Organismo di Vigilanza (OdV): il Tribunale di Milano ne traccia poteri, obblighi e responsabilità (Trib. Milano, II sez. penale, sent. 07.04.21)
La sentenza emarginata offre lo spunto per attenzionare alcuni profili riguardanti la responsabilità dell’ODV la cui omessa (o almeno insufficiente) vigilanza, fonda la colpa di organizzazione di cui all’art. 6, D.Lgs. n. 231 del 2001.
Innanzitutto, in estrema sintesi può dirsi che l’Organo di Vigilanza rappresenta la componente centrale del Modello organizzativo 231 cui è demandata la verifica dell’efficienza ed efficacia del Modello stesso. In altre parole, senza un adeguato e vigilante OdV (non solo in termini reattivi ma anche proattivi), il modello Organizzativo non solo non “tiene” ma neppure esiste (In tal senso v. Castellani, in “Responsabilità da reato delle aziende e sicurezza del lavoro”)
Ed invero, “è sulla costituzione ed incisività operativa dell’organismo di vigilanza che riposano le chances di una efficace attuazione del medesimo, ovvero, la condizione imprescindibile per invocare l’esimente prevista dalla norma” (Bernasconi, in “La responsabilità degli enti”)
Secondo il Tribunale meneghino, la continuità d’azione dell’OdV all’interno dell’Istituto veniva assicurata dal regolamento interno che prevedeva riunioni con cadenza almeno trimestrale (ovvero ogniqualvolta ve ne fosse stata la necessità). Nel concreto, tuttavia, si tennero unicamente quattro incontri (su trenta sedute complessive) per discutere delle operazioni strutturate già, peraltro, sotto la lente d’ingrandimento dell’Autorità Giudiziaria.
“In definitiva, l’organismo di vigilanza – pur munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo, ivi inclusa la facoltà di chiedere e acquisire informazioni da ogni livello e settore operativo della Banca, avvalendosi delle competenti funzioni dell’istituto (così il regolamento del luglio 2012) – ha sostanzialmente omesso i dovuti accertamenti (funzionali alla prevenzione dei reati, indisturbatamente reiterati), nonostante la rilevanza del tema contabile, già colto nelle ispezioni di B.I. (di cui l’OdV era a conoscenza) e persino assurto a contestazione giudiziaria, con l’incolpazione dei confronti di B. (circostanza che disvelava, per l’atteggiamento conservativo della Banca, il patente rischio di ulteriori addebiti, come poi avvenuto). Nel periodo d’interesse l’organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, nella vorticosa spirale degli eventi (dalle allarmanti notizie di stampa sino alla débâcle giudiziaria) che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato.”
Secondo taluni, (E. S. Murone, Il progressivo stravolgimento del ruolo e delle funzioni dell’Organismo di Vigilanza [operazioni Alexandria e Santorini di MPS], in Rivista Ius in Itinere, 16 dicembre 2021), la decisione resa del Tribunale di Milano, pur non affermando espressamente l’esistenza di un obbligo di impedimento dei reati-presupposto in capo all’Organismo di Vigilanza, richiederebbe che tale organo effettuasse un controllo diretto sugli atti del potere gestionale con conseguente trasfigurazione del suo compito. L’Autore ritiene a questo punto auspicabile un intervento chiarificatore del Legislatore che riconduca la fisionomia di detto organo a quella originariamente pensata (cfr. https://www.iusinitinere.it).
