La madre può testimoniare a favore del figlio che chiede al padre il danno endofamiliare per essersi disinteressato di lui quando era adolescente
LA VICENDA
Un figlio svolge una domanda risarcitoria nei confronti del padre lamentando un danno da abbandono quando era bambino che gli avrebbe procurato, da adulto, notevoli pregiudizi alla sfera sociale dell’identità personale, oltre che in quella intima ed affettiva.
IL PASSO SALIENTE DELL’ORDINANZA
[…] la pronuncia del Tribunale di nullità della deposizione della Pe.Da., madre di Ma.Ma., non risponde al modello legale di cui all’art. 246 cod. proc. civ. e va emendata perché non risulta svolta in conformità con le disposizioni normative e con i principi di legittimità in materia, che giustificano solo la prudenza nella valutazione, giacché è frutto di una evidente confusione tra la capacità a testimoniare e la valutazione sull’attendibilità del teste. Invero, “L’incapacità a deporre prevista dall’art 246 c.p.c. si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del processo – salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell’attendibilità del teste – né un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio.” (Cass. n. 167/2018). Orbene, nel caso in esame, l’interesse personale, nei sensi prima precisati, non ricorre giacché le istanze risarcitorie proposte dal figlio, a titolo personale, in ragione del preteso danno endofamiliare non patrimoniale da abbandono subìto, non avrebbero potuto legittimare la madre alla partecipazione al giudizio. Va, quindi, esclusa la ricorrenza di una incapacità a testimoniare della madre, ai sensi dell’246 cod. proc. civ. e puntualizzato che la aprioristica, ove ravvisata, ricorrenza astratta di un interesse di fatto non può integrare la fattispecie normativa in esame perché finirebbe per estendere inammissibilmente in via analogica la previsione stessa di cui all’art.246 cod. proc. civ., norma, che, circoscrivendo l’esercizio del diritto di azione e di difesa, è di stretta interpretazione […]
L’ORDINANZA
Cassazione civile, Sez. I, Ordinanza del 06/02/2024, n. 3361
(Presidente Genovese – Relatore Tricomi)
(Omissis)
Avverso la SENTENZA del TRIBUNALE DI VENEZIA N.2398/2021 depositata il 22/12/2021 e l’ORDINANZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 433/2022 depositata il 14/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Consigliere LAURA TRICOMI.
RILEVATO CHE:
1. Il Tribunale di Venezia con la sentenza n. 2389/2021 rigettò la domanda di risarcimento del danno ex artt. 2043 – 2059 cod. civ. proposta da Ma.Ma. nei confronti del padre Ma.Gi. deducendo la privazione della figura genitoriale, affermando che l’attore non aveva provato “la colposa e/o dolosa violazione, da parte del padre, degli obblighi genitoriali di assistenza morale e materiale a suo favore nascenti dalla filiazione ed avendo, per contro, Ma.Gi. adeguatamente dimostrato in giudizio, con documenti e testimonianze, di non essere responsabile del mancato sviluppo del rapporto genitoriale padre – figlio soprattutto nel corso della pre-adolescenza ed adolescenza (questo essendo ragionevolmente imputabile solamente alla madre dell’attore a causa del suo atteggiamento colpevolmente ostruzionistico e impeditivo) e del conseguente presumibile pregiudizio patito dall’attore nella propria sfera intima ed affettiva oltreché nella sfera sociale dell’identità personale, derivante dal non aver potuto condividere col proprio padre tale periodo di vita”.
Ma.Ma. ha proposto impugnazione davanti alla Corte di appello di Venezia chiedendo l’accoglimento della domanda risarcitoria del danno da liquidarsi in Euro 250.000,00 = a titolo di danno non patrimoniale, con cinque mezzi, lamentando: a) la violazione degli artt. 147 c.c., 315 bis e 316 bis c.c. per la mancata assistenza paterna del figlio; b) la violazione dell’art. 246 c.p.c. in ordine alla capacità testimoniale di Pe.Da.; c) la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nella valutazione delle prove; d) l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto non provata la richiesta di danno non patrimoniale; e) l’assenza di mala fede o colpa grave ai sensi dell’art. 96, 3 co. c.p.c. perché il giudice fornisce una propria personale e contestata interpretazione dei fatti di causa.
La Corte lagunare ha ritenuto che l’appello non presentasse ragionevoli probabilità di accoglimento e lo ha dichiarato inammissibile ex artt. 348 bis e 348 ter cod. proc. civ.
Ma.Ma. ha proposto ricorso con cinque mezzi chiedendo la cassazione della sentenza di primo grado n. 2389/2021 del Tribunale di Venezia, vista la pronuncia di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 ter cod. proc. civ. emessa dalla Corte d’Appello di Venezia; ha, inoltre censurato l’ordinanza della Corte d’Appello di Venezia depositata in data 14.07.2022 per quanto necessario, ove ritenuta, nelle motivazioni e nella ratio decidendi, in tutto o in parte sostitutiva della sentenza di primo grado.
