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Contratti

Difformità tra il contratto preliminare e quello definitivo? Prevale quest’ultimo (Cass. 12090/24)

Nell’ipotesi di difformità tra preliminare e definitivo è quest’ultimo quello che prevale

IL FATTO

Il ricorrente aveva chiesto l’annullamento del contratto con il quale, per “mero errore materiale”, era stato venduto agli acquirenti oltre ad un fabbricato anche uno spezzone di circostante terreno di cui chiedeva la restituzione.

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

Ove alla stipula di un contratto preliminare segua ad opera delle stesse parti la conclusione del contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, anche se diversa da quella pattuita con il preliminare, configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti e si presume sia l’unica regolamentazione del rapporto da esse voluta. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – che deve risultare da atto scritto ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo.

L’ORDINANZA

Cassazione civile, Sez. I, Sentenza del 31/12/2020, n. 12090

(Omissis)

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A.A. convenne in giudizio B.B. e C.C. chiedendo annullarsi in parte, a causa di errore materiale, il contratto con il quale l’esponente aveva venduto ai convenuti un fabbricato e uno spezzone di circostante terreno. In particolare l’attore sosteneva che, a causa di un mero errore, nell’atto pubblico definitivo era stata indicata la cessione, oltre che della particella (Omissis), effettivamente venduta, anche di quella n. (Omissis) (la prima era stata frutto di un frazionamento, predisposto al fine stipula dell’atto pubblico). In conseguenza dello sperato annullamento avanzò pretesa di condanna alla restituzione della parte del terreno di cui detto, nonché di taluni beni mobili.

Il Tribunale accolse la domanda e, di conseguenza, condannò i convenuti a restituire la particella che sarebbe stata inclusa nell’atto di compravendita per errore.

2. La Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, in riforma della sentenza del Tribunale, rigettò la domanda e condannò l’appellato a restituire quanto dagli appellanti “corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado”.

2.1. Il diverso opinamento rispetto al Giudice di primo grado consiglia riprendere, sia pure in breve, gli argomenti decisivi posti a sostegno della decisione d’appello.

a) Il contratto definitivo inequivocamente descriveva l’oggetto della compravendita: “casa con annesso circostante terreno di pertinenza della superficie di mq. 2967 circa (…)”. Erano indicate le due particelle contigue: la (Omissis) di mq 1105 e la (Omissis) di 1862 mq, terreno che dalla planimetria risultava avere forma di un quadrilatero, in esatta coincidenza con i dati di confine indicati.

b) Non potevano trarsi elementi utili alla tesi del A.A. dalla proposta irrevocabile d’acquisto del 2/9/2008, contenente la generica indicazione di circa 1.000 mq., poiché ciò, al più, poteva indirizzare nel senso di un’originaria volontà del venditore, superata con la stipulazione del contratto definitivo.

c) Non giovavano del pari le dichiarazioni testimoniali, poiché, al di là del divieto posto dall’art. 2722 cod. civ., esse si riferivano alla fase prenegoziale.

3. A.A. ricorre sulla base di sei motivi.

B.B. e C.C. resistono con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

A.A. ha successivamente depositato istanza di rimessione in termini.

4. In via di preliminarietà va esaminata la istanza con la quale il ricorrente, premettendo di avere depositato telematicamente la propria memoria tempestivamente il 15/3/2024; che per materiale e scusabile errore aveva effettuato il deposito all’interno di altro fascicolo telematico (R.G. 33907/2019) pendente sempre presso questa Sezione, che era stato regolarmente accettato dalla cancelleria; che in applicazione del principio enunciato da questa Corte un tale errore costituiva una mera irregolarità; che accortosi dell’errore aveva provveduto a nuovo deposito nel pertinente fascicolo, ha chiesto essere rimesso in termini.

