.G., M.M., S.S , F.F., E.E., R.R , T.T., O.O. e Z.Z. (il quale rimaneva contumace).

Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d’ufficio.

Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 224/2009, depositata il 13 febbraio 2009, dichiarava che l’area da asservire permanentemente ad uso di parcheggio del fabbricato fosse quella di cui alla particella n. 65, colorata in verde nella planimetria allegata ai chiarimenti resi dal consulente tecnico d’ufficio, e dichiarava altresì che su tale area – che restava di proprietà del costruttore-venditore in base alla riserva contenuta nei rogiti di compravendita – i condomini avessero il diritto reale d’uso dietro pagamento di un canone, sicchè, in accoglimento della spiegata riconvenzionale, condannava ciascuno dei condomini al pagamento delle somme dovute a tale titolo, oltre ai canoni futuri, determinati nella misura mensile complessiva di Euro 500,00 (di cui Euro 31,25 per ciascun condomino), rigettando tutte le altre domande proposte.

2.- Proponevano appello il Condominio (Omissis) e i condomini, i quali lamentavano: a) l’erroneo disconoscimento dell’inadempimento del venditore per la mancata consegna della certificazione di abitabilità, con la conseguente ridotta commerciabilità di ciascun appartamento compravenduto, chiedendo che fosse quantificato il danno subito da ciascun condomino per tale carenza; b) l’erronea statuizione sulla previsione del diritto reale d’uso dell’area di parcheggio e sul conseguente inadempimento della società venditrice, negando che alla costruttrice-venditrice spettasse alcun canone per la destinazione dell’area a parcheggio.

Si costituivano nel giudizio d’impugnazione la (Omissis) di B.B. (Omissis) Snc nonchè i soci A.A. e B.B., i quali resistevano all’appello e ne chiedevano la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto, con la conferma della pronuncia appellata.

Si costituivano altresì separatamente i condomini T.T. e S.S , i quali aderivano alle richieste formulate dagli appellanti.

Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Salerno, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva per quanto di ragione l’appello e, per l’effetto: – riconosceva nell’area di mq. 386,90 di risulta del lotto di terreno utilizzato dalla società convenuta per la realizzazione del fabbricato condominiale, rappresentata e colorata in verde nella planimetria allegata alla relazione di consulenza tecnica d’ufficio, lo spazio da assoggettare all’esercizio del diritto reale d’uso per il parcheggio delle autovetture dei condomini, dichiarando la società costruttrice e i soci obbligati a garantire il diritto reale d’uso su tale area mediante la delimitazione e chiusura con idoneo cancello d’ingresso e il relativo rilascio; – accertava l’inadempimento della società costruttrice all’obbligo di consegnare a ciascun acquirente il certificato di agibilità relativo al singolo immobile alienato; – rigettava le ulteriori domande avanzate dagli appellanti, ivi incluse le istanze risarcitorie per mancanza di prova.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava, per quanto qui interessa: a) che la società costruttrice si era impegnata a recintare l’area da destinare a parcheggio, posta al servizio del fabbricato con posti auto esterni e verde atTREZZAto, come da relazione di variante presentata al Comune di (Omissis) in data 19 dicembre 1997; b) che, in sede di verifica peritale, era stato accertato che una parte di tale area, per mq. 230 circa, era stata occupata dalla (Omissis) con macchine edili e non era delimitata, sicchè l’accesso poteva avvenire a cura di chiunque; c) che, in ragione della proporzione stabilita dalla legge di un metro quadro per ogni 10 metri cubi di costruzione, doveva essere riconosciuta un’area di parcheggio pari a mq. 386,90, da identificarsi nella planimetria verde allegata all’elaborato peritale e da destinare al diritto reale d’uso, sicchè la società venditrice e costruttrice doveva considerarsi inadempiente; d) che, nondimeno, al riconosciuto inadempimento non poteva seguire la condanna al risarcimento dei danni, in difetto di alcuna dimostrazione degli stessi; e) che doveva essere riformata la statuizione che aveva riconosciuto alla società costruttrice il diritto a percepire un canone per l’utilizzo degli spazi da destinare a parcheggio, con la condanna dei condomini a versare tali canoni, poichè il riequilibrio del sinallagma funzionale del contratto doveva realizzarsi attraverso il riconoscimento all’alienante di un conguaglio ovvero di un’integrazione del prezzo di vendita; f) che la società venditrice era inadempiente all’obbligo assunto con gli atti di compravendita di far conseguire agli acquirenti, entro un anno dalla stipula degli atti, la certificazione di abitabilità, e ciò anche nell’ipotesi in cui si fosse potuto ritenere che la società avesse ottenuto l’abitabilità in applicazione dell’art. 4 del D.P.R. n. 425/1994, per maturazione della fattispecie del silenzio-assenso, poichè comunque non aveva consegnato a ciascun acquirente il certificato; g) che tuttavia i condomini non avevano provato il danno derivante dalla mancanza di tali certificati e la relativa incidenza sulla commerciabilità degli appartamenti, nè avevano dimostrato di aver sostenuto dei costi ai fini di ottenere il certificato di abitabilità.

3.- Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, A.A. e B.B., in proprio e quali ex socie della (Omissis) di B.B. (Omissis) Snc Hanno resistito con controricorso gli intimati Condominio (Omissis) e i condomini C.C., D.D., E.E., F.F., G.G., H.H., I.I., L.L., M.M., N.N. e O.O..

4.- Il Pubblico Ministero ha formulato per iscritto le sue conclusioni, come riportate in epigrafe.

5.- I controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1.- In primo luogo deve essere disattesa l’eccezione sollevata dai controricorrenti, che hanno prospettato l’inammissibilità del ricorso per mancata esposizione sommaria dei fatti di causa, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. Ed invero, dall’analisi dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità è possibile evincere i passaggi salienti della vicenda processuale nelle sue articolazioni essenziali, con precipuo riguardo agli sviluppi del procedimento rispetto alle domande proposte e alle ragioni delle doglianze sollevate.

2.- Tanto premesso, con il primo motivo le ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1374 e 1419 c.c. nonchè dell’art. 41-sexies della L. n. 1150 del 1942, per avere la Corte di merito rigettato la domanda riconvenzionale proposta dal costruttore-venditore e dai soci quanto al pagamento del canone d’uso, dopo aver riconosciuto il diritto reale d’uso in favore dei condomini sull’area di parcheggio di mq. 386,90 di risulta del lotto di terreno utilizzato per la costruzione del fabbricato, spazio di parcheggio in ordine al quale il proprietario costruttore-venditore aveva riservato a sè la proprietà nei singoli atti di compravendita degli appartamenti.

E ciò – a dire delle istanti – in violazione del precetto secondo cui spetta al venditore originario il diritto all’integrazione del prezzo che ha la funzione di riequilibrio del sinallagma funzionale del contratto, ove appunto tale diritto non sia stato trasferito contestualmente al passaggio di proprietà dell’unità abitativa.

