Il danneggiato è solo tenuto a dare la prova che i danni subìti derivano dalla cosa, non anche dell’imprevedibilità e non evitabilità dell’insidia o del trabocchetto, né della condotta omissiva o commissiva del custode
IL FATTO
Tizio conveniva in giudizio la Città Metropolitana di Messina lamentando di aver perduto il controllo della motocicletta che guidava, a causa dello slittamento della stessa su una griglia di raccolta delle acque piovane, che assumeva essere non segnalata e posta perpendicolarmente sulla carreggiata. A seguito della caduta si procurava danni fisici per i quale chiedeva il risarcimento all’Ente.
IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE
In materia di danni da cose in custodia, il soggetto danneggiato dalla caduta su una grata o caditoia d’acqua, che agisca a norma dell’art. 2051 cod. civ., è solo tenuto a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto, prova che consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, da raggiungersi anche con presunzioni, giacché la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato “anomalo” rispetto alla custodia del bene.
IL PASSO SALIENTE DELL’ORDINANZA
“il danneggiato che agisca per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una caduta avvenuta, mentre circolava sulla pubblica via alla guida del proprio ciclomotore” (ma il principio è estensibile ad ogni veicolo a due ruote), “a causa di una grata o caditoia d’acqua, è tenuto alla dimostrazione dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, non anche dell’imprevedibilità e non evitabilità dell’insidia o del trabocchetto, né della condotta omissiva o commissiva del custode, gravando su quest’ultimo, in ragione dell’inversione dell’onere probatorio che caratterizza la responsabilità ex art. 2051 cod. civ., la prova di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presentasse, per l’utente, una situazione di pericolo occulto”
L’ORDINANZA
Cassazione civile, Sez. III, Ordinanza del 24/04/2024, n. 11060
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Rel. Consigliere
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 10216-2021 proposto da:
CITTÀ METROPOLITANA DI MESSINA, in persona del Sindaco legale rappresentante “pro tempore”, domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Nunziata TORRE;
– ricorrente –
contro
A.A. , domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Felice RECUPERO;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 68/21 della Corte d’appello di Messina, depositata in data 01/02/2021;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 21/12/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.
Svolgimento del processo
1. La Città Metropolitana di Messina (già Provincia regionale di Messina) ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 68/21, del 1° febbraio 2021, della Corte d’appello di Messina, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 333/19, del 2 aprile 2019, del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto – l’ha condannata a pagamento, in favore di A.A., della somma di Euro 22.592,00, oltre accessori, in relazione ad un sinistro stradale occorsogli il 25 luglio 2012, sulla strada provinciale n. 93.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio dal A.A., il quale lamentava di aver perduto il controllo – nelle circostanze di tempo e luogo sopra meglio indicate – della motocicletta che guidava, a causa dello slittamento della stessa su una griglia di raccolta delle acque piovane, che assumeva essere non segnalata e posta perpendicolarmente sulla carreggiata, qualche decina di metri più a valle del numero civico 2, per l’effetto di tale sinistro riportando lesioni personali, consistite in fratture plurime scomposte del braccio destro.
Chiedeva, pertanto, la condanna della convenuta, proprietaria della suddetta strada, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. (o, in subordine, dell’art. 2043 cod. civ.), al risarcimento dei danni subiti, da quantificarsi in corso di causa.
Istruita la causa anche attraverso l’assunzione di prove testimoniali e lo svolgimento di una consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di prime accoglieva la domanda risarcitoria, con decisione poi confermata in appello.
3. Avverso la sentenza della Corte peloritana ha proposto ricorso per cassazione la Città Metropolitana di Messina, sulla base – come detto – di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – falsa applicazione di norme di diritto e in particolare dell’art. 65, commi 3 e 4, del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, nonché violazione dell’art. 2697 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata là dove afferma – proprio muovendo dalle prescrizioni di cui all’art. 65, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 495 del 1992 (disciplina che, a giudizio della Corte territoriale, “prende in considerazione il preventivo esame, posto in essere dall’Ente, dello stato dei luoghi ove dovrà essere collocata la condotta di scolo, avuto riguardo, in particolare, alla fluidità e sicurezza della circolazione”) – che la Provincia di Messina, “al momento della realizzazione dell’impianto di scolo delle acque, avrebbe dovuto verificare che lo stato dei luoghi fosse perfettamente conforme alla tipologia di condotta di scolo realizzata, in modo tale da garantire sempre la sicurezza e la fluidità della circolazione”. Orbene, prosegue la sentenza impugnata, “nel caso di specie, sembrerebbe che una tale valutazione non sia stata effettuata dall’ente al momento della realizzazione della calatoia vista la collocazione della medesima nei pressi del punto di tangenza della curva dopo un lungo rettilineo in discesa”, soggiungendo di non essere “convinta” dalla “collocazione della condotta di scolo nelle immediate vicinanze di una curva, definita dalla stessa parte appellante come pericolosa”, e ciò “poiché non risulta correttamente garantita la sicurezza nei confronti degli utenti che percorrono la suddetta strada”.
