Titolo

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abbandonata la casa coniugale

Diritto di Famiglia Separazione e Divorzio

Lei ha ha accudito casa e figli, lui ha fatto carriera: l’assegno di divorzio ne deve tener conto (Cass. 26520/24)

Il Giudice deve effettuare una valutazione comparativa delle condizioni economico – patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto

LA FATTISPECIE CONCRETA

Lei ha 63 anni e percepisce solo il reddito costituito dall’assegno di mantenimento versato dal marito di € 1.720,00 e non gode della casa coniugale; il matrimonio è durato 29 anni; ha  fornito un contributo alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi (“ex impiegata, poi casalinga per la cura e crescita dei tre figli, accudimento suocero, zii materni del marito (oltre che del proprio padre); assenza del marito giustificata/necessitata dalla volontà di questi di seguire l’attività di famiglia che operava nel settore edile).

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, ma tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, ex post divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo – perequativa.

In sostanza,

la Corte di Cassazione, nel respingere entrambe le censure mosse alla sentenza della Corte d’Appello di Milano che aveva ritenuto, in considerazione della funzione compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, di dovere confermare la decisione impugnata, sia con rifermento all’ an debeatur che con riferimento al quantum debeatur, richiama i principi della giurisprudenza di legittimità a decorrere dall’arresto delle Sezioni Unite del 11 luglio 2018 n. 18287, il quale ha evidenziato come il giudice debba accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata del matrimonio, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali delle parti, anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro.

L’ORDINANZA

Cassazione civile, Sez. I, Ordinanza del 11/10/2024, n. 26520

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSTI Alberto – Presidente
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Relatore
Dott. GARRI Guglielmo – Consigliere
Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19650/2023 R.G. proposto da:
A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato QUATTROCCHI ROSMI GERVASONI ALFREDO (Omissis) unitamente all’avvocato VIALE BARBARA (Omissis),
– ricorrente –

contro

B.B., rappresentata e difesa dall’avvocato BRUNO LUCA (Omissis),
– controricorrente –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1006/2023 depositata il 24/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA.

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 1006/2023, pubblicata il 24/3/2023, ha respinto l’appello di A.A., nei confronti di B.B., avverso la decisione del Tribunale di Como del settembre 2021, con la quale si era dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, contratto nel gennaio 1978, tra il A.A. e la B.B. (coniugi separatisi con decreto del 2008 di omologa della separazione consensuale, in cui si era previsto l’obbligo del marito di corrispondere alla moglie Euro 1.500,00 mensili, rivalutabili secondo Istat, a titolo di mantenimento, per quanto qui interessa) e si era fissato l’assegno divorzile in Euro 1.720,00 mensili. In particolare, i giudici di appello, richiamati i presupposti di cui all’art. 5 l.div. come interpretati dal giudice di legittimità, hanno ritenuto che, avuto riguardo alla funzione compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, nella specie, doveva essere confermata la decisone impugnata, sia con rifermento all’ an debeatur, che con riferimento al quantum debeatur dovuto, a tale titolo, dal A.A. alla ex moglie.
In particolare, la Corte d’appello ha rilevato che vi è disparità reddituale tra gli ex coniugi (percependo il A.A. un reddito, in media, dal 2014 al 2018, di 70.000,00, ridottosi negli anni 2019 e 2020 ad Euro 18.000,00 circa, in conseguenza del diverso regime fiscale scelto dalla società dallo stesso amministrata, dovendo anche tenersi conto degli utili societari, rimasti elevati negli ultimi anni e sempre distribuiti, tranne nel 2019, senza tuttavia che fisse stata offerta dimostrazione, quanto alla mancata distribuzione in tale anno di una permanente contrazione del reddito sociale, considerato l’incremento del valore della società e della quota sociale del A.A.; la B.B. percepisce solo il reddito costituito dal suo mantenimento e non gode della casa coniugale dalla sentenza di primo grado di divorzio) e che il matrimonio era durato 29 anni (con separazione intervenuta nel 2007, per volontà del marito), la B.B. ha 63 anni, vi era un contributo dalla stessa fornito alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi (“ex impiegata, poi casalinga per la cura e crescita dei tre figli, accudimento suocero, zii materni del marito (oltre che del proprio padre); assenza del marito giustificata/necessitata dalla volontà del A.A. di seguire l’attività di famiglia che operava nel settore edile”)
Avverso la suddetta pronuncia, A.A.Ca. propone ricorso per cassazione, notificato il 25/9/2023, affidato a due motivi, nei confronti di B.B. (che resiste con controricorso).

