Titolo

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affido superesclusivo

Diritto di Famiglia Separazione e Divorzio

Divorzio: i redditi in nero guadagnati dal marito pesano sull’assegno di mantenimento (Cass. 32349/24)

Il tenore di vita goduto dalla famiglia durante il matrimonio incastra il marito che occulta i redditi al fisco

IL PASSO SALIENTE DELL’ORDINANZA

[…] La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che, il giudice di merito, per quantificare l’assegno di mantenimento spettante al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento, il tenore di vita di cui la coppia abbia goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato. A tal fine, non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (così, tra le tante, Cass. n. 9915/2007), quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato (Cass. n. 9915-2007), a prescindere, pertanto, dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali da questi ultimi godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, in relazione ai quali l’ordinamento prevede, anzi, strumenti processuali, anche ufficiosi, che ne consentano l’emersione ai fini della decisione, quali le indagini di polizia tributaria (Cass. n.22616/2022) e l’espletamento di una consulenza tecnica.[…]

L’ORDINANZA

Cassazione civile, Sez. I, Ordinanza del 13/12/2024, n. 32349

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSTI Alberto – Presidente
Dott. TRICOMI Laura – Relatore
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere
Dott. GARRI Guglielmo – Consigliere
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24369/2023 R.G. proposto da:
A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato ORLANDO ALESSANDRO, come da procura speciale in atti.
Ricorrente

Contro

B.B., elettivamente domiciliata in ROMA VIA PRIZZI, 7, presso lo studio dell’avvocato T. S. rappresentata e difesa dall’avvocato B. S., come da procura speciale in atti.
Controricorrente
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO dell’AQUILA n. 611/2023 depositata il 28/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere LAURA TRICOMI.