Sicchè nella fattispecie sarebbe emerso che il costruttore aveva lasciato a disposizione dei condomini l’area esterna di cui si era riservata la proprietà, consentendo ai predetti di parcheggiare liberamente le proprie auto, con la conseguente spettanza del canone d’uso, il cui importo complessivo, alla data del febbraio 2007, secondo le risultanze peritali, sarebbe ammontato ad Euro 85.140,00.

2.1.- Il motivo è infondato.

Infatti, con la proposta domanda riconvenzionale la società costruttrice e i suoi soci hanno richiesto espressamente il pagamento, nei confronti di ciascuno degli acquirenti, del canone d’uso dell’area da destinare a parcheggio per tutta la durata di tale uso, anche con riferimento alle provvigioni maturande, per la prosecuzione di detto asservimento, successivamente alla pronuncia della sentenza.

All’esito il Tribunale aveva riconosciuto tale canone, secondo una quantificazione capitalizzata per il pregresso, e aveva altresì disposto che per il futuro ciascun acquirente versasse alla società costruttrice-venditrice e ai soci un canone mensile di Euro 31,25 (per un totale mensile complessivo di Euro 500,00), oltre adeguamento agli indici Istat.

Siffatta declaratoria correttamente è stata riformata dalla sentenza d’appello.

Ora, in tema di spazi riservati a parcheggio nelle nuove costruzioni, ai sensi dell’art. 41-sexies della L. n. 1150 del 1942, il riconoscimento del diritto d’uso del parcheggio spettante ex lege agli acquirenti delle singole unità immobiliari, escluso dall’atto negoziale di trasferimento, fa sorgere in capo all’originario alienante il diritto all’integrazione del prezzo di vendita.

Nondimeno, il diritto all’integrazione del corrisD.D.vo non è convertibile in un canone fisso mensile senza determinazione di durata, in quanto ciò sarebbe in contrasto con la natura giuridica del diritto acquistato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11578 del 11/05/2017; Sez. 2, Sentenza n. 346 del 10/01/2011; Sez. 2, Sentenza n. 10199 del 28/04/2010; Sez. 2, Sentenza n. 20563 del 29/07/2008; Sez. 3, Sentenza n. 18691 del 06/09/2007; Sez. 2, Sentenza n. 13143 del 09/09/2003).

Ora, a fronte dell’espressa richiesta del pagamento di un canone d’uso, peraltro esteso anche al godimento futuro dell’area, la domanda non avrebbe potuto essere convertita nel riconoscimento di un’integrazione del prezzo d’acquisto, attesa l’eterogeneità dei beni della vita che connotano le due domande.

3.- Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del D.P.R. n. 425/1994, per non avere il Giudice del gravame riconosciuto che, a seguito del perdurante silenzio dell’Amministrazione comunale sull’istanza volta ad ottenere il certificato di abitabilità, si fosse formato il silenzio-assenso.

Inoltre, espongono le ricorrenti che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sarebbe stata perpetrata, in ordine a tale punto, anche la violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 62, 115, 194 e 195 c.p.c. nonchè dell’art. 2697 c.c., per la mancata considerazione della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Giudice di primo grado, giacchè la Corte d’appello avrebbe dovuto almeno indicare in sentenza i motivi per i quali intendeva disattendere le risultanze della consulenza ritualmente acquisita in giudizio e la sua positiva verifica.

Con l’ulteriore violazione dell’art. 1460 c.c., posto che l’avvenuta consegna degli appartamenti e il godimento effettivo da parte degli acquirenti, protrattosi per tutto il corso del giudizio (per oltre 10 anni), avrebbero costituito prova della sussistenza di tutte le caratteristiche igienico-sanitarie necessarie per l’impiego abitativo.

Sostengono le istanti che la società costruttrice, all’esito del rilascio della certificazione di piena conformità alle concessioni edilizie a cura del direttore dei lavori, aveva chiesto al Comune di (Omissis) la certificazione di abitabilità e che tale certificazione, in applicazione della vigente normativa, era stata attestata, atteso che nulla mai il Comune aveva osservato nei termini di legge, con l’effetto che, trascorsi 45 giorni dalla data di presentazione della domanda, l’abitabilità doveva intendersi concessa.

Osservano poi le ricorrenti che a tale conclusione era approdato anche il consulente tecnico d’ufficio, il quale, a pag. 6 della relazione peritale e alle pag. 2 e 3 dei chiarimenti resi, aveva affermato che la certificazione di abitabilità era stata regolarmente depositata dall’impresa (Omissis) in data 2 maggio 2001, con prot. n. 7513, presso il Comune di (Omissis) e che, decorsi 45 giorni, il Comune non aveva eccepito o chiesto nulla.

Aggiungono che lo stesso consulente, rispondendo alla richiesta espressamente formulata dalla Corte d’appello con apposita ordinanza, aveva rilevato che il Comune aveva confermato l’esistenza della domanda di abitabilità e l’assenza di ogni sua risposta.

3.1.- La doglianza è inammissibile.

Il motivo, infatti, non aggredisce in modo puntuale la ratio decidendi, rispetto alla quale la sentenza impugnata ha accertato l’inadempimento della società costruttrice all’obbligo di consegnare il certificato di abitabilità agli acquirenti.

Detta pronuncia non esclude che possa essere maturata la fattispecie del silenzio-assenso, ma incentra la valutazione circa l’integrazione dell’inadempimento sulla mancata consegna della certificazione idonea a rendere “commerciabili” (recte maggiormente appetibili sul mercato, posto che il difetto della certificazione non inficia la validità del contratto) gli appartamenti in favore dei singoli acquirenti, in ottemperanza all’obbligo di consegna espressamente assunto in ciascun atto di acquisto.

E ciò anche limitatamente ad un’attestazione confermativa della maturazione della fattispecie del silenzio-assenso, per effetto della debita presentazione di un’istanza di rilascio del certificato, cui non sia seguito alcun provvedimento della P.A. nei termini stabiliti dalla normativa vigente ratione temporis.

3.2.- Ebbene, in tema di licenza di abitabilità di immobili oggetto di compravendita, qualora si sia formata la fattispecie di assenso delineata dall’art. 4 del D.P.R. n. 425/1994 (poi abrogato dal D.P.R. n. 380 del 2001), il costruttore-venditore – che, al momento del rogito o nel corso del giudizio, offra la documentazione attestante la regolare presentazione dell’istanza e il decorso del tempo idoneo ad integrare la fattispecie legale tipica del silenzio-assenso – ha assolto ai propri obblighi di diligenza ai fini dell’abitabilità (oggi agibilità) dell’immobile promesso in vendita.

Tuttavia, è a carico dell’alienante l’onere, a richiesta del notaio rogante o dell’acquirente, di comprovare che l’istanza sia stata presentata con il dovuto corredo documentale.