Perplessità vengono mosse anche da altra Dottrina (C. Santoriello, Non c’è due senza tre: la giurisprudenza riconosce nuovamente in capo all’Organismo di Vigilanza un ruolo di sindacato sulle scelte di gestione dell’azienda, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 5) secondo il quale “a leggere la decisione in epigrafe pare quasi che debba sostenersi che la responsabilità dell’ente sussista o meno in base a quanto risulti attento e proattivo l’Organismo di Vigilanza, prescindendo da ogni altra considerazione circa il contenuto del modello organizzativo e la tipologia di struttura aziendale. Si tratta di una considerazione opinabile, soprattutto perché pare sottintendere un presupposto, tutt’altro che pacifico, ovvero che compito dell’Organismo di Vigilanza sia quello di impedire la commissione di reati – e ciò per l’appunto giustificherebbe l’accentuazione dell’importanza riconosciuta all’operato (o all’inerzia) di tale soggetto ai fini della dichiarazione di responsabilità dell’ente collettivo.” (cfr. https://www.giurisprudenzapenale.com)
Per ulteriori approfondimenti: P. Cecchinato, “Operazioni Alexandria e Santorini: la Banca Monte Paschi responsabile ex D.Lgs. 231/2001” in Quotidiano Giuridico, Pluris WKI.
Tribunale di Milano, Sez. II, Sentenza del 07.04.2021
LA SENTENZA (estratto)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
SECONDA SEZIONE PENALE
Il Tribunale, in composizione collegiale, in persona dei Magistrati:
DOTT.SSA FLORES GIULIA TANGA – PRESIDENTE
DOTT. SANDRO SABA – GIUDICE EST.
DOTT. ROBERTO CREPALDI – GIUDICE
nel procedimento penale di primo grado in epigrafe indicato, alla pubblica udienza del 15 ottobre 2020, ha pronunciato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
(omissis)
b) Dell’illecito amministrativo di cui agli artt. 5, 8 e 25 sexies Lgs. n. 231 del 2001
In relazione ai delitti di seguito descritti (al – a4), commessi nell’interesse di B. da P.A. e V.F., per effetto dell’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza da parte di B. delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, c.p., 185 D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF), perché, in concorso tra loro, con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, nelle qualità sopra indicate al capo A), agendo in concorso quantomeno tra loro nei limiti e nelle qualità sopra indicate, commettendo le condotte descritte sub al) – a4), qui da intendersi riportate, attraverso i comunicati diffusi al pubblico in relazione all’approvazione dei bilanci d’esercizio e delle situazioni patrimoniali sopra indicate di B. dal 31.12.2012 al 30.6.2015, attraverso il sistema telematico NIS – Network Information System organizzato e gestito a M. da B.I., diffondevano al mercato notizie false, idonee a determinare una sensibile alterazione del prezzo dell’azione ordinaria B. quotata sul Mercato Telematico Azionario – MTA, mercato regolamentato, gestito da B.I., in quanto suscettibili di modificare le decisioni di investimento dell’investitore medio, considerato che l’occultamento della natura di CDS sintetici delle operazioni A. e S. e la relativa contabilizzazione a saldi aperti, nei bilanci dal 31.12.2012 al 31.12.2014 e nella relazione semestrale al 30 giugno 2015, hanno inciso sensibilmente sulla rappresentazione di informazioni rilevanti nella valutazione degli strumenti finanziari emessi dal gruppo tra cui in primo luogo l’azione ordinaria B.
Commesso in Milano dal 29.4.2013 al 06.08.2015
(omissis)
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
CAPITOLO I
Gli odierni imputati e l’Ente sono stati tratti a giudizio, innanzi al Tribunale in composizione collegiale, con decreto del GUP che lo disponeva in data 27 aprile 2018, per rispondere dei reati e degli illeciti amministrativi loro rispettivamente ascritti nell’imputazione riportata in epigrafe.
Dichiarata l’apertura del dibattimento, all’udienza del 18 marzo 2019 sono stati ammessi i mezzi di prova richiesti dalle parti e si è, così, dato corso all istruttoria di causa, sostanziatasi nella deposizione dei testimoni F.S. ed altri nonché nell’esame dei consulenti del Pubblico Ministero Francesco Corielli e Roberto Tasca, delle parti civili G.B. e S.P. e dell’Ente G.P., A.R. e S.P. (con produzione dei relativi elaborati, ai sensi dell’art. 233, comma 1, codice di rito).
Sull’accordo delle parti si sono, inoltre, acquisiti alcuni dei contributi dichiarativi offerti nei paralleli procedimenti senese e milanese (a carico del precedente management). Nel dettaglio:
1) Tribunale di Siena (N. 508/13 R.G. Dib.), P.B. ed altri;
2) Tribunale di Milano (N. 11622/16 R.G. Dib.), P.S. ed altri.
