Cassazione penale Sez. IV, Sentenza del 05-05-2020, n. 13575
Il Legislatore ha introdotto una forma particolare di prescrizione che distingue la prescrizione dell’azione dalla prescrizione del reato: se la prescrizione del reato presupposto interviene prima della contestazione dell’illecito amministrativo, il P.M. decade dal potere di esercitare l’azione nei confronti dell’Ente (art. 60); se invece la prescrizione del reato interviene dopo che l’illecito amministrativo è stato contestato, il processo nei confronti dell’Ente continuerà in via autonoma e l’illecito amministrativo diverrà, di fatto, imprescrittibile.
In altre parole, se il processo per il reato presupposto non è prescritto, IL PROCESSO penale nei confronti dell’Ente può iniziare ed a quel punto NON SI PRESCRIVE PIÙ !!!
IL CASO
La Corte di appello di Venezia confermava la sentenza del Tribunale di Venezia con cui: a) l’amministratore unico veniva condannato alla pena di mesi tre di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile in relazione al reato di lesioni colpose di cui all’art. 590 c.p., comma 3; b) la Società veniva dichiarata responsabile dell’illecito amministrativo D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 25-septies, comma 3, (lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro) e per l’effetto veniva condannata con la sanzione interdittiva di contrarre con la pubblica amministrazione per la durata di tre mesi oltre al pagamento della sanzione di Euro 30.000,00.
L’amministratore unico veniva condannato per lesioni colpose poiché, nella sua qualità, violava la normativa riguardante la sicurezza sul lavoro di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, così cagionando al dipendente un trauma alla mano sinistra con ferite ed ustioni.
La Società veniva condannata per avere adottato un modello organizzativo insufficiente rispetto alle finalità di prevenzione e protezione contro i rischi e per il vantaggio economico consistito in un risparmio di spesa (mancato acquisto di guanti di protezione) ed in un maggior guadagno (non rallentamento del ciclo di produzione).
Sia l’amministratore unico che la Società ricorrevano in Cassazione: gli Ermellini, dopo avere in via preliminare rilevato che la sentenza doveva essere annullata senza rinvio nei confronti dell’imputato per estinzione del reato dovuta a prescrizione maturata nelle more del giudizio di legittimità, dopo un approfondito esame, rigettavano invece il ricorso proposto dalla Società.
IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE
In relazione al reato di lesione personale colposa commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, la responsabilità dell’impresa per il connesso illecito amministrativo di cui all’art. 25- septies, D.Lgs. n. 231/2001 sussiste anche nel caso in cui il reato si estingua per prescrizione, senza che si possa prescindere da una verifica quantomeno incidentale della sussistenza del fatto di reato, e purché il reato sia stato commesso dal suo autore nell’interesse o a vantaggio dell’impresa e risulti adottato un modello organizzativo insufficiente rispetto alle finalità di prevenzione e protezione contro i rischi.
LA SENTENZA
(omissis)
Svolgimento del processo
1.Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Venezia del 27 marzo 2015, con cui:
a) M.D. è stato condannato aula pena di mesi tre di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile in relazione al reato di cui all’art. 590 c.p., comma 3;
b) la M. s.p.a. è stata dichiarata responsabile dell’illecito amministrativo D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 25-septies, comma 3, ed era stata condannata al pagamento della sanzione di Euro trentamila, con la sanzione interdittiva di contrarre con la pubblica amministrazione per la durata di mesi tre.
Il M. è stato condannato per lesioni colpose, perchè nella sua qualità di amministratore unico della M. s.p.a., per colpa generica e per violazione degli artt. 29, comma 3 (non aggiornata valutazione dei rischi in relazione all’operazione di sbloccaggio della plastica di seguito descritta, considerato il frequente numero degli infortuni per la medesima causa verificatasi nel corso degli anni), e art. 77, comma 3 (omessa fornitura di guanti ad alta protezione termica), D.Lgs. n. 81 del 2008, cagionava al dipendente S.F., con mansioni di attrezzista, un trauma alla mano sinistra con ferite ed ustioni.