Ne consegue che, in caso di contestazione, in sede giurisdizionale, circa la sussistenza di fatto dei requisiti urbanistici e igienico-sanitari, ove la contestazione non sia meramente esplorativa o dilatoria, ma sia puntuale e specifica, in modo da consentirne una verifica mirata, l’autorità giurisdizionale procedente può rivolgersi all’ente locale competente perchè manifesti espressamente se ravvisa la sussistenza delle condizioni per l’abitabilità dell’immobile e, in mancanza di risposta alla richiesta di informazioni del giudice, deve farsi luogo a istruttoria ed eventuale accertamento tecnico al fine di una pronuncia sul punto controverso, che avrà effetto limitatamente alle parti contraenti in contesa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26506 del 19/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 8918 del 04/05/2016; Sez. 2, Sentenza n. 24729 del 07/10/2008).

In adesione a tale impostazione, il giudice di merito ha conferito incarico al consulente tecnico d’ufficio perchè verificasse l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie e la maturazione del silenzio-assenso.

3.3.- Giova, a questo punto, delineare le direttrici, normative e giurisprudenziali, intorno alle quali si sviluppa l’istituto del certificato di agibilità, allo scopo di trarne le debite conclusioni in ordine alla questione posta con il motivo in scrutinio.

3.4.- Sul piano normativo, la disposizione introduttiva dell’istituto era rappresentata dall’art. 221 del R.D. n. 1265/1934 (T.U. delle leggi sanitarie), il quale stabiliva che, in materia di costruzione, ricostruzione, sopraelevazione e modificazione di case urbane o rurali o parti di esse contemplate dal precedente art. 220, tali edifici non potessero “essere abitati senza autorizzazione del sindaco, il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario e di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità”.

La disciplina è stata ripetutamente rivisitata, con particolare riguardo al procedimento di rilascio del certificato, al fine di rendere le operazioni più agili e di favorire la certezza dello status giuridico dell’edificio.

Segnatamente, con l’art. 4, comma 10, del D.L. n. 328/1993, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 493/1993, si è proceduto a sostituire i controlli da effettuarsi ai fini del rilascio del certificato di abitabilità, in caso di inadempienza degli uffici comunali, con una dichiarazione resa da un professionista abilitato.

Per converso, gli artt. 4 e 5 del D.P.R. n. 425/1994 hanno complessivamente riordinato la materia attraverso l’abrogazione esplicita dell’art. 221, comma 1, del R.D. n. 1265/1934 e la contestuale introduzione di un regime sensibilmente difforme dal precedente.

In specie, l’art. 4 del D.P.R. n. 425/1994 ha posto, in capo al proprietario dell’immobile della cui abitabilità si intende fare richiesta, l’onere di inoltrare la relativa domanda, allegando una serie di certificati attestanti i requisiti di salubrità, igiene e conformità del bene al progetto.

La medesima norma ha previsto altresì, alternativamente, il rilascio del certificato di abitabilità da parte del sindaco entro 30 giorni dalla richiesta, oppure un rapido procedimento di silenzio-assenso, che si snoda in due fasi, tali per cui l’abitabilità si ha per attestata, in via provvisoria, 45 giorni dopo la presentazione della domanda e, in via definitiva, una volta che siano trascorsi ulteriori 180 giorni, in assenza di ispezione comunale avente esito negativo.

Successivamente il certificato di abitabilità è stato disciplinato dagli artt. 24-26 del D.P.R. n. 380 del 2001, entrato in vigore il 30 giugno 2003, che ha sostituito la vecchia dizione di “certificato di abitabilità” con quella di “certificato di agibilità”.

In ordine a detta regolamentazione, è stabilito che il soggetto titolare del permesso di costruire o il soggetto che ha presentato la denuncia di inizio attività, o i loro successori o aventi causa, sono tenuti a chiedere il rilascio del certificato di agibilità in tutti i casi di interventi edilizi relativi a nuove costruzioni, ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali, nonchè di interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1 del medesimo articolo.

La formulazione normativa dell’art. 24, comma 1, T.U. Edilizia ha ampliato il valore legale della certificazione, statuendo che il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente.

La disposizione ha ancora provveduto alla semplificazione del procedimento di rilascio del certificato, tramite la concentrazione delle competenze presso lo sportello unico per l’edilizia e la previsione di una forma di silenzio-assenso, in caso di mancata risposta dell’amministrazione entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza da parte dell’interessato, corredata dagli appositi documenti richiesti dalla legge.

Quindi, il D.Lgs. n. 222/2016, nel modificare la disciplina in tema di agibilità, non allude più al rilascio di apposita certificazione, neanche mediante la procedura del silenzio-assenso, posto che la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati è valutata secondo quanto dispone la normativa vigente, con l’effetto che la conformità dell’opera al progetto presentato dovrà essere attestata mediante “segnalazione certificata”.

Ne consegue la sostanziale assunzione di responsabilità da parte del professionista, tenuto ad attestare la sussistenza dei requisiti di legge, senza che sia rilasciato un apposito provvedimento espresso e senza che maturi un titolo avente natura provvedimentale mediante silenzio-assenso.

Sicchè, ai fini dell’agibilità, entro 15 giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro successori o aventi causa, presenta allo sportello unico per l’edilizia la “segnalazione certificata” degli interventi realizzati.

In caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per la presentazione della segnalazione certificata di agibilità, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, nel termine di 30 giorni dal ricevimento della segnalazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’utilizzo e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di esso.

3.5.- Tanto premesso quanto all’evoluzione del plesso normativo dedicato all’istituto, occorre, a questo punto, indagare sulle conseguenze (come articolate dalla giurisprudenza di legittimità) che discendono dalla “carenza” del certificato o licenza di abitabilità (recte di agibilità).

“Carenza” cui si fa riferimento in termini ambigui, sia per indicare la mancanza (sostanziale) delle condizioni sottese al rilascio dell’attestazione, sia per significare il difetto (formale) del documento in sè.

3.5.1.- In primis, deve escludersi che la carenza sostanziale o formale dell’agibilità infici la validità “strutturale” del contratto traslativo per illiceità dell’oggetto.

Ne discende che il rilievo in forza del quale l’abitazione sia priva dell’agibilità non determina comunque la nullità del contratto per la sua incommerciabilità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16216 del 16/06/2008; Sez. 2, Sentenza n. 24957 del 29/11/2007; Sez. 2, Sentenza n. 3687 del 29/03/1995; Sez. 2, Sentenza n. 8199 del 11/08/1990).

Non è dato altresì rintracciare una norma imperativa, che contempli l’obbligo di un preventivo rilascio del certificato in questione e, dunque, neppure è configurabile una nullità “virtuale”.

Nè si può escludere che le parti, nella loro autonomia, abbiano un meritevole interesse a contrattare ex art. 1322 c.c., pur in assenza del certificato.