Pertanto, secondo la ricorrente, non sarebbe “dato evincere da quale elemento probatorio la Corte d’Appello e il Tribunale abbiano tratto la conclusione che lo stato dei luoghi non fosse perfettamente conforme alla tipologia di condotta di scolo realizzata, in modo tale da garantire sempre la sicurezza e la fluidità della circolazione”. Lo confermerebbe, del resto, il carattere dubitativo della motivazione espressa al riguardo, reso palese dall’uso delle locuzioni “sembrerebbe” e “non convince”. Si tratta, infatti di “mere espressioni probabilistiche che contrastano con la certezza del diritto e non possono certo assurgere al rango di prova di cui all’art. 2697 cod. civ.”, sicché la Corte messinese, nel dubbio, “avrebbe quantomeno dovuto espletare una CTU” anche sul punto.
Inoltre, diversamente da quanto affermato in sentenza, la prova di tale circostanza, a differenza di quanto statuito dai giudici di merito, doveva essere fornita dall’attore, a norma dell’art. 2697 cod. civ.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, oltre ad “anomalia motivazionale” e “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e, dunque, “motivazione apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile”.
Si assume, infatti, che la sentenza sia nulla, “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (collocazione della caditoia e verifica dello stato dei luoghi)”, che “ha comportato l’emissione di una motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”.
Difatti, dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio emergeva che la griglia “si presentava in buono stato di manutenzione, perfettamente complanare con la carreggiata e priva di dissesti di alcun genere”, così come anche “la sede stradale si presentava in buone condizioni di mantenimento”. La medesima relazione, inoltre, attestava che “la superficie della griglia, proprio per le sue caratteristiche costruttive e geometriche, è discontinua e non liscia, con elementi trasversali in ferro inclinati di 45° rispetto al senso di marcia”, sicché proprio questa discontinuità, “unitamente alle ridotte dimensioni garantisce l’aderenza degli pneumatici dei mezzi che circolano sulla carreggiata stradale”.
Pertanto, “la motivazione della Corte d’Appello sul punto è certamente apparente, perché avanza dei dubbi in merito alla collocazione della caditoia, che non sono stati mai oggetto del giudizio”, per giunta esprimendosi, come detto, in termini meramente probabilistici.
In conclusione, la Corte messinese “ha omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio e cioè di verificare se la caditoia dalla quale, ad avviso dell’attore, sarebbe derivato il danno, era stata adeguatamente collocata nel rispetto dello stato dei luoghi e in conformità a quanto previsto dalla normativa vigente”.
3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare degli artt. 2051, 2043, 1227, comma 1, e 2697 cod. civ., nonché dell’art. 115 cod. proc. civ.
La ricorrente deduce di essersi lamentata, in appello, del fatto che il primo giudice avesse “omesso di pronunciarsi su una questione giuridica fondamentale, che avrebbe certamente escluso la responsabilità dell’Ente convenuto, ossia la circostanza che l’attore risiedesse proprio nel Comune di Terme Vigliatore” , cioè a dire il luogo del sinistro.
La Corte territoriale, tuttavia, pur avendo “confermato l’omissione” in cui era incorso il Tribunale, nell’esaminare il merito del suddetto motivo di gravame, ha richiamato – dopo aver premesso che “la conoscenza da parte del danneggiato dei luoghi in cui si è verificato il sinistro” rappresenta “un elemento utile al fine di individuare una responsabilità in capo allo stesso nella causazione dell’incidente, e, dunque, al fine di escludere totalmente o parzialmente la responsabilità del custode” – una pronuncia di questa Corte secondo cui “questo indizio” deve “essere correttamente valutato di volta in volta dal giudice”.