Con il consenso delle parti si sono altresì prodotte le annotazioni di P.G. del 26 ottobre 2016 e 11 maggio 2017.
È stata, infine, versata in atti copiosa documentazione (per lo più allegata alla consulenza dell’ Ing. B. del 10 ottobre 2019 “J.A.”), in parte in lingua inglese, pienamente utilizzabile in difetto di concreta lesione del diritto di difesa (neppure oggetto di censure). Invero, secondo condivisibile giurisprudenza di legittimità, “l’obbligo di usare la lingua italiana si riferisce agli atti da compiere nel procedimento, non agli atti già formati da acquisire al processo, per i quali la necessità della traduzione si pone solo qualora lo scritto in lingua straniera assuma concreto rilievo rispetto ai fatti da provare, essendo onere della parte interessata indicare ed illustrare le ragioni che rendono plausibilmente utile la traduzione dell’atto nonché il pregiudizio concretamente derivante dalla mancata effettuazione della stessa” (cfr. Cass. pen., sez. un., 18 settembre 2014, n. 38343; in termini, Cass. pen., sez. V, 22 luglio 2014, n. 32352 nonché Cass. pen., sez. II, 20 aprile 2017, n. 18957).
(omissis)
Quanto all’organismo di vigilanza, si è costantemente sostenuta la necessità di una concreta indipendenza nonché dell’effettività degli autonomi poteri di controllo (così Cass. pen., sez. II, 9 dicembre 2016, n. 52316).
Assumendo, infine, l’esistenza di un adeguato modello organizzativo e di un vigile controllo sull’operato degli apicali, residua – per l’ente – unicamente la possibilità di dimostrare la fraudolenta elusione del sistema di contenimento dei rischi criminosi. Come affermato in condivisibile giurisprudenza di legittimità, “l’elusione fraudolenta, che esonera l’ente dalla responsabilità per l’illecito amministrativo dipendente dal reato commesso, da soggetti in posizione apicale, richiede necessariamente una condotta ingannevole e subdola, di aggiramento e non di semplice frontale violazione delle prescrizioni adottate” (cfr. Cass. pen., sez. V, n. 4677/14, cit.). Il concetto stesso di frode “non può non consistere in una condotta ingannevole, falsificatrice, obliqua, subdola”.
Venendo al caso di specie, in ragione del rapporto di presupposizione che avvince l’illecito amministrativo al reato, l’assoluzione dai delitti di false comunicazioni sociali di cui ai capi A2 e A3 determina l’esclusione della responsabilità di B. in ordine agli addebiti agli stessi connessi (capi a2 e a3).
Tuttavia, considerata la temperata autonomia degli illeciti ascrivibili all’ente prevista dall’art. 8, D.Lgs. n. 231 del 2001, l’intervenuta prescrizione dell’addebito di cui al capo Al (come riqualificato) non osta all’accertamento della responsabilità della Banca in merito al capo a1, risalendo la contestazione a data antecedente l’estinzione del reato (ai sensi dell’art. 60, citato decreto), in considerazione dell’interruzione del termine ordinario di prescrizione di anni quattro (ex artt. 157 e 160 cod. pen.), relativo alla contravvenzione prevista dall’art. 2621 cod. civ. (precedente formulazione), determinata dalla fissazione dell’udienza camerale per la decisione sulla richiesta di archiviazione (del 12 dicembre 2016). Così, ex multis, Cass. pen., sez. IV, 11 luglio 2018, n. 31641: “l’intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all’ente dell’illecito non ne determina l’estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l’azione, rimane sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica”.
Come appurato per i reati ex artt. 2621 e 2622 cod. civ., del pari le ipotesi di cui all’art. 25-ter, D.Lgs. n. 231 del 2001 (interpolato con la novella del 2015) si pongono in continuità normativa con gli illeciti precedentemente previsti dalla disposizione, in un rapporto di specie a genere, giacché la precedente disciplina, almeno formalmente, limitava la responsabilità dell’ente alla sola ipotesi di perpetrazione del reato:
1) da parte di amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla loro vigilanza;
2) nell’interesse della società (non anche a vantaggio).
