La Corte di Cassazione ha ritenuto che il riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore non determina automaticamente l’obbligo di rimuoverli senza la prova dell’assunzione di tale impegno. Tale riconoscimento, inoltre, non sospende i termini brevi di prescrizione
Il FATTO
L’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Medici (ENPAM) citava in giudizio la Ciaccia Costruzioni per presunta responsabilità riguardo ai lavori di ripristino di una facciata, accusando la società di non aver eseguito i lavori a regola d’arte. La società Ciaccia contestava l’azione, eccependo decadenza e prescrizione. Mentre il Tribunale di primo grado accoglieva l’eccezione di decadenza e prescrizione, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, condannando Ciaccia Costruzioni al pagamento di 615.025,95 euro per i vizi accertati. La Corte Suprema accoglieva il terzo motivo di ricorso, rigettava i primi due, e dichiarava assorbito il quarto. Cassava la sentenza impugnata e rinviava il caso alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione per nuove valutazioni.
IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE
In tema di appalto, il riconoscimento da parte dell’appaltatore dei vizi e delle difformità dell’opera, agli effetti dell’art. 1667, comma 2, c.c., non richiede la confessione giudiziale o stragiudiziale della responsabilità, né formule sacramentali, potendosi manifestare anche per fatti concludenti. Tuttavia, tale riconoscimento non implica automaticamente l’assunzione dell’obbligo di eliminare i vizi, che costituisce una nuova e distinta obbligazione soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale. Pertanto, il riconoscimento dei vizi non impedisce il decorso dei termini brevi di prescrizione previsti dall’art. 1667 c.c., salvo che non vi sia una specifica assunzione dell’impegno a rimuoverli.
L’ORDINANZA
Cassazione civile, sez. II, Ordinanza del 18.12.2024, n. 33053
(omissis)
Il ricorrente ritiene violate le norme citate perché, quando il committente riceve l’opera senza riserve, l’opera si considera accettata (art. 1665, co.4, c.c.); e, in caso di accettazione, l’appaltatrice è esonerata dalla garanzia per vizi (art.1667, comma 1, c.c.).
Nella specie il direttore dei Lavori, geom. Gualandri, non si era limitato a ricevere materialmente le opere suddette, ma aveva espresso il pieno gradimento per conto dell’ENPAM. Egli, soggetto preposto (anche per contratto) a verificare in nome e per conto dell’ente il corretto svolgimento ed esecuzione dell’appalto, aveva sottoscritto un certificato di ultimazione lavori in cui aveva dichiarato che i lavori in oggetto sono stati completamente terminati il giorno 1.12.2003″.
L’accettazione risulterebbe, pertanto, da tale dichiarazione del Direttore dei Lavori ove costui dava atto che, in “seguito ai riscontri eseguiti in contraddittorio dell’impresa”, i lavori erano ultimati e sottoscriveva il documento senza alcuna riserva di verifica o rilievo di vizi.
La normativa codicistica, a differenza del capitolato generale per le opere pubbliche, in tema di appalto privato non contempla a carico dell’appaltatore il collaudo ma solo la verifica dell’opera e l’accettazione della stessa, la quale ultima è condizione per il pagamento del corrispettivo e come preclusione del diritto di contestare l’esistenza di vizi e difformità dell’opus.
Un’opera sarebbe da intendersi accettata (con conseguente venir meno della garanzia per vizi e diritto al pagamento del compenso) in presenza di due semplici elementi: “consegna al committente, ossia la sua materiale “traditio”, e, come fatto concludente, la sua ricezione senza riserve da parte del committente stesso, anche se non si è proceduto alla verifica. Non occorrerebbe, poi, un’accettazione espressa, valendo anche quella tacita come nel caso in cui il committente o il suo rappresentante autorizzato compiano uno o più atti che presuppongono necessariamente la volontà di accettare l’opera e che sarebbero incompatibili con quella di non accettarla incondizionatamente, come nel caso di cui all’art. 1665 c.c:.