Senonché, il giudice d’appello si sarebbe limitato a trascrivere “pedissequamente parti della sentenza della Suprema Corte” non recanti “alcuna attinenza con la fattispecie che qui occupa”, nella quale – a differenza del caso oggetto della richiamata pronuncia di legittimità – non vi era “alcuna buca piena d’acqua”, né “alcuna strada buia”.
Inoltre, l’istruttoria celebrata ha confermato che l’attore “era a conoscenza della presenza della grata in quanto percorreva abitualmente la S.P. 93 in località Pietre Rosse in direzione monte/mare”. Di conseguenza, se “la Corte d’Appello avesse attentamente e correttamente valutato i fatti di causa e le prove assunte, in esatta applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. avrebbe certamente dovuto riconoscere che la causa del sinistro era ascrivibile esclusivamente all’attore, escludendo ogni responsabilità dell’Ente convenuto”.
3.4. Infine, il quarto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – falsa applicazione di norme di diritto e in particolare dell’art. 91 cod. proc. civ.
Si duole la ricorrente della condanna al pagamento delle spese di lite, deducendo che l’accoglimento dei motivi d’appello avrebbe dovuto, invece, comportare, “quale conseguenza logica ed in esatta applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., la condanna dell’appellato alle spese e onorari del doppio grado del giudizio”.
4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il A.A. , chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
5. La trattazione del presente ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 – bis.1 cod. proc. civ.
6. Il ricorrente ha depositato memoria, eccependo l’inammissibilità, per tardività, del controricorso.
7. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
Motivi della decisione
8. In via preliminare va dichiarata l’inammissibilità del controricorso, per tardività, come eccepito dalla ricorrente.
8.1. Al riguardo, deve rilevarsi che al presente giudizio continua ad applicarsi l’art. 370 cod. proc. civ. nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 3, comma 27, lett. f), del D.Lgs. 1° ottobre 2022, n. 149, e ciò in virtù di quanto stabilito dall’art. 35, comma 5, del medesimo decreto legislativo, a mente del quale – salvo quanto diversamente stabilito dal successivo comma 6 (che non menziona, però, l’art. 370 del codice di rito civile tra le disposizioni soggette a tale diverso regime di efficacia intertemporale) – le norme del capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile, come modificate dal suddetto decreto legislativo, “hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data”. Nella specie, infatti, il ricorso risulta notificato nell’anno 2021, donde l’ultrattività delle norme “de quibus”, tra le quali, appunto, l’art. 370 cod. proc. civ.
Ciò comporta la tardività del controricorso, che risulta – agli atti a disposizione del Collegio – solo depositato presso la cancelleria di questa Corte il 22 maggio 2023, ma non anche notificato al ricorrente nel domicilio eletto – come richiesto dall’ormai abrogato testo dell’art. 370 cod. proc. civ., ancora applicabile, però, “ratione temporis” al presente giudizio – entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso.
9. Ciò premesso, il ricorso va rigettato.
9.1. Il primo motivo non è fondato.
9.1.1. Nello scrutinarlo, occorre muovere dal principio – che risulta consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – secondo cui la responsabilità da cose in custodia è ravvisabile anche in relazione ai beni demaniali (tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 22 settembre 2023, n. 27137, non massimata), e quindi pure alle strade pubbliche, di talché “agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito è in linea generale applicabile l’art. 2051 cod. civ., in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, indipendentemente dalla sua estensione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 luglio 2016, n. 15761, Rv. 641162-01; nello stesso senso, tra le molte, già Cass. Sez. 3, sent. 29 marzo 2007, n. 7763, Rv. 596965-01, nonché, successivamente, Cass. Sez. 3, ord. 1° febbraio 2018, n. 2481, Rv. 647935-01). È stato, inoltre, precisato, sempre con riferimento alla specifica fattispecie della custodia di strade pubbliche, che “la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa”, sussistendo – in questo, e in ogni altro caso in cui la suddetta norma risulti applicabile – “un’ipotesi di responsabilità oggettiva, il cui unico presupposto è l’esistenza di un rapporto di custodia”, essendo “del tutto irrilevante”, per contro, “accertare se il custode sia stato o meno diligente nell’esercizio della vigilanza sulla cosa” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. n. 2481 del 2018, cit.). Di conseguenza, “il danneggiato ha il solo onere di provare l’esistenza di un valido nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre il custode ha l’onere di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, ivi compreso il fatto dello stesso danneggiato o del terzo” (cfr., nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. n. 2481 del 2018, cit.).