Si trattava di evidente restrizione dello spettro repressivo dell’art. 5, citato decreto, tuttavia mitigato dall’intervento interpretativo della giurisprudenza di legittimità: si veda Cass. pen., sez. V, n. 10265/14, cit., a mente della quale “la formulazione dell’art. 25-ter opera più apparentemente che sostanzialmente un allontanamento dai criteri di imputazione generale previsti dalla disciplina del D.Lgs. n. 231 del 2001, criteri che pertanto trovano applicazione anche in ambito societario, nonostante la dubbia tecnica di redazione del testo di legge”.
2. La sussistenza della responsabilità dell’Ente
Seguendo l’ordine logico di cui agli artt. 5 e 6, D.Lgs. n. 231 del 2001, ricorre indubbiamente la perpetrazione dei reati che fondano gli illeciti amministravi ascritti ai capi al, a4 e b, perpetrati dagli apicali P. e V. nell’interesse della Banca.
Non può, invero, dubitarsi della finalità – sottesa ai reati e quantomeno concorrente con altre proprie dei prevenuti – di garantire a B. ingiusti profitti (pure integrante il dolo specifico del delitto di false comunicazioni sociali): come già ampiamente dimostrato, l’alterazione dei bilanci mediante erronea contabilizzazione delle operazioni strutturate rispondeva alla necessità di offrire agli investitori un più florido e rasserenante scenario societario (che ispirasse affidabilità e fiducia), in termini di patrimonio contabile e di vigilanza nonché, più in generale, di stabilità (dovendosi evitare, a ogni costo, lo svelamento dei rischi connessi alla massiccia esposizione in derivati di credito, che avrebbe esposto la Banca alle imprevedibili oscillazioni di mercato, destinate a impattare sul risultato d’esercizio).
Dalla consulenza della dott.ssa P. (D.) e dalla convergente deposizione dibattimentale del 4 giugno 2020, s’evince poi quanto segue.
Soltanto in data 25 maggio 2012 – nell’ambito di una più ampia manovra di riassetto organizzativo (dagli esiti compendiati nel regolamento n. 1 del 2 novembre 2012) – la Banca si è dotata di un organismo di vigilanza istituito ad hoc per le incombenze di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001 (precedentemente assegnate al comitato per il controllo interno, già gravato da compiti istruttori e consultivi nei confronti del consiglio di amministrazione, come da direttiva di Gruppo sul sistema dei controlli interni del 24 novembre 2008).
Successivamente, alla luce dell’indagine della Procura della Repubblica di Siena in relazione all’operazione Fresh (oggetto del parallelo procedimento milanese) e ai correlati profili di rilevanza in termini di responsabilità ex D.Lgs. n. 231 del 2001, il 26 giugno 2012 il consiglio di amministrazione ha deliberato di affidare alla società di consulenza KPMG lo svolgimento di un esame diagnostico del modello 231 della Banca (introdotto nel 2004 con regolamento n. 51 e implementato con il codice etico di Gruppo nel 2008), con particolare riguardo alla prevenzione degli illeciti in materia di ostacolo alle Autorità di Vigilanza (all. 44 e 45).
All’esito dell’analisi, il consulente ha evidenziato plurime criticità e manchevolezze, suggerendo:
1) l’integrazione del modello, mediante illustrazione delle modalità di possibile perpetrazione dei reati nonché indicazione dei presidi di controllo in essere per ogni attività c.d. sensibile;
2) l’aggiomamento del codice etico, da rendere parte integrante del compliance program;
3) la predisposizione di protocolli di parte speciale atti a prevenire la commissione dei reati presupposto, che chiarissero per ogni unità organizzativa gli illeciti teoricamente perpetrabili, i presidi di controllo in essere, i principi di comportamento da tenere e i riferimenti alla normativa interna aziendale di disciplina della materia.