Ma.Gi. ha replicato con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
È stata disposta la trattazione camerale.
CONSIDERATO CHE:
2.1.- Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 348 bis, 348 ter e 350 cod. proc. civ. Il ricorrente, dopo avere integralmente riportato l’ordinanza della Corte di merito , deduce che “Come tuttavia si può constatare ex actis, la Corte d’Appello pur riprendendo a livello sostanziale le tesi del giudice di prime cure, a livello letterale non si è limitata a recepire e far proprie le argomentazioni della decisione di prime cure, ma ha voluto fornire una propria (pur succinta) motivazione a corredo della pronuncia pur in linea con le argomentazioni del Tribunale.” e conclude dichiarando di censurare preliminarmente e prudenzialmente l’ordinanza della Corte d’Appello rep. n. 1707/2022 di cui chiede la Cassazione.
2.2. Il primo motivo è inammissibile perché non risulta né individuato il passaggio motivazionale dell’ordinanza della Corte di appello che il ricorrente intenderebbe censurare, né sono indicati le argomentazioni a sostegno della censura, che appaiono inammissibilmente rimesse alla valutazione della Corte investita del ricorso.
Invero, in tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (sostanziali o processuali), il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere letto in correlazione al disposto dell’art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., essendo dunque inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza della S.C. e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare orientamento (Cass. n. n. 5001/2018) e che non contenga l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia (Cass. n. 17224/2020).
Va aggiunto che, nel caso in cui il giudizio di appello si concluda con l’ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ., l’impugnazione può essere proposta soltanto avverso la sentenza di primo grado ex art. 348-ter, terzo comma, cod. proc. civ., atteso che l’impugnazione per cassazione della predetta ordinanza è consentita solo quando questa sia affetta da vizi suoi propri, ossia quando sia pronunciata al di fuori dei casi in cui la legge la consente oppure sia affetta da vizi processuali (Cass. n. 35279/2022) e che il presente motivo non risponde a detto modello.
3.1.- Con i successivi motivi il ricorrente svolge le seguenti censure:
– Secondo motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 30 Cost. nonché degli artt. 147, 315 bis e 316 bis cod. civ. e 2697 cod. civ. e 115 – 116 cod. proc. civ. riferito alla decisione di primo grado ed a quella di secondo, perché, a suo parere risulterebbero violati le disposizioni che prescrivono che i doveri del genitore verso i propri figli devono essere espletati senza soluzione di continuità.
– Terzo motivo: Illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
– Quarto motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 246 cod. proc. civ. e conseguentemente degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Si censura la sentenza del Tribunale di Venezia nella parte in cui statuisce la nullità della deposizione resa da Pe.Da. (madre dell’attore) resa all’udienza del 9.12.2021 per incapacità a testimoniare della teste, sulla scorta dell’eccezione avanzata dalla difesa del convenuto.
– Quinto motivo: Illegittimità della sentenza nella parte in cui ritiene non provata la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale ex artt. 2043 – 2059 c.c. per violazione dell’art. 2697 cod. civ. e ex artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e ex art. 2733 cod. civ., e per conseguente omessa pronuncia sul quantum ex art. 112 cod. proc. civ.
3.2. L’esame del quarto motivo, che va accolto, risulta essere prioritario.
Appare utile ricordare che l’art.246 cod. proc. civ. sancisce l’incapacità a testimoniare ove ricorra un interesse nella causa (stabilendo che “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.”), mentre il divieto di testimoniare previsto dall’art.247 cod. proc. civ., ancor prima dell’intervento abrogativo della Corte costituzionale (sent. n.248 del 1974), non era assoluto, essendo previsto che “Non possono deporre il coniuge ancorché separato, i parenti o affini in linea retta e coloro che sono legati a una delle parti da vincoli di affiliazione, salvo che la causa verta su questioni di stato, d i separazione personale, o relative a rapporti di famiglia”.
Nel caso di specie appare conclamata l’inapplicabilità dell’art.246 cod. proc. civ. – che sancisce le ipotesi di incapacità a testimoniare – nei confronti della madre, perché, come questa Corte ha già affermato, in tema di dichiarazione giudiziale della paternità naturale, nell’ipotesi di maggior età di colui che richiede l’accertamento non può configurarsi un interesse principale ad agire della madre naturale ai sensi dell’art. 276, ultimo comma, cod. civ., non essendo in tale evenienza ravvisabile un obbligo legale di assistenza o mantenimento nei confronti del figlio, potendo peraltro essa svolgere un intervento adesivo dipendente, allorché sia ravvisabile un suo interesse di fatto tutelabile in giudizio.