In particolare, a seguito del blocco della presa ad iniezione n. 24 dovuto all’intasamento di uno degli iniettori con del materiale plastico, l’operaio, senza indossare idonei guanti ad alta protezione termica, senza attendere che la camera calda si raffreddasse prima di procedere e con l’ausilio di una bacchetta di rame, rimuoveva la plastica che ostruiva l’iniettore: durante tali operazioni un getto di plastica liquida lo colpiva alla mano sinistra, cagionandogli le lesioni sopra descritte.
La M. s.p.a. è stata condannata per l’adozione di un modello organizzativo insufficiente rispetto alle finalità di prevenzione e protezione contro i rischi derivanti dalla rimozione della plastica e per il vantaggio economico consistito in un risparmio di spesa per il mancato acquisto dei guanti di protezione nonchè maggior guadagno determinato dal non rallentamento della produzione dovuta all’attesa del raffreddamento del materiale plastico nei casi frequenti (3 o 4 volte per turno di lavoro) di intasamento delle presse.
2. Il M. e la M. s.p.a., a mezzo del comune difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.
2.1. Vizio di illogicità della motivazione in punto di affermazione della responsabilità dell’imputato.
Si censura l’affermazione di responsabilità penale del M. per l’infortunio occorso al lavoratore S.M., addebito fondato sulla mancata consegna all’infortunato di adeguati dispositivi di protezione individuale e sulla violazione dell’obbligo di aggiornare il DVR e di conseguente responsabilità della M. s.a.s. per l’illecito amministrativo.
2.1.1. Come emerso dalle dichiarazioni dei testi S. e P., i lavoratori erano dotati di guanti di cuoio (oltre quelli di gomma), la cui idoneità ad annullare il rischio connesso alla specifica lavorazione non era stata valutata. La Corte territoriale ha fatto riferimento ad un unico dispositivo di protezione, incorrendo così in un travisamento della prova e in un’omessa valutazione di dati istruttori di decisiva rilevanza.
2.1.2. Al M., peraltro, nel capo di imputazione era contestato un profilo di colpa attinente al mancato aggiornamento della valutazione dei rischi in relazione all’operazione di sbloccaggio dell’iniettore della plastica, considerato il frequente numero di infortuni. In base agli esiti dell’istruttoria, tuttavia, emergeva che gli infortuni risalivano ad epoca anteriore all’aggiornamento del DVR e che il DVR prevedeva la necessità di sbloccare gli iniettori degli stampi solo dopo il loro allontanamento dal lavoratore, mediante bacchette di metallo di adeguata lunghezza.
2.1.3. La Corte veneta non ha motivato sulla sussistenza della colpa, in relazione ai profili di prevedibilità e di evitabilità dell’evento nonostante i plurimi elementi di prova richiamati nell’atto di appello e non considerati nella sentenza di secondo grado: a) la predisposizione di un DVR, che prevedeva lo specifico pericolo connesso all’uso dei macchinari di stampa della plastica; b) la dotazione di dispositivi di protezione individuale; c) le istruzioni fornite ai lavoratori da R.M., preposto all’attività produttiva, che aveva spiegato la procedura da seguire in sicurezza per lo sbloccaggio dell’iniettore; d) le rilevanti dimensioni dell’azienda, composta da centosessantatre dipendenti e due stabilimenti.
2.2. Violazione dell’art. 40 c.p. e art. 590 c.p., comma 3, D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 29 e 77 e vizio di motivazione in tema di ricostruzione del nesso di causalità.
Si osserva che nella sentenza impugnata è stata erroneamente ritenuta sussistente la condotta omissiva ascritta all’imputato e che non era stata realizzata una verifica controfattuale della correlazione tra condotta ed evento. Sarebbe stato necessario verificare se l’infortunio si sarebbe realizzato anche qualora il lavoratore avesse adoperato i guanti forniti dall’azienda. Nè era possibile affermare la sussistenza del nesso causale tra mancato aggiornamento del DVR e verificazione dell’infortunio, essendo pacifico il mancato rispetto da parte dei lavoratori delle disposizioni di sicurezza loro impartite (allontanamento dello stampo ed utilizzo di bacchette di idonea lunghezza).
2.3. Vizio di motivazione per essere stata affermata la responsabilità dell’ente, pur in assenza di vantaggio o di interesse, secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5 e violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p..