Ed invero, l’attività costruttiva non viene in gioco nel contratto come oggetto della prestazione, ma solo in chiave strumentale, con l’effetto che è la costruzione di un immobile senza l’osservanza delle prescrizioni igieniche, di salubrità, sicurezza (e in tema di risparmio energetico) a colorare di illecito l’attività del costruttore o del venditore, il che, ad ogni modo, non implica l’illiceità dell’oggetto della vendita.

Da tali considerazioni emergono rilevanti conseguenze pratiche anche in ordine alla prestazione professionale cui è tenuto il notaio, che non può rifiutare di ricevere l’atto di vendita in mancanza del certificato, atteso che l’ordinamento riconosce al pubblico ufficiale rogante la facoltà di rifiutare legittimamente il suo ministero solo a fronte di atti espressamente proibiti dalla legge, ossia nei casi in cui la nullità sia comminata espressamente o sia desumibile in modo inequivoco.

Il che comunque non lo esonera da un obbligo qualificato di informativa delle parti quanto alla rilevazione di detta “carenza”.

3.5.2.- Accertato che l’assenza del certificato non comporta un vizio genetico del contratto, i riflessi dell’inagibilità non possono che operare sul piano dell’attuazione del programma negoziale.

La parte che si duole di detta carenza è dunque legittimata esclusivamente – e a certe condizioni – a rivendicare l’alterazione del sinallagma funzionale.

3.5.2.1.- Superato è, in proposito, l’orientamento che riconduceva la mancanza dei requisiti di agibilità all’art. 1489 c.c., ossia alla possibilità di richiedere la risoluzione del contratto di vendita o la riduzione del prezzo ove la cosa alienata fosse stata gravata da oneri o diritti reali o personali di godimento di terzi “non apparenti”, idonei a diminuirne il libero godimento e non dichiarati in contratto, di cui il compratore non avesse avuto conoscenza.

In base a questo orientamento, la violazione, da parte del promittente alienante di un immobile, dell’obbligazione assunta col contratto preliminare di provvedere a rendere l’immobile stesso conforme alle prescrizioni di legge, ivi comprese quelle concernenti le condizioni per il rilascio del certificato di abitabilità, avrebbe legittimato il promissario acquirente, appunto in applicazione analogica del disposto dell’art. 1489 c.c., a richiedere la risoluzione di detto contratto, senza che vi ostasse l’astratta possibilità, per quest’ultimo, di accertare presso la competente amministrazione il difetto delle prescritte autorizzazioni amministrative alla realizzazione dell’opera, in quanto essa non avrebbe integrato gli estremi dell’apparenza del difetto medesimo ovvero della sua concreta conoscenza o conoscibilità con l’ordinaria diligenza (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4786 del 28/02/2007; Sez. 2, Sentenza n. 1781 del 23/02/1994; Sez. 3, Sentenza n. 1479 del 18/04/1975).

Orbene, le deficienze rilevanti allo scopo (nella struttura, nella composizione, nell’aspetto estrinseco) sono apparenti, nonostante la “non apparenza” degli atti specificamente rilasciati dalla P.A. E, ad ogni modo, l’assenza dei requisiti di abitabilità non integra un onere o un vincolo o un peso, bensì una limitazione funzionale dell’immobile, potenzialmente incidente sulla sua concreta destinazione, il che preclude l’inquadramento sistematico della fattispecie nell’alveo della norma innanzi evocata.

3.5.2.2.- Piuttosto, in adesione al consolidato indirizzo giurisprudenziale, la mancanza dei requisiti funzionali all’agibilità incide sulla regolarità giuridica del rapporto negoziale e, all’esito, può importare la risoluzione del contratto.

Secondo la ricostruzione di questa Corte, in tema di compravendita immobiliare, la mancata consegna al compratore del certificato di abitabilità non determina, in via automatica, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l’importanza e la gravità dell’omissione in relazione al godimento e alla “commerciabilità” del bene, sicchè, ove in corso di causa si accerti che l’immobile promesso in vendita presentava tutte le caratteristiche necessarie per l’uso suo proprio e che le difformità edilizie rispetto al progetto originario erano state “sanate” a seguito della presentazione della domanda di concessione in sanatoria, del pagamento di quanto dovuto e del formarsi del silenzio-assenso sulla relativa domanda, la risoluzione non può essere pronunciata (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3419 del 03/02/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 34882 del 25/11/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 4467 del 11/02/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 29173 del 20/10/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 22144 del 03/08/2021; Sez. 2, Sentenza n. 17123 del 13/08/2020; Sez. 2, Sentenza n. 29866 del 18/11/2019; Sez. 6-2, Ordinanza n. 12226 del 18/05/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 11653 del 14/05/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 29090 del 05/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 7547 del 23/03/2017; Sez. 6-2, Ordinanza n. 22561 del 23/10/2014; Sez. 2, Sentenza n. 13231 del 31/05/2010; Sez. 2, Sentenza n. 6548 del 18/03/2010; Sez. 2, Sentenza n. 3851 del 15/02/2008; Sez. 2, Sentenza n. 8199 del 11/08/1990).

Medesima conclusione vale per l’atto di vendita concluso tra le parti, senza la previa stipulazione di un preliminare.

3.5.2.3.- Pertanto, solo ove difettino – in termini assoluti e senza possibilità di sanatoria – i requisiti igienico-sanitari e di sicurezza per ottenere l’agibilità, la vendita può essere risolta per l’intervenuta consegna di aliud pro alio datum.

E ciò anche quando alla pronta verifica dell’insussistenza delle condizioni di igiene, salubrità e sicurezza si accompagni il formale (ed evidentemente inappropriato) rilascio della certificazione di agibilità, rilevando, nella specie, il vizio sostanziale correlato ad una carenza strutturale e non il mero dato formale dell’attestazione confermativa del rispetto delle prescrizioni (non corrispondente alla realtà dei fatti).

Ne deriva che, in tale ambito, deve operarsi una discriminazione qualitativa tra difformità sanabili e insanabili, collegata alla natura e alla rilevanza delle prescrizioni violate, allo scopo di diversificare sinergicamente le azioni esperibili: 1) allorchè l’inosservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie e di sicurezza si consacri in una difformità non riparabile, è integrata la fattispecie della vendita di aliud pro alio; 2) si ha, invece, vizio redibitorio oppure mancanza di qualità essenziali, allorchè il mancato rispetto delle prescrizioni sia suscettibile di sanatoria.