Svolgimento del processo

Rilevato che:
Con ricorso notificato a A.A. il 13.01.17, B.B. chiedeva la pronuncia della separazione personale con addebito in capo al coniuge, per avere quest’ultimo tenuto, in costanza di matrimonio, contegni gravemente lesivi dei doveri matrimoniali, e la statuizione dei provvedimenti accessori per sé medesima e per i figli C.C. (Omissis) e D.D. (Omissis), nati in costanza di matrimonio.
A.A. conveniva sulla domanda di separazione contestando le ulteriori domande.
Il Tribunale di Vasto, con sentenza n. 67/2022, dichiarata la separazione personale tra i coniugi, ne addebitava espressamente la responsabilità a A.A.; affidava i figli minorenni congiuntamente ad entrambi i genitori con facoltà di incontrare il padre liberamente e ne prevedeva la collocazione privilegiata presso la madre, cui era assegnata la casa familiare sita in V, alla (Omissis), fintantoché i figli, quantunque maggiorenni e purché conviventi con la madre, avessero raggiunto la propria indipendenza economica; poneva a carico di A.A. l’obbligo di corrispondere alla moglie, con decorrenza dalla data della sentenza, la somma mensile di Euro 750,00, di cui Euro 250,00 a titolo di contributo per il mantenimento della moglie ed Euro 500,00 a titolo di contributo per il mantenimento dei figli minori (euro 250,00 ciascuno); oltre rivalutazione ISTAT; poneva altresì a carico del padre l’obbligo di contribuire al pagamento, nella misura del 50%, delle spese straordinarie da sostenersi nell’interesse dei figli, secondo le disposizioni del protocollo vigente presso il Tribunale.
La prima decisione è stata impugnata da A.A. innanzi alla Corte di appello dell’Aquila che ha rigettato in toto l’appello.
A.A. ha proposto ricorso con quattro mezzi, chiedendo la cassazione della sentenza della Corte di appello dell’Aquila, pubblicata il 28 aprile 2023. B.B. ha replicato con controricorso. Le parti hanno chiesto l’oscuramento dei dati sensibili.
A.A. ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Considerato che:
2.1.- Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 143,144 e 146 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1, n. 3 e 5 c.p.c. per l’illogicità della decisione in punto di addebito, perché, a dire del ricorrente, i comportamenti ambivalenti delle parti non rendevano verosimile una univoca responsabilità nella disgregazione dell’unione familiare.
2.2.- Il primo motivo, che verte sulla questione dell’addebito della separazione, è inammissibile.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (tra le tante Cass. n.24054/2017).
A ciò si aggiunga che, in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. È, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato (Cass. n.21187/2019).
Alla stregua dei suesposti principi, le articolate censure svolte in ricorso, prospettando l’illogicità della decisione, sono in realtà impropriamente dirette a sollecitare un riesame del materiale probatorio, ossia in buona sostanza a criticare il “peso probatorio” attribuito alle testimonianze, in particolare a quella di B.B. Paola ed alle risultanze investigative, dalle quali è emerso il comportamento censurato, costituito da molteplici infedeltà del marito commesse in corso di rapporto, protrattesi nel tempo e generatrici di molteplici litigi tra i coniugi fino alla crisi scoppiata nel 2015 – comportamento accertato alla luce della testimonianza di B.B., alla quale il primo giudice ha riconosciuto valenza probatoria con motivazione non oggetto di censure in grado di appello, come rimarcato dalla Corte territoriale, nonché alla luce della relazione investigativa del febbraio 2016 della società Datinform – sulle quali la Corte di merito ha principalmente fondato il proprio convincimento, spiegandone, con adeguata motivazione, le ragioni, all’esito di attenta disamina alla luce delle critiche mosse dall’attuale ricorrente, nei medesimi termini, dinanzi al giudice di merito. Né quanto illustrato in memoria vale a mutare questa conclusione.
Va osservato, sotto ulteriore dirimente profilo, che l’addebito è stato ritenuto fondato dai giudici di merito sulla base della gravità delle condotte poste in essere dal A.A., in termini di violazione dell’obbligo matrimoniale di fedeltà, attuata attraverso l’instaurazione ed il mantenimento di una relazione extraconiugale non sporadica o occasionale, ma stabile e continuativa e poi esitata in stabile convivenza, ritenendo quindi anche provato il nesso causale tra la condotta adulterina del A.A. e la crisi coniugale attesa l’idoneità di detta condotta ad incrinare in maniera irreversibile il rapporto coniugale ed a determinare un fatto di intollerabilità della convivenza; è stato inoltre sottolineato, come non fossero emerse dall’istruttoria ragioni diverse della lacerazione del vincolo coniugale, anteriori all’accertamento delle condotte violative dell’obbligo di fedeltà attuate dal marito, e che le allegazioni del marito volte a dimostrare l’anteriorità della crisi familiare rispetto alla accertata infedeltà non avevano trovato riscontro probatorio.
Infine, la Corte d’Appello ha fornito adeguata motivazione, in applicazione dei principi affermati da questa Corte e richiamati nella sentenza impugnata (Cass. n.15811/2017; Cass. n. 3923/2018; Cass. n. 11130/2022).
3.1.- Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 e c.p.c. per l’illogicità della decisione della corte in punto di assegno di mantenimento per la moglie. Il ricorrente si duole che la Corte territoriale, confermando la prima decisione, abbia riconosciuto l’assegno in favore della moglie sulla scorta della presenza di un divario economico tra le capacità reddituali delle parti.
3.2.- Il secondo motivo, che verte sul riconoscimento e sulla quantificazione dell’assegno di separazione, è infondato.