Si rileva che, tenuto conto della presenza di due stabilimenti e di 163 dipendenti, non sussisteva un effettivo e concreto vantaggio connesso al contestato mancato acquisto dei guanti idonei. D’altronde, la società aveva acquistato ben due tipi di guanti nella convinzione di aver fornito ai lavoratori dispositivi adeguati.
Si osserva che, secondo la Corte di merito, la mancata formazione dei lavoratori avrebbe realizzato un vantaggio: tuttavia tale profilo non aveva formato oggetto di contestazione nel capo di imputazione, con conseguente violazione dell’art. 521 c.p.p.. Il teste B. aveva specificato che il preposto R.M. era stato incaricato di illustrare agli addetti il comportamento da adottare nel caso di blocco della macchina a causa dell’ostruzione dell’iniettore della plastica.
Motivi della decisione
1. In via preliminare, va osservato che la sentenza deve essere annullata senza rinvio nei confronti dell’imputato per estinzione del reato dovuta a prescrizione, maturata nelle more del giudizio di legittimità, tenuto conto della data del fatto ((OMISSIS)), del periodo di centotrentaquattro giorni di sospensione della prescrizione e del titolo di reato, in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 157 e 161 c.p. (prescrizione maturata in data (OMISSIS)).
Le doglianze prospettate dall’imputato non possono essere considerate prima facie infondate e si appalesano, quindi, di spessore tale da escludere la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione. Risulta, quindi, correttamente instaurato il rapporto processuale, poichè il ricorso non è inammissibile (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bra-cale, Rv. 231164; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531).
Com’è noto, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
3. Tuttavia, essendo stata affermata la responsabilità della M. s.p.a. per l’illecito amministrativo D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 25-septies, comma 3, occorre comunque esaminare i motivi dei ricorsi (comuni ad imputato e società), per stabilire la sussistenza del fatto-reato. In tema di responsabilità degli enti, infatti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 8, comma 1, lett. b), il giudice deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 4, n. 22468 del 18/04/2018, Eurocos s.n.c., Rv. 273399; Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, Barla, Rv. 255369).
4. I primi due motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente in quanto strettamente correlati tra loro, investendo tutti gli elementi costitutivi del reato ascritto al M..
4.1. In ordine al nesso causale, la Corte territoriale, con motivazione lineare e coerente, ha rilevato che l’incidente si era verificato principalmente per l’omesso utilizzo da parte del lavoratore di idonei guanti ad alta protezione termica e del compimento della manovra diretta a rimuovere il tappo di plastica formatosi sull’iniettore, senza attendere il raffreddamento della camera calda prima di procedere.
Nella sentenza impugnata si è dato atto dell’inadeguatezza dei guanti in gomma in dotazione, utili a proteggere dal rischio di taglio ma non dalle ustioni, e della loro pericolosità, in quanto si incollavano alle mani del lavoratore aumentando la probabilità di verificarsi di eventi lesivi. Anche il Tribunale ha illustrato l’insufficienza dei predetti guanti diversi da quelli specifici occorrenti per l’intervento sul macchinario.
In sostanza, essendo stato dato atto dell’assoluta indispensabilità dei guanti ad alta protezione per prevenire il rischio di bruciature, non occorreva fornire ulteriori specificazioni relativamente all’inutilità di quelli di cuoio. Secondo la Corte veneta, il rischio era stato individuato nel DVR, ma l’imputato non aveva fornito ai lavoratori gli strumenti idonei, i quali erano stati consegnati solo successivamente all’incidente e dopo le disposizioni dell’USL al riguardo (vedi testimonianze di Br.Em. dello Sp. e dell’attrezzista P.M.).
Peraltro, i verbali di deposizione testimoniale che comprovavano la dotazione di tale tipologia di guanti agli operai non erano allegati ai ricorsi, in violazione del principio di autosufficienza.
4.2. Per quanto attiene al giudizio controfattuale, la Corte di appello, con motivazione immune da censure, ha chiarito che l’infortunio non era dovuto soltanto al mancato utilizzo dei guanti, ma anche ad una serie di gravi carenze riscontrate a carico del datore di lavoro in materia di sicurezza, tra le quali principalmente l’omessa adeguata formazione dei lavoratori, l’assenza della scheda – stampo, l’omessa indicazione nel DVR dei rischi e delle modalità per farvi fronte. Essa, pertanto, ha addebitato anche al M. i comportamenti non corretti assunti dal lavoratore, perchè conseguenti alle carenze informative relativamente alla dotazione necessaria e alle modalità di intervento in caso di intoppi al normale processo produttivo.