Ed invero, la progressione della gravità “qualitativa” delle carenze rilevate, in correlazione con i rimedi esperibili, si adegua alla consolidata ripartizione elaborata in sede nomofilattica (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 2064 del 24/01/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 33149 del 16/12/2019; Sez. 2, Sentenza n. 13782 del 31/05/2017; Sez. 6-1, Ordinanza n. 14165 del 12/07/2016; Sez. 2, Sentenza n. 28419 del 19/12/2013; Sez. 2, Sentenza n. 10285 del 29/04/2010; Sez. 3, Sentenza n. 18859 del 10/07/2008; Sez. 2, Sentenza n. 5202 del 07/03/2007; Sez. 2, Sentenza n. 13925 del 25/09/2002; Sez. 2, Sentenza n. 2712 del 23/03/1999; Sez. 2, Sentenza n. 244 del 13/01/1997; Sez. 2, Sentenza n. 2681 del 21/03/1994; Sez. 2, Sentenza n. 1866 del 15/02/1992; Sez. 2, Sentenza n. 13268 del 10/12/1991; Sez. 3, Sentenza n. 1261 del 04/03/1981; Sez. 3, Sentenza n. 1914 del 16/05/1975; Sez. 3, Sentenza n. 228 del 28/01/1972; Sez. 3, Sentenza n. 500 del 13/02/1968; Sez. 3, Sentenza n. 2939 del 21/12/1964; Sez. 3, Sentenza n. 1833 del 11/07/1964) nei termini che seguono.

A) Si ricade nel campo di operatività della garanzia edilizia in senso tecnico per vizi redibitori (rilevante sul piano oggettivo), con riferimento alla cosa consegnata, qualora questa presenti imperfezioni che la rendano inidonea all’uso cui dovrebbe essere destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.

B) Si ha, invece, mancanza di qualità essenziali quando – in ragione delle alterazioni subite – la cosa appartenga, per sua natura o per gli elementi che la caratterizzano, ad un tipo o ad una specie diversa da quella pattuita, pur rimanendo nell’ambito dello stesso genere.

C) Per contro, sussiste consegna di aliud pro alio, che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c., qualora il bene consegnato sia completamente eterogeneo rispetto a quello pattuito, per natura, individualità, consistenza e destinazione, cosicchè, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa e, quindi, a fornire l’utilità presagita.

3.5.2.4.- In applicazione di tale criterio distintivo, solo allorchè l’immobile presenti “insanabili” violazioni di disposizioni urbanistiche, incidenti eziologicamente sulle condizioni di igiene, salubrità e sicurezza, non essendo il cespite oggettivamente in grado di soddisfare le esigenze concrete di sua utilizzazione, diretta o indiretta, ad opera del compratore, si realizza un inadempimento qualificato che può dar luogo alla risoluzione del contratto, siccome conseguente alla vendita di aliud pro alio (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14900 del 29/05/2023; Sez. 2, Sentenza n. 39369 del 10/12/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 4826 del 19/02/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 30950 del 27/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 3851 del 15/02/2008; Sez. 2, Sentenza n. 17140 del 27/07/2006; Sez. 2, Sentenza n. 1391 del 11/02/1998).

In adesione a questa ricostruzione, l’aliud pro alio è integrato sia nel caso di differenza strutturale, sia in caso di alterazione qualitativa che può determinare la degenerazione della cosa, il suo declassamento, a condizione che il difetto di qualità, in rapporto con quanto pattuito fra le parti, faccia della cosa, in sè e per sè, una res “irrimediabilmente” diversa, inidonea a soddisfare quella certa destinazione.

Dal che deriva la possibilità di esperire l’ordinaria azione di risoluzione, a norma dell’art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dagli artt. 1495 e 1497 c.c. Per converso, la facoltà di sanare le difformità riscontrate rispetto alle prescrizioni di igiene, salubrità e sicurezza, qualunque esse siano, evidentemente esclude ontologicamente che il cespite alienato sia radicalmente eterogeneo rispetto al modello pattuito, tanto da comprometterne definitivamente la funzione economico-sociale.

In tali casi è indispensabile, invece, accertare in concreto se, alla stregua della natura (quid), del modo di manifestarsi (quomodo) e dell’entità della relativa esternazione (quantum) del requisito (igienico, sanitario, di sicurezza o inerente al risparmio energetico) inosservato, sia realizzata una mera imperfezione o alterazione relativa al processo di fabbricazione, di produzione, di formazione e di conservazione della res ovvero un più consistente discostamento dal tipo o dalla specie, alla stregua della privazione delle qualità essenziali inerenti alla sua natura e agli elementi sostanziali, benchè non sia pregiudicata la preponderante prevalenza degli elementi che la caratterizzano ai fini della classificazione nel medesimo genere.

Siffatta indagine deve essere compiuta avuto riguardo ai requisiti minimi da rispettare quanto a superficie e altezze, aerazione, illuminazione, protezione dalla umidità e dalle intemperie, condizioni impiantistiche, acustica, come stabiliti dal D.M. n. 5 luglio 1975 (c.d. decreto Salute) – fino all’adozione di un nuovo decreto, in attuazione dell’art. 20, comma 1-bis, del T.U. Edilizia -, fatte salve le prescrizioni derogatorie di cui ai regolamenti edilizi comunali.

3.5.3.- Deve essere, infine, affrontato il nodo relativo alla mancanza di alcun atto attestante l’agibilità (quale mero requisito formale), nonostante ricorrano le condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza per il suo rilascio.

Detta ipotesi si riferisce alla mancanza del documento in sè, pur sussistendo la conformità alle norme igienico-sanitarie e di sicurezza in senso sostanziale.

Sicchè il cespite ha un’oggettiva attitudine a soddisfare le aspettative dell’acquirente, ma difetta l’espletamento della pratica amministrativa atta al conseguimento del documento relativo all’agibilità, allo scopo di consentire al medesimo acquirente di rendere “commerciabile” il cespite acquistato (recte maggiormente appetibile sul mercato).

E’ opportuno puntualizzare che il certificato di agibilità e il permesso di costruire sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo edilizio è finalizzato all’accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche (Cons. Stato, Sez. VI, Sentenza n. 10340 del 23/11/2022; Sez. VI, Sentenza n. 6780 del 02/08/2022; Sez. VI, Sentenza n. 3666 del 10/05/2021; Sez. VI, Sentenza n. 8180 del 29/11/2019).

L’inosservanza delle norme edilizie e urbanistiche può nondimeno rilevare in via riflessa sull’agibilità, ove implichi altresì il mancato adeguamento alle prescrizioni igienico-sanitarie, di sicurezza e di risparmio energetico.

Tanto chiarito, ai sensi dell’art. 1477, ultimo comma, c.c., il venditore deve consegnare i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all’uso della cosa venduta, obbligo ex lege tra cui rientra anche quello relativo alla consegna del certificato di agibilità (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9226 del 20/05/2020; Sez. 62, Ordinanza n. 12226 del 18/05/2018; Sez. 2, Sentenza n. 2438 del 08/02/2016; Sez. 2, Sentenza n. 5778 del 12/03/2014; Sez. 2, Sentenza n. 23157 del 11/10/2013; Sez. 2, Sentenza n. 12260 del 17/07/2012; Sez. 2, Sentenza n. 14899 del 06/07/2011; Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009; Sez. 2, Sentenza n. 13225 del 22/05/2008; Sez. 2, Sentenza n. 4513 del 28/03/2001; Sez. 2, Sentenza n. 1363 del 18/02/1999).