Motivi della decisione

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione di norma di diritto ed in particolare dell’art. 5 comma VI della legge 898/70, per difetto dei presupposti di legge per il riconoscimento dell’assegno divorzile, non avendo la Corte territoriale verificato se la disparita tra le condizioni economiche tra le parti in causa dipendesse dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio ed avendo omesso totalmente di considerare un altro elemento pacifico acquisito in corso di causa e cioè che la sig.ra B.B. non solo fosse proprietaria al 50% con il ricorrente del compendio immobiliare dove abitava, ma aveva la possibilità di ospitare anche due dei figli che ancora convivevano con lei; b) con il secondo motivo, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, della legge 898/70, per erronea decisione sui criteri di quantificazione dell’assegno, essendo stato riconosciuto, in capo alla ex moglie, non solo lo stesso importo stabilito in sede di separazione, ma esso addirittura era stato calcolato con la rivalutazione ISTAT, cosicché, in sostanza, nessuna differenza vi e tra l’assegno di mantenimento in sede di separazione, che risponde a ben noti criteri di garanzia del medesimo tenore di vita goduto dal coniuge beneficiario in sede di matrimonio, rispetto a quei criteri di assistenza e compensazione che connotano l’assegno divorzile, non avendo la Corte di merito tenuto conto del patrimonio immobiliare di cui è titolare la sig.ra B.B. né valorizzato il fatto che il ricorrente aveva dimostrato documentalmente che il suo reddito aveva subito un considerevole abbattimento, a seguito di decisioni societarie delle quali non era certamente responsabile.
2. La prima censura è infondata.
In ordine ai presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile, la Corte d’appello ha statuito in maniera conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte a partire dall’arresto delle Sezioni Unite del 2018 (Sez. Un. n. 11.7.2018 n. 18287), al fine di indicare un percorso interpretativo che tenesse conto dell’esigenza riequilibratrice (sottolineata dalle Sezioni Unite del 1990) e della necessità di “attualizzare il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio anche in relazione agii standards europei”, in coerenza con il quadro costituzionale di riferimento, con superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio.
Si e quindi affermato che il giudice deve accertare l’adeguatezza dei mezzi “attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico – patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”. I criteri di cui all’art. 5, comma 6, in esame costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all’ an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur: l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico – patrimoniali delle parti che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dello avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell’assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà.
E’ stato comunque affermato dalle Sezioni unite che “La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.
Le Sezioni Unite hanno evidenziato come il giudice debba, ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, accertare “se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro”.
Gli indicatori, contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, prefigurano dunque una funzione, oltre che assistenziale, perequativa e riequilibratrice dell’assegno di divorzio che permea il principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole. Si è inoltre chiarito come “l’autoresponsabilità – cui nella sentenza della Prima civile del 2017 si era dato centrale rilievo – deve infatti percorrere tutta la storia della vita matrimoniale e non comparire solo al momento della sua fine: dal primo momento di autoresponsabilità della coppia, quando all’inizio del matrimonio (o dell’unione civile) concordano tra loro le scelte fondamentali su come organizzarla e le principali regole che la governeranno; alle varie fasi successive, quando le scelte iniziali vengono più volte ridiscusse ed eventualmente modificate, restando l’autoresponsabilità pur sempre di coppia. Quando poi la relazione di coppia giunge alla fine, l’autoresponsabilità diventa individuale, di ciascuna delle due parti: entrambe sono tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità, anche quella più debole economicamente. Ma non si può prescindere da quanto avvenuto prima dando al principio di autoresponsabilità un’importanza decisiva solo in questa fase, ove finisce per essere applicato principalmente a danno della parte più debole”.
Come ribadito nella successiva sentenza n. 9004/2021 delle stesse Sezioni Unite, “tale accertamento non inerisce all’atto costitutivo del vincolo coniugale, ma allo svolgimento di quest’ultimo nella sua effettività, contrassegnata dalle vicende concretamente affrontate dai coniugi come singoli e dal nucleo familiare nel suo complesso, anche nella loro dimensione economica, la cui valutazione trova fondamento, a livello normativo, nei criteri indicati dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno”.