Infine, nella specie il gradimento dell’Enpam sarebbe desumibile anche per facta concludentia avendo dato l’assenso alla liquidazione della fattura emessa dalla Ciaccia Costruzioni Snc relativamente al “3 ed ultimo SAL”.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare dell’art.1666, comma 2, c.c. (pagamento fa presumere accettazione) e art.2727 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
La committente aveva dato assenso alla liquidazione dell’ultima fattura e il pagamento alla stregua dell’articolo 1666, comma 2, c.c. farebbe presumere l’accettazione e tale presunzione sarebbe stata disattesa dalla Corte senza alcuna motivazione.
2.1 I primi due motivi sono infondati.
La Corte d’Appello ha evidenziato che dal verbale del 21 giugno 2004 redatto alla presenza dell’appaltatrice e del direttore dei lavori per conto della committente risultava che le parti concordemente avessero dichiarato che non era possibile procedere al collaudo delle opere dati i notevoli ed evidenti segni di distacco degli intonaci e del rivestimento di graniglia. Inoltre, con missiva del successivo 13 dicembre l’impresa si dichiarava disponibile a fornire mezzi, manodopera e materiali per il ripristino della facciata al solo costo degli stessi, rinunciando a qualsivoglia utile d’impresa.
Dunque, l’opera non è stata accettata e, anzi, si sono evidenziati vizi e difetti che non rendevano possibile il collaudo e che sono stati anche riconosciuti dall’appaltatrice.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e, in particolare, dell’art.1667 c.c. prescrizione e decadenza in combinato disposto con l’art. 1667, comma 2, c.c. (riconoscimento) in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.
La denunzia degli asseriti vizi non è avvenuta entro i sessanta giorni dalla loro scoperta né, soprattutto, la correlativa azione è stata avviata entro due anni dalla data di consegna dell’opera, atteso che, in assenza di atti interruttivi della prescrizione, il ricorso per ATP (che è comunque azione meramente conservativa) era stato notificato quasi 5 anni dopo la consegna dell’opera.
La ricorrente non ha mai riconosciuto alcunché atteso che nella missiva del 13.12.2004 aveva dichiarato solo la propria disponibilità al ripristino non per una propria responsabilità ma solo dato il rapporto trentennale ed in vista di futuri nuovi appalti.
Con la citata missiva, la società scriveva testualmente “non è possibile definire quali siano le effettive cause e le conseguenti responsabilità”, mai ammettendo espressamente alcunché a proprio carico.
Inoltre, con lettera del 28.05.2003 firmata per ricevuta in data 3.06.2003 dal Direttore dei Lavori geom. Gualandri, per conto dell’ENPAM, la Ciaccia ribadiva che le opere erano state eseguite dalla suddetta a regola d’arte, negando che i rigonfiamenti fossero imputabili a propria imperizia, in quanto ascrivibili ad infiltrazioni provenienti dai piani di copertura ed alla mancata previsione nel contratto e nel relativo computo metrico della rimozione del vecchio rivestimento in graniglia.
Non dovrebbero, dunque, essere ascritte alla ditta delle precise scelte operate della committenza che prediligeva contenere costi ed attività: la Ciaccia non ha demolito tutta la preesistente graniglia perché non era mai stato previsto in contratto, né aveva operato indagini tecniche di compatibilità delle superfici in quanto si atteneva fedelmente ai prodotti e lavorazioni standard tradizionali prefissate dall’Enpam.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è fondato nei sensi di cui in motivazione.
La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione del seguente principio di diritto: In tema di appalto, il riconoscimento da parte dell’appaltatore dei vizi e delle difformità dell’opera, agli effetti dell’art. 1667, secondo comma, cod. civ., non richiede la confessione giudiziale o stragiudiziale della sua responsabilità, né formule sacramentali e può, pertanto, manifestarsi per fatti concludenti, essendo sufficiente, affinché l’eccezione di decadenza del committente dalla garanzia per vizi possa ritenersi rinunciata e preclusa, che l’appaltatore abbia tenuto, nel corso del giudizio di primo grado, un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi di detta decadenza (Sez. 2, Sentenza n. 2733 del 05/02/2013, Rv. 624876-01).