Nel corso della riunione dell’organismo di vigilanza del 2 ottobre 2012 (all. 83), si è discusso delle valutazioni del consulente, circa la necessità di un “corposo lavoro di rivisitazione del modello 231”, concernente principalmente comunicazioni, flussi informativi e protocolli. Opinione condivisa dall’organismo di vigilanza, che reputava indefettibile il rafforzamento del sistema di controllo interno con riferimento alla prevenzione delle ipotesi di reato.
Preso atto delle superiori considerazioni, il 13 novembre 2012 il consiglio di amministrazione – previo parere favorevole dell’OdV del 6 novembre 2012 – ha deliberato di procedere al necessario aggiornamento del modello 231, sostanziatosi nei seguenti interventi:
a) implementazione della e.d. parte generale, con integrazione dei flussi informativi verso l’organismo di vigilanza e revisione del sistema disciplinare;
b) introduzione di una parte speciale, di previsione, per ogni unità organizzativa aziendale, di specifici protocolli di controllo diretti alla prevenzione dei reati presupposto;
c) aggiornamento del codice etico, da integrarsi all’interno del modello 231 quale elemento essenziale dello stesso.
Con delibera del 23 ottobre 2013 è stato approvato il nuovo assetto di compliance, articolato nei documenti Policy per la prevenzione dei rischi ex D.Lgs. n. 231 del 2001 e Codice Etico del Gruppo M. (all. 48).
In definitiva, sino all’ottobre 2013, come emerge dagli appunti formulati al precedente modello del 2004 (neppure allegato), la Banca è risultata sprovvista di accorgimenti organizzativi concretamente idonei a prevenire il rischio criminoso. Né valevano i richiamati complessi sistemi di regole interne a sanare il deficit riscontrato, difettando gli stessi delle puntuali previsioni contemplate dal decreto del 2001, in particolar modo in merito alla mappatura delle aree a rischio, alla predisposizione di specifici protocolli diretti alla prevenzione dei reati, agli indispensabili flussi informativi verso l’OdV nonché al sistema disciplinare.
Sicché, quanto al profilo in commento, è sicuramente mancata la prova liberatoria (postulata dall’art. 6, D.Lgs. n. 231 del 2001) in merito agli addebiti consumatisi in data antecedente l’approvazione e l’applicazione del nuovo modello, ossia l’ipotesi sub a1 e l’illecito ex art. 25-sexies (sub b) inerente all’episodio di aggiotaggio del 29 aprile 2013.
Risultano, del pari, insufficienti gli elementi a discarico offerti con riferimento all’operatività dell’organismo di vigilanza (aspetto dirimente per i residui addebiti).
L’OdV, di natura collegiale, era composto da due professionisti esterni (di cui uno con il ruolo di coordinatore) e da un membro interno, da individuarsi in un consigliere di amministrazione non esecutivo con caratteristiche di indipendenza (secondo i requisiti indicati dal codice di autodisciplina delle società quotate).
Con la menzionata delibera del 25 maggio 2012, si sono nominati – quali professionisti esterni – il prof. G.A. e l’avv. Salvatore Messina e, come membro interno, la prof.ssa T.G., cui sono succeduti, nel tempo, la prof.ssa P.D., l’avv. Marina Rubini e, infine, la prof.ssa F.K. (all. 71, 72, 73 e 75).
Professionisti tutti di elevato spessore e comprovata esperienza in materia di finanza aziendale, controllo contabile e vigilanza bancaria (si vedano i curricula prodotti – all. 81).
Come da regolamento interno, adottato il 19 luglio 2012 e approvato dal consiglio di amministrazione il 26 luglio 2012 (all. 70), era assicurata la continuità d’azione dell’OdV, tenuto a riunirsi con periodicità almeno trimestrale (e ogniqualvolta ve ne fosse stata la necessità). Nel periodo di riferimento (maggio 2012-agosto 2015) si sono tenute ben trenta sedute (in numero dunque ampiamente superiore al parametro indicato).