Ebbene, per quanto anzidetto, il difetto della consegna del certificato – quando sia appurata la ricorrenza delle condizioni sostanziali che ne avrebbero giustificato il rilascio – non può dare luogo alla risoluzione del contratto, in quanto siffatta deficienza attiene ad un aspetto meramente formale e non influisce, per definizione, sulla funzione economico-sociale della res alienata, la cui identità sul piano statico e dinamico corrisponde esattamente all’oggetto della pattuizione.

Pertanto, qualora manchi la documentazione amministrativa, ma siano presenti in concreto i requisiti richiesti dalla legge per l’agibilità, non si può attivare il rimedio della risoluzione, presupponendo il ricorso a detto rimedio la verifica, sul piano oggettivo e subiettivo, dell’importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7187 del 04/03/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 8220 del 24/03/2021; Sez. 2, Sentenza n. 15052 del 11/06/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 4022 del 20/02/2018; Sez. 2, Sentenza n. 10995 del 27/05/2015; Sez. 3, Sentenza n. 22346 del 22/10/2014; Sez. 2, Sentenza n. 7281 del 27/03/2014).

Verifica che, rispetto ad un difetto meramente formale, è evidentemente propedeutica ad un esito negativo (ossia all’esclusione del grave inadempimento), salvo che il venditore o il promittente alienante abbia espressamente garantito il rilascio della certificazione di agibilità, assicurando la piena regolarità della struttura e la consegna della relativa documentazione.

E ciò appunto tenuto conto in chiave comparativa dell’interesse oggettivo del creditore all’adempimento della prestazione attraverso l’accertamento che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonchè di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l’intensità.

Nondimeno, tale mancanza importa comunque un inadempimento per inesattezza giuridica della prestazione, benchè in concreto esso sia di scarsa importanza.

Pertanto, a fronte di detta carenza documentale, può essere proposta domanda di esatto adempimento, semprechè l’acquirente non ne fosse a conoscenza e, di conseguenza, non l’abbia espressamente accettata (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1897 del 23/01/2023; Sez. 2, Sentenza n. 17123 del 13/08/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 20426 del 02/08/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 30950 del 27/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 25427 del 12/11/2013; Sez. 2, Sentenza n. 259 del 08/01/2013; Sez. 2, Sentenza n. 16024 del 14/11/2002; Sez. 2, Sentenza n. 3687 del 29/03/1995; Sez. 2, Sentenza n. 10616 del 05/11/1990; Sez. 2, Sentenza n. 8450 del 20/08/1990; Sez. 2, Sentenza n. 1991 del 25/02/1987; Sez. 2, Sentenza n. 6403 del 06/12/1984; Sez. 2, Sentenza n. 201 del 17/01/1978; Sez. 1, Sentenza n. 2050 del 22/06/1972; Sez. 3, Sentenza n. 581 del 06/03/1970).

In simile evenienza sussisteranno altresì gli estremi per ottenere il risarcimento dei danni, conseguenti al mancato rilascio, purchè l’an, il quomodo e il quantum di detto nocumento siano dimostrati.

Altrimenti la riparazione non spetterà, specie allorchè sia stato accertato che tale circostanza non ha impedito all’avente diritto di utilizzare pienamente il bene come abitazione, senza che questi abbia concretamente subito quei pregiudizi economici che sarebbero potuti astrattamente derivare dalla mancanza del suddetto certificato, anche in termini di esborso di spese necessarie per la sua materiale acquisizione (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 12226 del 18/05/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 30950 del 27/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 259 del 08/01/2013; Sez. 3, Sentenza n. 7529 del 15/05/2003; Sez. 2, Sentenza n. 12507 del 17/12/1993; Sez. 2, Sentenza n. 1377 del 20/04/1976; per il risarcimento del danno ex se, invece, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 25418 del 10/10/2019).

3.5.3.1.- Non può dunque essere condiviso l’orientamento a mente del quale la mancata consegna del certificato di agibilità, quand’anche siano osservate le prescrizioni igienico-sanitarie, di sicurezza e sul risparmio energetico, integrerebbe comunque un’ipotesi di aliud pro alio datum, per carenza di un requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, fattispecie idonea ad ottenere la risoluzione per inadempimento del venditore, finanche allorchè il mancato rilascio dipenda da colpa della P.A. (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23265 del 18/09/2019; Sez. 2, Sentenza n. 1514 del 26/01/2006; Sez. 2, Sentenza n. 2729 del 25/02/2002; Sez. 2, Sentenza n. 829 del 29/01/1983).

In questa prosPETTIva, anche secondo un filone della dottrina, il rilascio del certificato di agibilità costituirebbe un attestato legale dell’abitabilità dell’immobile e non già un mero adempimento formale, posto che la sua carenza condurrebbe alla totale ablazione del diritto, facendo venir meno ogni possibilità di utilizzo dalla cosa.

3.5.3.2.- Tuttavia, avverso tale ultima ricostruzione si può replicare che l’attività amministrativa consistente nell’accertamento dello stato igienico-sanitario e di sicurezza degli ambienti, ai fini del rilascio del certificato di agibilità, ha natura vincolata (presupponendo l’accertamento di una situazione di fatto), sebbene impinga nell’esercizio di potestà pubblicistiche che la norma di relazione – attributiva del potere – teleologicamente relativizza, in via diretta ed immediata, al soddisfacimento di interessi (non già del singolo ma) della collettività (ossia dell’interesse pubblico al rispetto delle condizioni minimali di vivibilità degli ambienti destinati alla permanenza delle persone).

Ebbene, proprio in ragione di ciò, sul piano civilistico, deve essere valorizzato il rispetto in concreto delle prescrizioni igienico-sanitarie e di sicurezza dell’immobile, al fine di escludere che l’inadempimento del venditore nella consegna del certificato di agibilità integri gli estremi dell’inottemperanza grave, idonea ad incidere sul sinallagma funzionale.

D’altronde, solo in relazione all’effettiva esistenza delle ragioni sostanziali sottese a tale documentazione il certificato di agibilità costituisce un elemento integrante la stessa identità giuridica e prima ancora oggettuale dell’immobile compravenduto, incidendo sulla corretta rappresentazione del bene e costituendo, al pari di altre caratteristiche fattuali, una delle ragioni determinanti (se non la principale) di induzione del compratore all’acquisto di un immobile a fini abitativi.

Con la conseguenza che l’attestazione non rileva in sè, ma in quanto dichiarativa dell’osservanza delle relative prescrizioni.