4.1. La istanza merita di essere accolta.

Questa Corte ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, in tema di opposizione allo stato passivo, il deposito del ricorso in via telematica utilizzando un registro diverso da quello degli affari contenziosi (nella specie quello relativo alla volontaria giurisdizione) non determina alcuna nullità, ma una mera irregolarità, sia perché manca una espressa norma di legge che commini al riguardo una nullità processuale, sia perché una volta che l’atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, è sempre integrato il raggiungimento dello scopo, perché questo riguarda la presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e la messa disposizione dell’atto alle altre parti (Sez. 1, n. 15243, 12/05/2022, Rv. 664770; conforme, Cass. n. 31371/2022, in un caso in cui la Corte d’appello aveva reputato tardivo l’atto d’impugnazione rifiutato perché rifiutato per erronea indicazione del registro “contenzioso”, anziché del registro “lavoro”).

Nel caso in esame l’errore è consistito, piuttosto che nello scambio del registro, nell’individuazione del pertinente fascicolo. Tuttavia, non vi sono ragioni per discostarsi dal condiviso riportato principio, non implicando la evidenziata diversità ripercussioni che possano assumere rilievo.

È appena il caso di soggiungere che l’errore di cui si discute non è portatore di “vulnus” alcuno alla difesa della controparte, la quale esaurisce il proprio diritto processuale a ulteriormente illustrare il proprio atto introduttivo col deposito della propria memoria, non sussistendo un diritto di replica all’altrui memoria, nel caso pervenuta nel pertinente fascicolo a scadenza avvenuta del termine.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., assumendo che, in assenza di specifico motivo d’appello, la Corte locale aveva condannato l’esponente a restituire i beni mobili, che la controparte era stata obbligata a consegnargli in esecuzione della sentenza di condanna del Tribunale.

5.1. La doglianza è manifestamente destituita di giuridico fondamento.

Non è dubbio che con il dispositivo la sentenza d’appello ha ordinato la restituzione agli appellanti di quanto costoro, quali convenuti soccombenti, fossero stati costretti a corrispondere all’attore vittorioso in primo grado.

Non è seriamente controvertibile che con l’uso del verbo corrispondere la Corte di Cagliari abbia inteso inequivocamente riferirsi al pagamento delle spese legali derivate dalla soccombenza. Invero, è il denaro che si corrisponde e non di certo i beni mobili.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1362, 1366 e 1367 cod. civ.

Dopo avere riportato ampi stralci della motivazione della sentenza impugnata, afferma che la decisione aveva omesso l’indagine impostagli dalle norme evocate, essendosi, in particolare, limitata a esaminare il contrato definitivo, dal quale l’errore non avrebbe potuto emergere; così arrestandosi al tenore letterale delle parole di esso, non aveva tenuto conto del comportamento delle parti.

6.1. Il motivo deve essere rigettato.

In punto di violazione o falsa applicazione delle norme sull’ermeneutica negoziale la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, “L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili (il secondo, ovviamente, sotto il regime del vecchio testo del n. 5 dell’art. 360, cod. proc. civ.), il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex pluribus, Cass. nn. 15381/2004, 13839/2004, 13579/2004, 5359/2004, 753/2004, 18587/2012; si veda inoltre, per la ricchezza di richiami, Cass. n. 2988/2013; da ultimo, Cass. n. 2050/2024)”.

Nonostante gli sforzi profusi dal ricorrente, il richiamo alle norme regolanti l’interpretazione del negozio risulta privo di specifica critica della decisione nel senso sopra enunciato. Manca, in definitiva, un’apprezzabile, in quanto puntuale e specificamente connessa alla norma asseritamente disattesa, critica del ragionamento della Corte locale.

Qui, per vero, la sentenza esamina la condotta delle parti, anche antecedente al contratto, e giunge a una conclusione plausibile, in questa sede non censurabile.

Il richiamo, poi, all’art. 1367 cod. civ. (conservazione del contratto) non è, all’evidenza, pertinente.

Sotto altro profilo deve osservarsi che, ove alla stipula di un contratto preliminare segua ad opera delle stesse parti la conclusione del contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, anche se diversa da quella pattuita con il preliminare, configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti e si presume sia l’unica regolamentazione del rapporto da esse voluta. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – che deve risultare da atto scritto ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo (Sez. 2, 30735, 21/12/2017, Rv. 646612 – 01).

7. Con il terzo motivo viene denunciata omessa motivazione.

Il ricorrente, dopo avere richiamato talune sentenze di questa Corte, afferma che la decisione impugnata aveva omesso di spiegare quando sarebbe intervenuto il mutamento delle intenzioni del venditore, senza dar conto della circostanza che il prezzo sarebbe rimasto implausibilmente invariato.