In ogni caso, alla stregua della disciplina normativa della legittimazione ad agire in tale giudizio, contenuta nell’art. 276 cod. civ., correlata all’interpretazione dell’art. 269, secondo e quarto comma, cod. civ., le dichiarazioni della madre naturale assumono un rilievo probatorio integrativo ex art. 116 cod. proc. civ., quale elemento di fatto di cui non si può omettere l’apprezzamento ai fini della decisione, indipendentemente dalla qualità di parte o dalla formale posizione di terzietà della dichiarante, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 246 cod. proc. civ. (Cass. n. 34950/2022; Cass. n. 12198/2012; Cass. n. 6025/2015,), considerazioni a cui va aggiunto che anche sotto la vigenza dell’art.267 cod. proc. civ. – dichiarato costituzionalmente illegittimo – la testimonianza dei parenti era, comunque, ammessa se la causa verteva su questioni di stato, di separazione personale o relative a rapporti di famiglia.
Da ciò discende che la pronuncia del Tribunale di nullità della deposizione della Pe.Da., madre di Ma.Ma., non risponde al modello legale di cui all’art.246 cod. proc. civ. e va emendata perché non risulta svolta in conformità con le disposizioni normative e con i principi di legittimità in materia, che giustificano solo la prudenza nella valutazione, giacché è frutto di una evidente confusione tra la capacità a testimoniare e la valutazione sull’attendibilità del teste. Invero, “L’incapacità a deporre prevista dall’art 246 c.p.c. si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del processo – salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell’attendibilità del teste – né un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio.” (Cass. n. 167/2018). Orbene, nel caso in esame, l’interesse personale, nei sensi prima precisati, non ricorre giacché le istanze risarcitorie proposte dal figlio, a titolo personale, in ragione del preteso danno endofamiliare non patrimoniale da abbandono subìto, non avrebbero potuto legittimare la madre alla partecipazione al giudizio.
Va, quindi, esclusa la ricorrenza di una incapacità a testimoniare della madre, ai sensi dell’246 cod. proc. civ. e puntualizzato che la aprioristica, ove ravvisata, ricorrenza astratta di un interesse di fatto non può integrare la fattispecie normativa in esame perché finirebbe per estendere inammissibilmente in via analogica la previsione stessa di cui all’art.246 cod. proc. civ., norma, che, circoscrivendo l’esercizio del diritto di azione e di difesa, è di stretta interpretazione.
Tanto premesso, è opportuno rimarcare che “La capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 c. p. c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, me ntre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità.” (Cass. n. 21239/2019; Cass. n. 26547/2021); in particolare, quanto alla credibilità del teste, va puntualizzato che “In materia di prova testimoniale, la verifica in ordine all’attendibilità del teste – che afferisce alla veridicità della deposizione resa dallo stesso – forma oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice compie alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità.” ( Cass. n. 7623/2016).
Nel caso di specie, fermo il principio secondo il quale “In tema di prova testimoniale, l’insussistenza, per effetto della decisione della Corte cost. n. 248 del 1994, del divieto di testimoniare sancito per i parenti dall’art. 247 c.p.c. non consente al giudice di merito un’aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni rese dalle persone indicate da detta norma, ma neppure esclude che l’esistenza di uno dei vincoli in essa indicati possa, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerato dal giudice di merito – la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove motivata – ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilità delle deposizioni stesse.”(Cass. n. 98/2019; Cass. n. 17630/2010), è evidente che il Tribunale, dichiarando la nullità della deposizione testimoniale, non ha proceduto ad alcuna valutazione sulla credibilità, attendibilità o inattendibilità della teste, di talché la decisione va cassata con rinvio della causa per il nuovo esame da svolgere alla stregua degli enunciati principi.
3.4. Tutti i restanti motivi secondo, terzo e quinto vanno dichiarati as sorbiti.
4.- In conclusione, va accolto il quarto motivo di ricorso, assorbiti i motivi secondo, terzo e quinto, inammissibile il primo; la sentenza va cassata nei limiti dei motivi accolti e la causa va rinviata ai sensi dell’art.383, comma quarto, cod. proc. civ. alla Corte di appello di Venezia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità, per l’applicazione dei principi espressi, quale giudice che avrebbe dovuto pronunciare sul merito della prima impugnazione, senza vincolo di diversa composizione, trattandosi di rinvio che assume carattere meramente restitutorio (Cass. n. 4570/2021).
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
– Accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti i motivi secondo, terzo e quinto,inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ex art.383, comma quarto, cod. proc. civ. alla Corte di appello di Venezia, anche per le spese di questo grado;
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2023.
Depositata in Cancelleria prima sezione civile il 6 febbraio 2024.