In data 6 novembre 2012 l’organismo è stato informato del reperimento del Mandate Agreement (così la relazione sull’attività svolta nel secondo semestre 2012 – all. 82) e, da allora, sporadicamente aggiornato dal CFO ovvero dal dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili.
Nel dettaglio, si sono avuti unicamente quattro incontri (sulle trenta sedute succitate) per discutere delle operazioni strutturate, nonostante l’evidente complessità del tema, peraltro già all’attenzione dell’Autorità giudiziaria.
Nel dettaglio, nella seduta del 29 gennaio 2013 (all. 84) Mingrone (CFO) ha illustrato all’organismo di vigilanza le due transazioni strutturate (in allora “sotto i riflettori della cronaca”), oggetto di approfondimento da parte dei consulenti contabili e legali di B. (per i possibili impatti a bilancio) e, nel corso delle ispezioni del 2010 e 2011-2012, già analizzate da B.I.. Si è, dunque, richiesta l’esibizione delle risultanze delle due ispezioni di vigilanza nonché concordato un confronto con il legale dell’Ente. Non v’è, tuttavia, prova dell’inoltro della documentazione richiesta (o di solleciti in tal senso) né, tantomeno, di attente riflessioni dell’OdV sul tema (nonostante l’evidente rilevanza). Diversamente da quanto accaduto per l’operazione Fresh (seduta del 2 ottobre 2012), non si è neppure tenuta una successiva riunione per discutere dell’esito dell’incontro con il legale della Banca, meramente menzionato nella relazione sull’attività svolta nel primo semestre 2013 (all. 82 – pag. 7).
Alla seduta del 17 marzo 2014 (all. 89), alla presenza di Mingrone e Nocera (responsabile del Servizio presidio qualità informazione e controlli), i referenti della società di revisione REY (B. e P.) hanno laconicamente dichiarato che “le problematiche a suo tempo segnalate relativamente al bilancio sono state risolte e che la società di revisione ha posto in essere una serie di controlli dai quali non si sono rilevate anomalie, salvo che per una singola operazione di cui è stato informato il management per le opportune iniziativa”. Null’altro si è aggiunto né tantomeno richiesto, in ispecie con riguardo alle criticità riscontrate o alle modalità di risoluzione. Neppure si è domandato quale fosse l’innominata operazione, perniciosamente connotata da anomalie. Niente di tutto ciò.
Durante la riunione del 17 aprile 2015 (all. 74), Betunio (dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili) ha comunicato all’organismo di vigilanza l’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari (risalente al 3 aprile 2015), in cui – come noto – la Procura di Milano aveva per la prima volta ipotizzato la falsa contabilizzazione di A., fondata sulla figuratività degli acquisti dei BTP 2034 e dello speculare contratto di pronti contro termine. L’OdV, tuttavia, non si è premurato di chiedere ulteriori informazioni (o, in seguito, di disporre indagini conoscitive), limitandosi a ricevere delle slide predisposte da REY per gli incontri con il Comitato Controllo e Rischi di dicembre 2014 e febbraio 2015 (quindi antecedenti alla sinistra sopravvenienza giudiziaria).
Alla seduta del 19 maggio 2015 (all. 77), Quagliana ha informato l’OdV della richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica di Milano (del 24 aprile 2015), per i delitti di false comunicazioni sociali e aggiotaggio informativo a carico del precedente management (all’epoca in relazione alla sola operazione A.), contenente altresì addebiti nei confronti dell’Ente, ai sensi degli artt. 25-ter e 25-sexies, D.Lgs. n. 231 del 2001. “Se dovesse essere confermato il vantaggio per la Banca, stante il profitto molto alto che ne è derivato, dovremmo attenderci una sanzione molto pesante”, chiariva Quagliana.
Della circostanza l’organismo di vigilanza ha meramente preso atto, concordando con il funzionario dell’Ente un ulteriore confronto dopo l’estate, in prossimità dell’udienza preliminare (fissata per il 12 ottobre 2015). Dalla relazione sull’attività svolta nel secondo semestre 2015 (all. 82 – pag. 7) emerge vi sia stato un successivo incontro il 4 novembre 2015, nel corso del quale Quagliana si è limitato a descrivere i possibili sviluppi processuali. In altri termini, non v’è mai stato un sostanziale confronto sulla spinosa questione contabile, che aveva ormai assunto una chiara e allarmante dimensione giudiziaria.