Nella successiva ordinanza del 30 agosto 2019, n. 21926, questa Corte ha quindi ribadito che l’assegno di divorzio ha una funzione assistenziale, ma parimenti anche compensativa e perequativa, come indicato dalle Sezioni Unite, e presuppone l’accertamento di uno squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economiche patrimoniali delle parti, riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti della coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi.
Sul tema della pariordinazione dei criteri di cui all’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, si sofferma poi Cass. 17 febbraio 2021, n. 4215, a mente della quale, posto che l’assegno divorzile svolge una funzione sia assistenziale che perequativa e compensativa, il giudice: a) attribuisce e quantifica l’assegno alla stregua dei parametri pari ordinati di cui all’art. 5, 6 comma, prima parte, tenuto conto dei canoni enucleati dalle Sezioni Unite del 2018, prescindendo dal tenore di vita godibile durante il matrimonio; b) procede pertanto ad una complessiva ponderazione “dell’intera storia familiare”, in relazione al contesto specifico e, in particolare, atteso che l’assegno deve assicurare all’ex coniuge richiedente – anche sotto il profilo della prognosi futura – un livello reddituale adeguato allo specifico contributo dallo stesso fornito alla realizzazione della vita familiare e alla creazione del patrimonio comune e/o personale dell’altro coniuge, accerta previamente non solo se sussista uno squilibrio economico tra le parti, ma anche se esso sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due e verifica, infine, se siffatto contributo sia stato già in tutto o in parte altrimenti compensato, fermo che, nel patrimonio del coniuge richiedente, l’assegno non devono computarsi anche gli importi dell’assegno di separazione, percepiti dal medesimo in unica soluzione, in forza di azione esecutiva svolta con successo, in ragione dell’inadempimento dell’altro coniuge.
In definitiva, occorre un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti è l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno “perequativo”, cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio reddituale e a dare ristoro, in funzione riequilibratrice, al contributo dato dall’ex coniuge all’organizzazione della vita familiare, senza che per ciò solo si introduca il parametro, in passato utilizzato e ormai superato, del tenore di vita endoconiugale, mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza strettamente assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa o non può procurarseli per ragioni oggettive. L’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato, in particolare, a realistiche occasioni professionali – reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico – patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.
Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, ma tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, ex post divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo – perequativa.
Orbene, la Corte d’appello ha rispettato tali principi di diritto, affermando che vi è un accertato – e di non modesta entità – squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, considerata la durata quasi trentennale della vita coniugale (avviata dal 1978, allorché i coniugi avevano, lui, 23 anni e, lei, 19 anni, e protrattasi sino al 2008, epoca della separazione), nonché l’età della richiedente (nata nel 1959), poteva presuntivamente concludersi che la differenza di reddito e patrimonio tra i coniugi fosse da attribuire anche ad una certa organizzazione familiare che ha permesso al marito di dedicarsi al lavoro, occupandosi la moglie della casa e dei tre figli (oltre che del suocero e degli zii materni del marito), cosicché era dovuto un assegno divorzile, a carico del A.A. e in favore dell’ex coniuge, in funzione propriamente “perequativo – compensativa”.
Né può ritenersi che, nell’avviare la vita matrimoniale, entrambi i coniugi avessero già maturato le proprie scelte professionali e che la loro posizione patrimoniale si fosse già formata e consolidata.
Priva di fondamento è l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la prova del contributo fornito da un coniuge alla formazione del patrimonio familiare e di quello dell’altro coniuge, frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare e di definizione dei ruoli all’interno della coppia, non potrebbe essere fornita mediante presunzioni.
Sul punto, la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18287/2018 (al punto 11, pag. 33), ha espressamente affermato che la prova del contributo in oggetto può essere fornita “con ogni mezzo anche mediante presunzioni”.
E l’accordo sull’organizzazione dei ruoli reciproci dei coniugi nell’organizzazione della vita familiare non viene di regola espresso in forma scritta.
Il principio è stato ribadito da questa Corte (Cass. 35434/2023: “L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico – patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali – reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale”; Cass. 4328/2024: “L’assegno divorzile assolve una funzione non solo assistenziale, ma anche compensativo – perequativa che dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole; ne consegue che detto assegno deve essere riconosciuto, in presenza della precondizione di una rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, non solo quando la rinuncia a occasioni professionali da parte del coniuge economicamente più debole sia il frutto di un accordo intervenuto fra i coniugi, ma anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare – che, salvo prova contraria, esprime una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi – a fronte del contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, anche sotto forma di risparmio”).