Alla stregua di questi principi, pertanto, è stato pure affermato – con specifico riferimento alla fattispecie che viene in rilievo nel presente caso – che, in tema di sinistro stradale, “il danneggiato che agisca per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una caduta avvenuta, mentre circolava sulla pubblica via alla guida del proprio ciclomotore” (ma il principio è estensibile ad ogni veicolo a due ruote), “a causa di una grata o caditoia d’acqua, è tenuto alla dimostrazione dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, non anche dell’imprevedibilità e non evitabilità dell’insidia o del trabocchetto, né della condotta omissiva o commissiva del custode, gravando su quest’ultimo, in ragione dell’inversione dell’onere probatorio che caratterizza la responsabilità ex art. 2051 cod. civ., la prova di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presentasse, per l’utente, una situazione di pericolo occulto” (così Cass. Sez. 3, sent. 9 giugno 2016, n. 11802, Rv. 640205-01).
In altri termini, in materia di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. (come puntualizza, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 28 novembre 2023, n. 33074, non massimata), già con ordinanza 1° febbraio 2018, n. 2482 (e, nello stesso senso, con ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018) si è avuto modo di precisare che “la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, cod. civ. , richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost. , sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.
Tale principio di diritto – successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 6-3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27724, Rv. 651374-01; Cass. Sez. 3, ord. 26 luglio 2019, n. 20312, Rv. 654924-01; Cass. Sez. 3, ord. 2 dicembre 2021, n 38089, Rv. 663300 – 02; Cass. Sez. 3, ord. 1° dicembre 2022, n. 35429, Rv. 666487-01; Cass. Sez. 3, ord. 23 maggio 2023, n. Rv. 667836-02 e Cass. Sez. 3, ord. 20 luglio 2023, n. 21675, Rv. 668745-01), anche a Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., sent. 30 giugno 2022, n. 20943, Rv. 665084-01) – è stato poi ancor più di recente riaffermato, statuendosi (Cass. Sez. 3, sent. 27 aprile 2023, n. 11152, Rv. 667668 – 01) che la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 cod. civ. (bastando la colpa del leso: Cass. Sez. 3, ord. n. 21675 del 2023, cit.) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole.
A tanto deve aggiungersi che la valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del leso costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro – come nella specie – da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781 – 01).
Da quanto appena osservato deriva, pertanto, che – nel caso all’esame di questa Corte – nessuna inversione dell’onere della prova può essere addebitata alla sentenza impugnata, giacché, come detto, il soggetto danneggiato dalla caduta su una grata o caditoia d’acqua, che agisca a norma dell’art. 2051 cod. civ., è solo “tenuto a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto”, prova che “consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia”, da raggiungersi “anche con presunzioni, giacché la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato “anomalo”” rispetto alla custodia del bene (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11802 del 2016, cit.).
Si deve, quindi, ribadire che “l’insidia o trabocchetto determinante pericolo occulto non è elemento costitutivo dell’illecito”, né di quello “previsto dalla regola generale ex art. 2043 cod. civ.”, né di quello di cui alla norma “speciale di cui all’art. 2051 cod. civ”, essendo invece “frutto dell’interpretazione giurisprudenziale”, da ritenersi ormai del tutto superata, giacché essa, “al fine di limitare le ipotesi di responsabilità” finiva “per indebitamente gravare del relativo onere probatorio il danneggiato, con correlativo ingiustificato privilegio per la P.A.”, in aperto “contrasto con il principio cui risulta ispirato l’ordinamento di generale favor per il danneggiato, titolare della posizione giuridica soggettiva giuridicamente rilevante e tutelata invero lesa o violata dalla condotta dolosa o colposa altrui, che impone al relativo autore di rimuovere o ristorare, laddove non riesca a prevenirlo, il danno inferto” (cfr., nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11802 del 2016, cit.).
Al di là, dunque, dell’uso di formule apparentemente “perplesse” (quali “sembrerebbe”, o “non convince”), sulle quali insiste il motivo di ricorso, deve rimarcarsi la sostanziale conformità a diritto della conclusione cui perviene Corte peloritana, secondo cui “incombeva sulla convenuta dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presentasse, per l’utente, una situazione di pericolo occulto, nel cui ambito rientra anche la prevedibilità e visibilità della grata o caditoia, prova che nel caso di specie non è stata data”, con le conseguenze, in termini di accoglimento della domanda risarcitoria proposta, alla luce dei principi di cui sopra si diceva.