L’art. 156, primo comma 1, c.c., stabilisce che “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.
La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che, il giudice di merito, per quantificare l’assegno di mantenimento spettante al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento, il tenore di vita di cui la coppia abbia goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato. A tal fine, non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (così, tra le tante, Cass. n. 9915/2007), quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato (Cass. n. 9915-2007), a prescindere, pertanto, dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali da questi ultimi godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, in relazione ai quali l’ordinamento prevede, anzi, strumenti processuali, anche ufficiosi, che ne consentano l’emersione ai fini della decisione, quali le indagini di polizia tributaria (Cass. n.22616/2022) e l’espletamento di una consulenza tecnica.
Dall’esame delle norme sopra richiamate si evince con chiarezza che ciò che rileva, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, e dei figli è l’accertamento del tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza.
Nel caso in esame la decisione impugnata ha dato retta applicazione ai principi enunciati, perché, atteso che non sono emersi elementi significativi di un tenore di vita particolarmente agiato, è stato preso in esame quanto evincibile a tal fine, anche in via presuntiva, in ragione delle attività lavorative delle parti che ha evidenziato il divario di capacità reddituale tra la moglie (che svolge attività precaria come parrucchiera a domicilio con entrate modeste) ed il marito (lavoratore autonomo, amministratore unico della società Future Invest Srl, titolare del locale Dancing l’Arhea” e della connessa attività di bar, ristorazione e sala da ballo, impegnato anche in attività di commercio di prodotti alimentari all’estero e percettore di rendite immobiliari). La Corte di appello si è attenuta agli anzidetti principi nel valorizzare le circostanze di fatto emerse, sintomatiche delle capacità reddituali di A.A., pur se fiscalmente occultate, in quanto prive di riscontro nella documentazione fiscale che il ricorrente non ha nemmeno provveduto ad aggiornare. Di contro, il ricorrente , nel contestare la decisione, non ha addotto alcun elemento atto a confutare le conclusioni concernenti il tenore di vita, peraltro accertato in termini di ordinarietà vista la determinazione dell’assegno nella misura di Euro 250,00 mensili, atteso che – come già chiarito – è irrilevante la mera circostanza che egli in primo grado avesse goduto del patrocinio a spese dello Stato pur in presenza di una evidente discrasia, rimasta inspiegata, tra gli elementi di fatto accertati in merito alle sua molteplici attività imprenditoriale e le scarne risultanze fiscali.
4.1.-Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c. in relazione all’art. 360, n. 1,3 e 5 c.p.c. per l’illogicità della decisione della corte in punto di collocazione dei figli.
Il ricorrente si duole che la Corte Territoriale abbia mantenuto la collocazione privilegiata della minore presso a madre, osservando che non appariva provata la prospettazione della decisione della minore e che la libertà concessa nella gestione dell’affidamento dei figli minori permetteva comunque alla prole di frequentare il padre in libertà.
4.2.- Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi, che mediante la disamina delle risultanze istruttorie, del regime di visita in ragione dell’età della minore, sostanzialmente libero, della considerata vicinanza abitativa dei diversi componenti del nucleo familiare, della modestissima dimensione della dependance utilizzata dal padre, ha motivato la sussistenza dell’interesse della minore (quasi diciottenne) a non mutare il regime di collocazione prevalente, tale, per la regolamentazione del diritto di visita libero adottato, da non ostacolare una maggiore e più intensa frequentazione paterna.
5.1. – Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c. in relazione all’art. 360, n. 1,3 e 5 c.p.c. per l’illogicità della decisione della corte in punto divisione della casa familiare.
Il ricorrente insiste nella domanda di divisione della casa familiare e sostiene che, dal momento in cui egli vive in una dependance nei pressi della casa familiare, senza che siano sorti conflitti, ciò dimostrerebbe la possibilità di una divisione della casa familiare in due appartamenti, l’uno per sé e l’altro per la ex coniuge, di modo che i figli potessero vivere in situazione di comfort a prescindere dal genitore di collocamento.
5.2.- Il motivo è infondato.
In tema di giudizio di cassazione, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo. (Cass. n. 5279/2020; Cass. n. 22366/2021).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha motivato le ragioni di opportunità che hanno indotto il rigetto della domanda, focalizzata sull’interesse dei minori a preservare un habitat di vita lontano da possibili contrasti e ad evitare l’introduzione di elementi forieri di un’ingravescenza della conflittualità, senza che sia stato in alcun modo evidenziato dal ricorrente lo specifico interesse dei minori ad un mutamento della fruizione della casa familiare, tempestivamente e motivatamente dedotto.
6.- In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;
– Condanna il ricorrente alle spese del giudizio, che liquida in Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15 per cento ed accessori di legge;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52;
– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Conclusione

– Rigetta il ricorso;
Così deciso, in Roma, il 7 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2024.

 

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