Tuttavia, la Corte d’Appello ha compiuto un errore allorquando ha ritenuto sufficiente il riconoscimento del vizio per mutare l’obbligazione dell’appaltatore in obbligazione di garanzia che si prescrive in dieci anni. La Corte d’Appello, infatti, ha erroneamente ritenuto irrilevante il fatto che non fossero state identificate le cause dei vizi e, soprattutto, ha erroneamente ritenuto sufficiente l’ammissione dell’appaltatore circa la loro esistenza senza ammissione di sua responsabilità.
Questa Corte, sul punto, ha già avuto modo di affermare il seguente principio di diritto cui il Collegio intende dare continuità: Il semplice riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera da parte dell’appaltatore implica la superfluità della tempestiva denuncia da parte del committente, ma da esso non deriva automaticamente, in mancanza di un impegno in tal senso, l’assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di emendare l’opera, che, ove configurabile, è una nuova e distinta obbligazione soggetta al termine di prescrizione decennale; ne consegue che il predetto riconoscimento non impedisce il decorso dei termini brevi della prescrizione previsti in tema di appalto (Sez. 2, Ordinanza n. 19343 del 16/06/2022, Rv. 664999-02).
In tale occasione, infatti, si è precisato che occorre tenere distinto il profilo del riconoscimento dei vizi dal ben diverso profilo dell’assunzione dell’impegno a rimuoverli e della conseguente assunzione di una obbligazione diversa ed autonoma rispetto a quella originaria, svincolata dal termine decadenziale e soggetta al solo termine prescrizionale ordinario. La Corte territoriale ha ritenuto sufficiente il riconoscimento dei vizi e irrilevante la mancata assunzione di responsabilità in ordine alla loro causa con il conseguente impegno a rimuoverli.
Deve dunque ribadirsi che anche in presenza di un riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera da parte dell’appaltatore – riconoscimento che elide l’onere di effettuare la denuncia – non può farsi discendere automaticamente dal riconoscimento medesimo l’assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di emendare l’opera, in assenza della prova di un impegno in tal senso, con la conseguenza che il predetto riconoscimento non impedisce il decorso dei termini brevi della prescrizione previsti in tema di appalto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15283 del 21/07/2005 – Rv. 582730-01).
Si impone, pertanto l’accoglimento del motivo in esame e la cassazione con rinvio della sentenza impugnata perché in applicazione del principio sopra indicato la Corte d’Appello rivaluti la sussistenza o meno di un obbligo di garanzia e la conseguente tempestività o meno della domanda ex art. 1667, terzo comma, c.c.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e, in particolare, dell’art. 1225 c.c. (danno prevedibile) in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.
L’appalto era stato aggiudicato per la somma di Euro 149.254,34. Il ctu ha quantificato il costo di riparazione in Euro 615.025,95, importo al quale la Corte d’Appello ha condannato (oltre rivalutazione dal 2008 ed interessi legali) la odierna ricorrente, così eccedendo nettamente l’importo pattuito dei lavori.
Dunque, laddove (come nel caso in esame) il creditore non provi che l’inadempimento sia derivato da dolo del debitore inadempiente, la condanna al risarcimento a carico di quest’ultimo non può eccedere il quantum del danno prevedibile, secondo un criterio di normalità. Il danno avrebbe dovuto comprendere la sola diminuzione patrimoniale consistente nel valore della prestazione eseguita non correttamente.
In altri termini, il danno liquidato non poteva superare l’importo oggetto dell’appalto, visto che la stessa controparte non ha dimostrato non solo alcun dolo dell’appaltatrice ma nemmeno alcun proprio danno emergente o lucro cessante.
Invero, lo stesso Ctu Ing. De., che il 25.01.19 accedeva per le operazioni peritali nel complesso immobiliare, attestava (pag.S e 6 Ctu dep. 1129.04.2019) che la controparte non aveva svolto alcun intervento sui beni, che risultava nelle more aver anche alienato.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è assorbito dall’accoglimento del terzo.
5. La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile in data 27 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2024.