Ne discende che l’assenza del certificato di agibilità rappresenta un vizio che rende la cosa venduta difforme nel genere o nel sottogenere da quella pattuita – ossia un’ipotesi di aliud pro alio datum – esclusivamente allorchè difettino irrefutabilmente i requisiti sostanziali legittimanti il suo rilascio.

Per converso, tali tratti distintivi non sono incisi dalla mera carenza del documento finale, che non è idoneo ad ingenerare un’eterogenea funzione economico-sociale del bene.

3.5.3.3.- Tutto ciò non esclude che il promissario acquirente possa rifiutare la stipula del definitivo fino al momento in cui non riceva la consegna di tale atto – o che, a fronte della stipula del definitivo di vendita, l’acquirente possa pretenderne il rilascio -, salvo che quest’ultimo non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’agibilità o comunque abbia esonerato il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24317 del 05/08/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 19749 del 22/09/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 12324 del 23/06/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 10665 del 05/06/2020; Sez. 2, Sentenza n. 2196 del 30/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 10820 del 11/05/2009; Sez. 2, Sentenza n. 15969 del 19/12/2000).

Trattasi di soluzione che costituisce una piana applicazione del principio di buona fede, rendendo così attuale l’obbligo del promittente venditore o dell’alienante di consegnare il certificato in questione, attese le richieste della controparte, specie se avvenute in prossimità proprio della scadenza del termine per la stipula del definitivo, e con il chiaro intento quindi di mettere a disposizione del notaio rogante tutta la documentazione idonea ad assicurare la verifica circa la regolarità del bene (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 622 del 14/01/2019; Sez. 2, Sentenza n. 13438 del 30/06/2016; Sez. 2, Sentenza n. 23926 del 27/12/2012; Sez. 62, Ordinanza n. 8272 del 12/04/2011).

3.6.- In definitiva, alla “mancanza” del certificato di abitabilità (recte del certificato di agibilità) possono essere ricondotte le seguenti diverse fattispecie, con eterogenee conseguenze:

a) il difetto della richiamata certificazione può essere ascrivibile all’assenza (in senso sostanziale-funzionale), in radice, dei requisiti di conformità igienico-sanitaria, di sicurezza e sul risparmio energetico, volti a rendere abitabile o agibile l’immobile – assenza che non sia sanabile in termini assoluti -: in tal caso, il bene oggetto del negozio traslativo (o della promessa di vendita) assume connotazioni completamente diverse da quelle pattuite (ossia appartiene ad un genere o sottogenere diverso, rivelandosi funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta), con la correlata possibilità di esperire l’azione di risoluzione (per vendita di aliud pro alio), senza soggiacere alle strettoie decadenziali e prescrizionali delle garanzie edilizie;

b) oppure la mancanza sostanziale dei requisiti igienico-sanitari può determinare un vizio della cosa alienata ovvero una mancanza di qualità essenziali, laddove le difformità accertate siano sanabili e, dunque, non abbiano un’incidenza strutturale e funzionale sulla destinazione economico-sociale del bene;

c) in ultimo, la carenza della relativa certificazione può avere un rilievo esclusivamente formale-documentale, in quanto, pur sussistendo i requisiti di conformità alle prescrizioni igienico-sanitarie, di sicurezza e sul risparmio energetico, la pratica amministrativa volta ad ottenere il rilascio di tale attestazione non sia stata avviata o ultimata, a cura dell’alienante o del promittente venditore, in tal caso derivandone a priori che il contratto non può essere risolto, atteso che l’inadempimento dedotto non è talmente grave da dar luogo ad uno squilibrio funzionale del sinallagma negoziale, sebbene possa esserne invocato l’adempimento e possa essere azionata la relativa tutela risarcitoria.

3.7.- Applicati tali precetti al caso di specie, ben poteva essere disposto dalla Corte distrettuale l’esatto adempimento ai fini di ottenere materialmente il certificato di agibilità ovvero altra documentazione attestante con certezza il perfezionamento della pratica amministrativa, all’esito dell’istanza proposta dal venditore, pur non sussistendo gli estremi dell’inadempimento grave.

E tanto tenuto conto che, nel caso di specie, i controricorrenti hanno evocato, nel corpo dell’atto di costituzione nel giudizio di legittimità, riproducendone integralmente il contenuto, l’attestazione rilasciata dal Comune di (Omissis) in data 14 novembre 2006 al nominato consulente tecnico d’ufficio (evidentemente prima delle verifiche integrative successivamente disposte), nella quale si affermava che, fino a quella data, non risultava pervenuta, presso il Settore Assetto del Territorio, alcuna istanza di rilascio di certificato di abitabilità/agibilità, relativa all’immobile di cui al Condominio (Omissis), sito in (Omissis), via (Omissis), in esecuzione delle concessioni richiamate.

Sicchè, pur a fronte della maturata fattispecie del silenzio-assenso, era esigibile che gli acquirenti potessero ottenere un documento attestante l’effettiva agibilità del cespite, anche in relazione all’impegno espressamente assunto nei singoli atti di vendita.

4.- Con il terzo motivo le ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 345 c.p.c., per avere la Corte territoriale disposto la condanna degli appellati a delimitare e chiudere, con idoneo cancello di ingresso, l’area in questione nonchè a rilasciarla libera e vuota da persone e cose, in favore del Condominio e dei costituiti condomini, benchè detta domanda fosse tardiva, perchè formulata per la prima volta nelle conclusioni rassegnate all’udienza del 21 novembre 2008, in ordine alla quale le controparti avevano dichiarato espressamente di non accettare il contraddittorio.

Pertanto, obiettano le istanti che tale domanda non avrebbe potuto essere accolta in sede di gravame.

4.1.- La censura è fondata nei limiti che seguono.

Anzitutto, la richiesta di delimitazione dell’area da destinare a parcheggio costituiva una mera specificazione della domanda sin dall’origine proposta – volta ad identificare, nell’area di risulta del lotto di terreno utilizzato dalla società convenuta per la realizzazione del fabbricato condominiale, situata sui lati nord ed est, lo spazio da assoggettare all’inderogabile uso normativamente previsto e, quindi, all’esercizio del diritto reale d’uso per il parcheggio delle proprie autovetture, dichiarando la società costruttrice, unitamente ai soci, inadempiente all’obbligo sancito dall’inderogabile normativa urbanistica -, con il conseguente obbligo di garantire, in favore degli acquirenti, il diritto reale d’uso nell’area di parcheggio.

Ora, la mera specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi di essa, non comporta la prospettazione di una nuova causa petendi in aggiunta a quella dedotta in primo grado e, pertanto, non dà luogo ad una domanda nuova, come tale inammissibile in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9266 del 19/04/2010; Sez. 3, Sentenza n. 14961 del 28/06/2006; Sez. 3, Sentenza n. 26079 del 30/11/2005).