Ne consegue che, logicamente, la tesi difensiva per cui il lavoratore non avrebbe considerato l’aggiornamento del DVR e non avrebbe adoperato i guanti ad alta protezione va chiaramente disattesa.
A ciò va aggiunto che le ulteriori doglianze circa la completezza o meno del DVR non sono autosufficienti, in quanto lo stesso non era allegato ai ricorsi.
La Corte territoriale ha altresì affermato che il rischio della lavorazione non derivava dalla posizione avanzata o arretrata della testa della macchina, ma dal comportamento del S. che, come i suoi colleghi, per non interrompere il ritmo della lavorazione non attendeva il raffreddamento della macchina. L’azienda, infatti, non aveva mai prospettato agli operai tale eventualità e non aveva fornito spiegazioni relative alla tecnica di rimozione dei tappi di plastica che ostruivano l’iniettore. La prassi seguita, secondo quanto esposto da tutti i testi, consisteva nel non interrompere il ciclo produttivo, senza attendere il raffreddamento per venti o trenta minuti nel caso in cui si fosse verificato l’inconveniente del tappo.
4.3. Con riferimento all’elemento soggettivo, la Corte di merito ha approfonditamente ed esaurientemente illustrato le ragioni della prevedibilità e della prevenibilità dell’evento da parte del M., individuabili nei pregressi analoghi incidenti verificatisi, nelle plurime carenze in tema di sicurezza dei lavoratori circa la dotazione dei guanti ad alta protezione termica e del libretto di istruzione del macchinario, la formazione e l’informazione dei lavoratori, l’aggiornamento del DVR attuato solo in seguito all’accadimento in esame e l’omesso controllo circa la prassi scorretta seguita dagli operai.
5. Con riferimento al terzo motivo di ricorso, va premesso che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il vantaggio di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 5 operante quale criterio di imputazione oggettiva della responsabilità, può consistere anche nella velocizzazione degli interventi manutentivi che sia tale da incidere sui tempi di lavorazione (Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 276596).
In linea con tale principio, conseguentemente all’affermazione della responsabilità dell’imputato, la Corte di appello ha logicamente confermato anche la condanna della M. s.p.a. al pagamento di una sanzione amministrativa, la quale aveva risparmiato il danaro necessario all’acquisto di guanti di protezione, non aveva curato la formazione dei lavoratori mediante appositi corsi e si era avvantaggiata per l’imposizione di ritmi di lavoro, che prescindevano dalla messa in sicurezza della macchina, tramite il raffreddamento della stessa, prima dell’intervento riparatore, in tal modo conseguendo, a scapito della sicurezza dei lavoratori, un aumento della produttività. Secondo quanto esposto dalla Corte di merito, i testi non riferivano dell’esistenza di una prassi esplicita volta a favorire la produzione aziendale, ma essa era insita nel divieto di ritardare in caso di ripetizione dell’inconveniente del tappo.
Inoltre, deve escludersi la dedotta violazione dell’art. 521 c.p.p.. Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 c.p.p. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 cit. codice (Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, Di Landa, Rv. 273265, nella fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell’ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione).
Ciò posto sui principi giurisprudenziali affermati in materia, va comunque rilevato che al M. ed alla società era stata ritualmente contestata un’ipotesi di colpa specifica concernente l’omessa adeguata previsione di un modello organizzativo adeguato, nel quale rientra anche la mancata formazione dei dipendenti, aspetto adeguatamente trattato nel corso del procedimento sin dal primo grado di giudizio, in ordine al quale era stata adeguatamente riconosciuta la possibilità di difendersi.
6. Per tali ragioni, la sentenza va annullata senza rinvio, nei confronti dell’imputato, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione; il ricorso proposto dalla società va rigettato, con conseguente condanna della stessa al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, nei confronti dell’imputato, la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
Rigetta il ricorso della società e condanna la stessa al pagamento delle spese processuali.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto solo dal consigliere anziano del collegio e dall’estensore per impedimento del suo presidente, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020