Il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza può influire notevolemente sulla quantificazione del risarcimento
LA VICENDA
In tema di sinistri stradali, il concorso di colpa della vittima nella causazione del danno deve essere valutato in base ai criteri stabiliti dall’art. 1227, comma 1, c.c., che impone di diminuire il risarcimento in proporzione alla gravità della colpa e all’entità delle conseguenze. Il giudice deve effettuare una comparazione tra la condotta della vittima e quella del responsabile, applicando un giudizio controfattuale per stabilire quale tra le due condotte abbia avuto un contributo causale prevalente. Una determinazione del concorso di colpa basata esclusivamente sull’entità del danno, senza considerare la gravità della colpa e il confronto tra le possibili conseguenze di condotte alternative, viola il criterio normativo.
In parole semplici…
la Corte di Cassazione ha stabilito che quando una vittima di un incidente stradale ha una parte di responsabilità nel danno subito (ad esempio, perché non indossava la cintura di sicurezza), il giudice deve valutare in modo preciso quanto quella colpa abbia influito sul danno. Non basta dire che, senza la cintura, il danno è stato maggiore: bisogna confrontare la gravità delle colpe di entrambi i soggetti coinvolti (vittima e conducente) e capire quale comportamento abbia avuto un peso maggiore nella causazione del danno.
L’ORDINANZA
Cassazione civile, Sez. III, Ordinanza del 04/09/2024, n. 23804
(Omissis)
Svolgimento del processo
1. C.C. il 9.10.2000 rimase vittima d’un sinistro stradale che gli causò lesioni personali gravissime e lo rese permanentemente e totalmente invalido.
La vittima ed i suoi familiari nel 2004 convennero dinanzi al Tribunale di Lecce il conducente del veicolo indicato come responsabile (A.A.) ed il proprietario del mezzo (H.H.), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni rispettivamente patiti, eccedenti il massimale già interamente versato dall’assicuratore della r.c.a. del responsabile.
2. Il Tribunale di Lecce con sentenza 15.11.2017 n. 4174 accolse solo in parte la domanda. Ritenne che la vittima, non allacciando la cintura di sicurezza, aveva contribuito alla causazione del danno; che se la vittima avesse allacciato la cintura avrebbe verosimilmente patito una invalidità permanente del 55%, invece che del 100%; di conseguenza liquidò il danno ponendo a base del calcolo il suddetto minor grado percentuale di invalidità.
La sentenza fu appellata dai danneggiati in via principale e da A.A. in via incidentale.
3. Con sentenza 1.4.2021 n. 396 la Corte d’Appello di Lecce accolse l’appello principale e rigettò l’incidentale.
Ritenne che nel caso di concorso colposo della vittima di lesioni personali il danno debba liquidarsi riducendo non già il grado percentuale di invalidità permanente, ma l’ammontare monetario del risarcimento. Determinò nella misura del 20% l’apporto colposo della vittima, ed incrementò la stima del danno non patrimoniale rispetto a quanto ritenuto dal Tribunale.
4. La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione da A.A. con ricorso fondato su tre motivi.
C.C. ed i suoi familiari hanno resistito con controricorso. Ambo le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello non avrebbe potuto mutare il criterio in base al quale tenere conto dell’omesso uso delle cinture, rispetto a quello adottato dal Tribunale, in mancanza di impugnazione sul punto.
1.1. Il motivo è manifestamente infondato. I danneggiati impugnarono la sentenza di primo grado nella parte in cui attribuì alla vittima un concorso di colpa, e tanto bastava perché la Corte d’Appello potesse legittimamente valutare se quel concorso esistesse; in che misura dovesse determinarsi; con quale criterio tenerne conto ai fini della liquidazione.
2. Col secondo motivo il ricorrente denuncia il vizio di nullità della sentenza per mancanza di motivazione.
Sostiene che la Corte d’Appello ha determinato il concorso di colpa della vittima nella misura del 20% senza spiegare i criteri seguiti per pervenire a tale risultato.
2.1. Il motivo è manifestamente fondato.
Il concorso di colpa della vittima nella causazione del danno da essa sofferto va determinato né “a senso”, né “a sensazione”, ma va valutato in base ai criteri stabiliti dall’art. 1227, comma primo, c.c., e cioè diminuendo il risarcimento “secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”.
La legge impone dunque al giudice di comparare la colpa della vittima con quella dell’offensore, e valutare:
-) quale tra le due colpe sia stata più grave in riferimento all’altra; -) quale tra le due condotte colpose abbia apportato il contributo causale prevalente rispetto all’avverarsi del danno.
Tale valutazione va condotta in via ipotetica e con giudizio controfattuale: e dunque ipotizzando dapprima quale danno si sarebbe verosimilmente verificato, se solo uno dei due soggetti coinvolti avesse tenuto la condotta alternativa corretta; quindi ripetendo l’operazione a parti invertite. Così, in materia di sinistri stradali, quando il giudice di merito accerti un concorso colposo della vittima nella causazione del danno, per stabilirne la misura l’iter logico da seguire deve essere:
a) ipotizzare quale danno la vittima avrebbe sofferto, se il responsabile avesse tenuto una condotta corretta, e la vittima la condotta colposa che gli viene addebitata;
b) ipotizzare quale danno la vittima avrebbe sofferto, se il responsabile avesse tenuto la condotta colposa che gli viene addebitata, e la vittima la condotta alternativa corretta;
c) comparare gli esiti sub (a) con quelli sub (b).
2.2. La sentenza impugnata ha determinato la colpa della vittima nella misura del 20%, in base al solo rilievo che “l’uso delle cinture non avrebbe potuto impedire un danno dello stesso tipo, anche se di entità minore”. Si tratta dunque d’una statuizione che da un lato prende in esame solo l’entità dei danni e non anche la gravità delle rispettive colpe; dall’altro non compara i danni che la vittima avrebbe subito anche in caso di corretto uso delle cinture sicurezza, con quelli che avrebbe teoricamente subìto se, pur non allacciando le cinture di sicurezza, il suo veicolo non fosse stato tamponato (cioè, verosimilmente, “zero”).
Così giudicando la sentenza impugnata ha effettivamente violato l’art. 1227, comma primo, c.c., determinando la colpa concorrente della vittima con criterio di giudizio non conforme a quello stabilito dalla legge.
3. Col terzo motivo i ricorrenti denunciano che la Corte d’Appello ha liquidato il danno alla capacità lavorativa (negato dal primo giudice) senza applicare la riduzione per la corresponsabilità della vittima, pur ravvisata nel 20%.
3.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso. Infatti, dovendo il giudice di rinvio procedere ad una nuova valutazione dell’apporto causale dato dalla vittima alla causazione del danno da essa stessa sofferto, la relativa valutazione riverbererà effetti su tutti i danni sofferti dai danneggiati.
4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
(-) rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo;
(-) cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
(-) dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione siano omessi generalità ed altri dati identificativi dei controricorrenti.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della
Corte di cassazione, addì 13 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2024