In definitiva, l’organismo di vigilanza – pur munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo, ivi inclusa la facoltà di chiedere e acquisire informazioni da ogni livello e settore operativo della Banca, avvalendosi delle competenti funzioni dell’istituto (così il regolamento del luglio 2012) – ha sostanzialmente omesso i dovuti accertamenti (funzionali alla prevenzione dei reati, indisturbatamente reiterati), nonostante la rilevanza del tema contabile, già colto nelle ispezioni di B.I. (di cui l’OdV era a conoscenza) e persino assurto a contestazione giudiziaria, con l’incolpazione dei confronti di B. (circostanza che disvelava, per l’atteggiamento conservativo della Banca, il patente rischio di ulteriori addebiti, come poi avvenuto). Nel periodo d’interesse l’organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, nella vorticosa spirale degli eventi (dalle allarmanti notizie di stampa sino alla débâcle giudiziaria) che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato.
Così, purtroppo, non è stato e non resta che rilevare l’omessa (o almeno insufficiente) vigilanza da parte dell’organismo, che fonda la colpa di organizzazione di cui all’art. 6, D.Lgs. n. 231 del 2001.
Infine, pare persino superfluo evidenziare come non si sia in alcun modo dimostrata la fraudolenta elusione del modello 231, violato nella generalizzata e diffusa indifferenza.
Considerazioni tutte che impongono l’affermazione della responsabilità dell’Ente.
3. Il trattamento sanzionatorio
Nel caso di specie risulta applicabile unicamente la sanzione amministrativa pecuniaria, tra quelle contemplate dall’art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 231 del 2001. In particolare, non ricorrono i presupposti di fatto della confisca, non ravvisandosi alcun vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dai reati presupposto (cfr. Cass. pen., sez. II, 16 dicembre 2016, n. 53650; Cass. pen., sez. VI, 31 maggio 2016, n. 23013 nonché Cass. pen., sez. V, 28 luglio 2015, n. 33226).
A fronte della pluralità di reati commessi nello svolgimento della medesima attività, si applicherà il regime di cui all’art. 21, D.Lgs. n. 231 del 2001 (modellato sull’istituto della continuazione previsto dall’art. 81, comma 2, cod. pen.).
Pertanto, ritenuti più gravi in astratto gli illeciti ex art. 25-sexies, citato decreto, e in concreto l’ipotesi correlata all’aggiotaggio consumatosi il 29 aprile 2013 (per gli argomenti già spesi nel precedente capitolo XV), pare congrua – applicati i criteri commisurativi di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 231 del 2001 (tenuto conto della gravità del fatto, in assenza di apprezzabili tentativi di attenuarne le conseguenze o di prevenire la commissione di ulteriori illeciti, e considerate le condizioni patrimoniali dell’Ente) – la sanzione base di 600 quote (di poco superiore al minimo edittale), aumentata di 100 quote per ciascuno dei residui illeciti sub b) e di 50 quote per ognuna delle ipotesi di cui ai capi a1 e a4, per un totale di 1.000 quote, del valore di 800 Euro l’una, per complessivi Euro 800.000,00.
Segue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.
(omissis)
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 cod. proc. pen.,
(omissis)
visti gli artt. 21 e 69, D.Lgs. n. 231 del 2001, dichiara B.M.P. S.P.A. responsabile della pluralità di illeciti amministrativi contestati ai capi a1), a4) e b) e applica la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 800.000,00, con condanna al pagamento delle spese processuali;
visto l’art. 66, D.Lgs. n. 231 del 2001, esclude la responsabilità dell’ente in ordine agli illeciti amministrativi contestati ai capi a2) e a3), perché il fatto non sussiste;
(omissis)
Così deciso in Milano, il 15 ottobre 2020.
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2021.