Nella specie, la funzione perequativo – compensativa dell’assegno divorzile tende proprio a riequilibrare la posizione dei coniugi rispetto agli svantaggi determinati dallo scioglimento della vita matrimoniale.
Vero che solo un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio presente al momento del divorzio fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti sia l’effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari giustifica il riconoscimento di un assegno “perequativo”, cioè di un assegno tendente ad attenuare e rendere accettabile tale squilibrio in base a parametri di giustizia distributiva applicabili anche in sede di crisi familiare (ove i benefici si siano accumulati sul patrimonio o sul reddito di uno solo dei coniugi), ma ovviamente non più tendente a mantenere il pregresso tenore di vita matrimoniale. Infatti, in assenza della prova di questo nesso causale, l’assegno può essere giustificato soltanto da una esigenza assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell’assegno se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un’esistenza dignitosa.
E non si tratta di una riedizione della teorica del tenore di vita in sede divorzile, ma del riconoscimento – in una certa misura da ritenersi congrua – dell’incremento di benessere (attuale o potenziale, in atto o spendibile) concentratosi su uno solo dei due ex coniugi, grazie però all’aiuto che egli abbia ricevuto dall’impegno familiare dell’altro.
Nella specie, il contributo dato dalla B.B. (sposatasi a 19 anni e rimasta casalinga) alla formazione del patrimonio del marito (imprenditore) e/o di quello comune è derivato, per quanto dedotto, proprio dall’assunzione su di sé del peso prevalente della cura della casa e dei figli così da consentire all’altro coniuge di dedicarsi alla propria carriera.
3. La seconda censura in punto di quantum debeatur è parimenti infondata.
Lamenta il ricorrente che la conferma in appello, malgrado gravame sul punto, del quantum stabilito in primo grado e quindi la conferma dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione (Euro 1.500,00 mensili), maggiorato della rivalutazione secondo gli indici Istat intercorsa nei dieci anni dalla separazione, senza alcuna ragione giustificatrice esplicitata, implica che si sia adottato il criterio della ricostituzione del tenore di vita esistente durante il rapporto matrimoniale, in luogo di quello elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte.
Il ricorrente, pur dando atto che non esiste un parametro fissato dalla legge, lamenta che non si sia valorizzata la comproprietà per quota del 50% della villa ove ella vive (peraltro essendosi revocata l’assegnazione della casa coniugale con il divorzio).
L’art. 5, comma 6, l. 898/1970, come modificata per effetto della Novella del 1987 n. 74, dispone che “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Le modifiche più significative rispetto alla precedente versione della norma attengono all’accorpamento di tutti gli indicatori quali “le condizioni dei coniugi”, il “reddito di entrambi” (relativi al criterio assistenziale), “il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune” (attinente al criterio compensativo) e le “ragioni della decisione” (relative al criterio risarcitorio) nella prima parte della norma, come fattori dei quali il giudice deve “tenere conto” nel disporre l’assegno di divorzio, nonché la condizione dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarli per ragioni obiettive, in capo all’ex coniuge che richieda l’assegno.
Il testo della norma prevede, innanzitutto, che il giudice tenga (sempre) conto: delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutando tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del rapporto. Effettuata questa valutazione, il giudice disporrà l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
Nella specie, in punto di quantificazione dell’assegno divorzile, la Corte d’appello si è riportata alla motivazione espressa in primo grado (con la quale si era evidenziata la congruità dell’assegno di Euro 1.720,00 mensili, considerato il reddito significativo del marito, “ormai sgravato dall’obbligo di mantenimento anche dell’ultimo figlio”), integrandola con la considerazione della spettanza dello stesso in funzione perequativa – compensativa, tenuto conto della durata del matrimonio (ventinove anni), dell’età dell’avente diritto (63 anni), del contributo fornito dalla B.B. alla condizione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale dell’ex coniuge (“ex impiegata, poi casalinga per la cura e crescita dei tre figli, accudimento del suocero, degli zii materni del marito”, che si era così potuto dedicare all’attività imprenditoriale nel settore edile), venir meno dell’assegnazione della casa coniugale, rispettando dunque i parametri di legge.
4. Per quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso di Euro 3.500,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Conclusione

Così deciso in Roma il 12 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria l’11 ottobre 2024.

 

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