7.1. Il motivo è inammissibile.

Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).

A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.

Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).

Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, avendo la Corte locale spiegato intellegibilmente le ragioni del proprio convincimento; né la motivazione perde la propria essenza ove il giudice non si dia carico di spiegare risolvere ogni possibile ipotetica discrasia.

8. Con il quarto motivo viene denunciato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonché “assoluta contraddittorietà della motivazione”.

Si assume che la sentenza aveva dato atto che la proposta, oltre al fabbricato, concerneva solo 1.000 mq del circostante terreno, tanto che con il preliminare il promittente alienante si era impegnato al frazionamento, cosa che poi aveva fatto, oltre a presentare al comune istanza per l’apertura di un nuovo accesso. La Corte di Cagliari, prosegue il ricorrente, aveva dato atto di queste circostanze, ma le aveva valutate solo quali elementi presuntivi, superati dall’atto definitivo.

8.1. Il motivo è inammissibile.

Trattasi, nella sostanza, sempre della medesima impropria critica al costrutto motivazionale, in questa sede non censurabile, al di fuori dell’ipotesi contemplata dal n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.

Non si rinviene, per vero, sulla base delle stesse asserzioni del ricorrente, che le evidenziate circostanze non siano state esaminate dal Giudice, quanto piuttosto si è in presenza, ancora una volta, d’una critica al complessivo ragionamento di cui alla sentenza impugnata.

Né, per altro verso, è dato cogliere, come si è già detto, quell’insanabile contrasto motivazionale tale d’annichilire la funzione argomentativa e dimostrativa della motivazione. Non c’è contraddizione, bensì conseguenzialità: al momento del definitivo erano mutati i voleri delle parti.

9. Con il quinto motivo viene denunciata violazione degli artt. 1427, 1428, 1429, 1431 e 1432 cod. civ.

Sostiene il ricorrente che la violazione delle norme di cui alla rubrica del motivo derivi non già da una diversa ricostruzione fattuale, bensì dall’avere la sentenza impugnata accertato il sussistere di presunzioni che dimostravano l’errore nel quale era incorso il venditore al momento della stipula del contratto definitivo, senza averne tratto le debite conseguenze.

9.1. Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata, al contrario di quel che mostra di credere il A.A., non condivide la ricostruzione fattuale dallo stesso perorata, individuando, per contro, le emergenze che facevano propendere per l’opposta tesi (cfr. pag. 4).

In definitiva, sotto l’egida della prospettata violazione di legge, nella sostanza, il ricorrente riporta una vicenda fattuale alternativa rispetto a quanto reputato dalla Corte d’appello, alla quale, in sostanza, rimprovera di non avere apprezzato adeguatamente le indicazioni presuntive, invece esaminate dalla sentenza.

È del tutto palese che attraverso la denunzia di violazione di legge il ricorrente sollecita – non determinando essa, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).

10. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, ancora una volta, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo.

Spiega che la sentenza aveva liquidato le risultanze della prova per testi, relegandone il rilievo alla fase prenegoziale.

L’approfondimento di quelle emergenze, invece, avrebbe fatto vedere che il venditore non aveva alcuna intenzione di cedere l’intero terreno e che a tal fine, in base agli accordi aveva proceduto al frazionamento.

10.1. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo è evidente che non si è in presenza di un fatto dibattuto non esaminato nonostante la sua decisività, bensì, ancora una volta, della pretesa d’integrale revisione della motivazione, in questa sede non consentita.

Peraltro, va riaffermato che non può provarsi per testi la diversità della volontà delle parti rispetto al contratto di compravendita concernente un immobile, così da eventualmente vincere la presunzione del superamento della pattuizione del preliminare con la stipula del contratto definitivo (ex multis Cass. n. 9063/2012, ma anche la già citata Cass. n. 30735/2017).

11. Il ricorso, nel suo insieme, merita rigetto.

12. Il ricorrente, stante l’epilogo, va condannata a rimborsare le spese in favore dei controricorrenti, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo.

9. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a carico del ricorrente pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Conclusione

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2024.

 

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