9.2. Il secondo motivo è inammissibile, in ciascuna delle censure in cui si articola.
9.2.1. Invero, quanto al denunciato “omesso esame”, l’inammissibilità va affermata ai sensi dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ., norma che continua ad essere applicabile al presente giudizio, giacché la sua abrogazione, ad opera dell’art. 3, comma 26, lett. e), del già citato D.Lgs. n. 149 del 2022, ha effetto solo dal 28 febbraio 2023, con applicazione ai procedimenti pendenti a tale data (quale non è, come detto, quello presente), secondo la previsione generale di cui al comma 1 dell’art. 35 del medesimo D.Lgs. n. 149 del 2022.
Difatti, avendo l’odierna ricorrente gravato sentenza resa in prime cure del 2 aprile 2019, il suo atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11 settembre 2012, ciò che determina l’applicazione “ratione temporis” dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. , norma che preclude, in un caso, qual è quello presente, di cd. “doppia conforme di merito”, la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., salvo che la parte ricorrente non soddisfi l’onere – ciò che nella specie non risulta avvenuto – “di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lav., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01; Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2023, n. 5947, Rv. 667202-01). Dimostrazione, peraltro, che deve evidenziare l’esistenza di differenze sostanziali, dato che l’ipotesi di “doppia conforme” ricorre “non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice” (Cass. Sez. 6-2, ord. 9 marzo 2022, n. 7724, Rv. 664193-01).
9.2.2. Quanto, invece, al preteso vizio motivazionale, deve rilevarsi quanto segue.
Sul punto, infatti, va rammentato che, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – nel testo “novellato” dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto – legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01).
Il difetto di motivazione è, dunque, ipotizzabile solo nel caso in cui la parte motiva della sentenza risulti “meramente apparente”, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01, Cass. Sez. 6-1, ord. 1° marzo 2022, n. 6758, Rv. 664061-01), o perché affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6 – Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628 – 01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018 – 01). Ferma in ogni caso restando la necessità che il vizio “emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit.), vale a dire “prescindendo dal confronto con le risultanze processuali” (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata; in senso conforme, da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120 – 01).
Nella specie, per contro, il vizio motivazionale denunciato, lungi dall’avere carattere “testuale” (ovvero, direttamente ricavabile dal testo della sentenza impugnata), sarebbe disvelato da un confronto con le risultanze dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.
9.3. Anche il terzo motivo è inammissibile.
9.3.1. Al di là, infatti, del non del tutto perspicuo riferimento – compiuto dal giudice d’appello – al precedente di questa Corte citato a supporto del proprio ragionamento, la sentenza impugnata ha escluso che la conoscenza dello stato dei luoghi da parte del danneggiato potesse, nella specie e se non altro di per sé sola, costituire un elemento utile per apprezzare se la sua condotta avesse dato causa (o concorso a dare causa) al sinistro.
Invero, la Corte territoriale è pervenuta a tale conclusione ritenendo che la diligenza del A.A., nel rapportarsi con le caratteristiche – a lui note – del luogo teatro del sinistro, “risultasse provata non soltanto dalla testimonianza esaminata in primo grado”, dalla quale era emerso “che il danneggiato viaggiava a velocità non elevata e indossava il casco protettivo”, ma anche “dai danni riportati” dallo stesso, i quali confermano come egli “procedesse a velocità moderata”.
Su tali basi, dunque, è stata motivata la conclusione circa l’inidoneità della condotta del A.A. ad escludere il nesso di causa tra “res” custodita e danno (e, dunque, ad integrare una delle ipotesi di “caso fortuito” ex art. 2051 cod. civ.), ovvero a circoscrivere l’entità delle conseguenze risarcibili a norma dell’art. 1227 cod. civ.
9.4. Infine, inammissibile è pure il quarto motivo di ricorso.
9.4.1. Esso, infatti, non deduce alcun autonomo e specifico vizio di legittimità della statuizione sulle spese, prospettando come indebita la condanna al loro pagamento unicamente quale conseguenza dell’erroneità del rigetto dell’appello, presentandosi, così, alla stregua di un “non motivo” (Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01; Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919 – 01).
10. Nulla va disposto in relazione alle spese del presente giudizio di legittimità, stante l’inammissibilità del controricorso.
11. A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198 – 01), ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
12. Infine, per la natura della “causa petendi”, va di ufficio disposta l’omissione, in caso di diffusione, delle generalità e degli altri dati identificativi del controricorrente, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Dispone che, ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi del controricorrente.
Conclusione
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di cassazione, svoltasi il 21 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2024.