Senonchè, in applicazione di tale precetto, nell’originaria pretesa di individuazione e delimitazione dell’area da destinare a parcheggio deve reputarsi inglobata la richiesta di ottenerne l’effettiva fruizione, attraverso il rilascio libero e vuoto da persone e cose, in favore del Condominio e dei costituiti condomini, stante che – a fronte della formale identificazione di detta superficie in quella richiamata dalla planimetria di colore verde, allegata alla relazione peritale – l’occupazione per 2/3 a cura dei macchinari della società costruttrice-venditrice e l’accesso indiscriminato di terzi ne avrebbero impedito l’effettivo asservimento al diritto reale d’uso.

E tanto perchè la previsione della delimitazione dell’area e di condanna al rilascio ha trovato genesi in una circostanza specifica accertata in corso di causa, ossia nel fatto denunciato dagli attori e comprovato in sede di indagini peritali che l’area che avrebbe dovuto essere asservita al vincolo di parcheggio, in realtà, era occupata dalla società (Omissis) con macchinari e con l’installazione di un cantiere.

La Corte di merito ha dato, infatti, atto che nella relazione peritale era stato evidenziato che una parte di circa mq. 230, ossia quasi 2/3 dell’intera area asservita, era parzialmente occupata da macchine edili della stessa ditta (Omissis), impiegate per il cantiere aperto sull’area limitrofa, ed era altresì delimitata con rete di protezione; che, inoltre, in mancanza di un cancello di chiusura, il relativo accesso avveniva anche a cura di soggetti estranei.

A fronte di questa evenienza ha trovato una puntuale giustificazione la pronuncia sulla delimitazione e sul relativo rilascio.

Per converso, la domanda reiterata in appello (a fronte della tardiva proposizione nel giudizio di primo grado solo all’udienza di precisazione delle conclusioni) – cui è corrisposta la disposta condanna degli appellati a chiudere, con idoneo cancello di ingresso, tale superficie – integra una domanda nuova, come tale inammissibile, in quanto estranea all’oggetto della pretesa originaria, ossia al riconoscimento del diritto di parcheggiare le proprie auto.

E ciò indipendentemente dalla causa che vi ha dato luogo: ossia l’asserito impegno della costruttrice alla chiusura dell’area, come assunto nei singoli rogiti di vendita.

Ciò non toglie che la relativa pretesa avrebbe presupposto la formulazione della domanda sin dall’instaurazione del giudizio di primo grado, con la citazione introduttiva, il che non è accaduto.

5.- Con il quarto motivo le ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione degli artt. 1374 e 1419 c.c. nonchè dell’art. 41-sexies della L. n. 1150 del 1942, per avere la Corte distrettuale disposto la delimitazione e chiusura con idoneo cancello d’ingresso dell’area in questione nonchè il relativo rilascio, in favore del Condominio e dei condomini, senza che vi fosse la legittimazione del Condominio e senza che vi fosse uno specifico obbligo del costruttore di chiudere tale area, a fronte dell’esistenza di un mero diritto d’uso degli acquirenti degli immobili.

Sicchè la società costruttrice sarebbe stata gravata dal solo obbligo di destinare l’area a parcheggio, in base alla volumetria dello stabile, ma non già di isolare l’area.

5.1.- Il motivo è assorbito dall’accoglimento della precedente censura.

D’altronde, vi è difetto di interesse in ordine alla eccezione sollevata di carenza di legittimazione attiva del Condominio, posto che la domanda è stata proposta congiuntamente dal Condominio e dai condomini, quali acquirenti dei singoli appartamenti.

6.- Con il quinto motivo le ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., per avere la Corte d’appello accolto il gravame, a fronte di una statuizione rispetto alla quale gli appellanti erano già vittoriosi nel giudizio di prime cure, nonostante l’eccezione di inammissibilità sollevata dagli appellati.

E ciò con precipuo riferimento all’accertamento dell’asservimento permanente ad uso di parcheggio dell’area, come identificata dal consulente tecnico d’ufficio, attraverso il richiamo alla planimetria di colore verde allegata ai chiarimenti da quest’ultimo resi.

6.1.- La censura è infondata.

Infatti, attraverso la specifica doglianza sollevata dagli appellanti, è stata esattamente individuata l’estensione dell’area asservita in mq. 386,90 (a fronte del generico riferimento di cui alla sentenza di prime cure), alla stregua della proporzione con i metri cubi della costruzione, e si è proceduto, all’esito, a disporne il rilascio, ai fini di garantire l’effettivo esercizio del diritto di uso (prospettato solo in astratto dal Tribunale).

Sotto questo profilo, dunque, la pronuncia d’appello, conformemente al tenore dei motivi di impugnazione spiegati, non è meramente reiterativa della statuizione già adottata in primo grado, ma garantisce l’effettiva fruizione della superficie asservita, attraverso la previsione della delimitazione e del rilascio, dopo aver previsto la sua estensione ed avere proceduto alla relativa identificazione (con il richiamo all’area di cui alla planimetria di colore verde allegata ai chiarimenti resi dall’ausiliario del giudice).

7.- Con il sesto motivo le ricorrenti contestano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di secondo grado omesso ogni statuizione con riferimento alla domanda proposta dagli appellanti nei confronti dell’Avv. Gaetano Bruno, costituitosi nel giudizio d’appello con comparsa depositata il 20 aprile 2009, reclamando l’infondatezza del gravame nei suoi confronti.

7.1.- La doglianza è inammissibile.

Ed infatti gli odierni ricorrenti non sono abilitati a far valere la dedotta omessa pronuncia nei confronti di soggetti terzi, non incidendo la statuizione di cui si reclama l’omissione sulla loro sfera giuridica.

Siffatta omessa pronuncia avrebbe dovuto essere fatta valere dalla parte asseritamente lesa Gaetano Bruno in proprio – nel rapporto con il Condominio e gli altri condomini – e non quale difensore degli odierni ricorrenti.

8.- In conseguenza delle argomentazioni innanzi svolte, deve essere accolto, nei sensi di cui in motivazione, il terzo motivo, mentre devono essere respinti il primo, il secondo, il quinto e il sesto motivo, con assorbimento del quarto motivo di ricorso.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, seconda parte, c.p.c. – poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto – deve essere dichiarata l’inammissibilità, in quanto nuova, della domanda spiegata in sede di gravame di condanna della società costruttrice-venditrice a chiudere, con idoneo cancello di ingresso, la superficie come identificata, da destinare a parcheggio.

All’esito, ricorrendo un’ipotesi di soccombenza reciproca e paritaria ex art. 92, comma 2, c.p.c., devono essere integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio d’appello e del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il terzo motivo, rigetta il primo, il secondo, il quinto e il sesto motivo, dichiara assorbito il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara l’inammissibilità della domanda nuova di condanna alla chiusura dell’area destinata a parcheggio.

Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio d’appello e del presente giudizio.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2023

 

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