Cass. pen., Sez. IV, Sentenza del 22/03/2018, n. 13321
Pubblico esercizio – Lesioni subite da avventori – Adozione delle misure di sicurezza – Nesso di causalità tra violazione e lesioni – Rissa nel locale – Non rileva – Omesso ancoraggio al pavimento della stufa a gas per esterno, come richiesto dalle istruzioni d’uso e dalla normale prudenza – Rileva
LA SENTENZA
(omissis)
Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, confermava la condanna resa dal Tribunale di Reggio Emilia nei confronti di (…) per le lesioni subite la sera del (…) da (…) e lo condannava al risarcimento dei danni subiti dalla persona offesa, costituitasi parte civile, alla quale assegnava una provvisionale immediatamente esecutiva.
2. Secondo la ricostruzione in fatto operata dalla Corte territoriale, la sera dell’evento la (…) si trovava seduta su un divanetto all’esterno della discoteca (…), di cui era amministratore unico l’imputato, ed era stata urtata alle gambe da una stufa a gas, “c.d. fungo”, rovesciata da alcuni avventori del locale durante una rissa, subendo gravi lesioni.
Il Servizio Prevenzione Infortuni della ASL aveva appurato che il “fungo” non era stato ancorato o fissato al suolo, né tanto meno immobilizzato con zavorre di altro tipo, ma non aveva accertato se la stufa fosse del modello corrispondente a quello per cui il fabbricante aveva indicato la necessità di un fissaggio al suolo.
Tuttavia, indipendentemente dall’obbligo di fissaggio al suolo contenuto nel manuale d’uso, i giudici di merito ritenevano che il gestore del locale avesse comunque l’obbligo di posizionare le stufe in maniera adeguata, in modo da garantire la sicurezza per il personale e per gli avventori, e dunque fosse tenuto ad adottare le misure nello specifico più idonee ad assicurare l’equilibrio del fungo, in modo da evitare che in caso di vento o di urto accidentale – nel caso di specie dovuto ad una rissa – potesse rovesciarsi recando danno alle persone. Rilevavano ancora che il nesso di causalità non era stato interrotto dalla condotta dei terzi soggetti, che avevano scatenato la rissa: la mancanza di fissaggio al pavimento, previsto dal costruttore nel libretto di istruzioni relativo a due delle tre stufe presenti nel locale, di cui aveva riferito il funzionario ASL (…), avrebbe dovuto garantire proprio una maggiore tenuta delle stesse, ed analogo sistema di zavorra avrebbe dovuto essere curato dal gestore del locale per aumentarne il peso, proprio al fine di evitare spostamenti o rovesciamenti, quale quello verificatosi in concreto. Vi era stata dunque una omissione colposa da parte del (…), da porsi in rapporto di causalità con l’evento, in quanto si era verificato proprio quel rischio di caduta che l’ancoraggio o l’appesantimento della stufa avrebbe evitato. Di contro, la causa sopravvenuta, la rissa, non aveva innescato un rischio nuovo ed incommensurabile, del tutto incongruo rispetto a quello attivato dalla prima condotta, ma proprio la concretizzazione di quel medesimo rischio di rovesciamento della stufa, che siccome non fissata a terra e non zavorrata, sarebbe stato evitato se l’imputato ne avesse curato il posizionamento in sicurezza.
3. Ha proposto ricorso per cassazione il (…), tramite il difensore di fiducia, affidato a tre distinti motivi.
Con il primo lamenta violazione dell’art. 521 c.p.p. All’imputato era stata contestata la violazione dell’art. 71, comma 4, D.lgs. n. 81/2008 – che impone al datore di lavoro di prendere le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro siano installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso. L’istruttoria invece non aveva conferito certezze al fatto che le istruzioni d’uso acquisite agli atti che prescrivevano l’ancoraggio al suolo della stufa si riferissero proprio a quella rovinata addosso alla persona offesa: per tale ragione la colpa dell’imputato era stata ravvisata piuttosto nella violazione di un obbligo di garanzia generico, attinente al posizionamento della stufa, con un’interpretazione della norma in via analogica in malam partem non consentita.
Con il secondo deduce violazione degli artt. 590 e 40 c.p. L’obbligo di garanzia in capo all’imputato era preordinato a prevenire un evento ben diverso rispetto a quello verificatosi, cioè evitare le cadute della stufa eventualmente dovute al vento, mentre nessun profilo di colpa poteva essere ravvisato a suo carico per l’evento rissa, per evitare il quale egli aveva predisposto anche un servizio d’ordine privato interno alla discoteca.
Con il terzo motivo si duole infine del vizio della motivazione della impugnata sentenza, che aveva individuato apoditticamente una posizione di garanzia non codificata, né desumibile dalle istruzioni della stufa a gas.
Considerato in diritto
1. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e possono essere analizzati congiuntamente in quanto attengono tutti alla posizione di garanzia che il ricorrente contesta possa essere ravvisata a suo carico per legge ovvero in base alle istruzioni d’uso dei riscaldatori.
2. Quanto alla lamentata violazione dell’art. 521 c.p.p., si osserva che all’imputato era stata contestata una colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché nella violazione dell’art. 71, comma 4, D.lgs. n. 81/2008, per aver omesso di ancorare al pavimento le stufe a gas per esterno con alloggiamento per bombola, come richiesto dalle istruzioni d’uso.
La Corte di Bologna, con pertinente osservazione, interpretando la ratio della norma antinfortunistica, ha ritenuto che tra gli obblighi scaturenti dall’utilizzo delle stufe a fungo vi fosse quello di fissarle o, quanto meno, zavorrarle, in modo da prevenire infortuni o eventi lesivi più gravi, determinati da un loro spostamento accidentale. Del resto, nel caso di specie, come affermato dal funzionario del servizio di prevenzione della ASL, la cui deposizione è stata richiamata in sentenza, ciò era imposto dai manuali di istruzioni d’uso di due delle tre stufe rinvenute sul posto, e per coerenza tale precauzione doveva essere estesa a tutte, al fine di impedire che fattori esterni, comunque prevedibili, potessero spostarle o rovesciarle, facendole rovinare sulle persone.
La posizione di garanzia dunque è stata correttamente individuata in capo a chi esercitava in concreto i poteri del datore di lavoro, ovvero al (…), che quale gestore del locale aveva assunto gli obblighi previsti dal D.lgs. n. 81/2008, compresi quelli inerenti la prevenzione degli infortuni subiti da terzi estranei all’attività di impresa, ed era tenuto ad una corretta gestione della fonte di pericolo.
Giova in questa sede ribadire che l’obbligo di garantire i requisiti di sicurezza di tutte le attrezzature di cui si serve l’imprenditore, è posto a tutela non solo dei propri dipendenti, ma dei terzi che vengano a contatto con il luogo di esercizio dell’attività di impresa.
Nel caso particolare il (…), quale amministratore unico della società titolare della discoteca (…) era tenuto a gestire le fonti di pericolo presenti nel locale e negli spazi esterni di pertinenza, sia per garantire la sicurezza dei propri dipendenti, sia a tutela dei numerosi frequentatori della discoteca, prevalentemente persone giovani, proprio in considerazione della natura dell’attività esercitata, in orario notturno, in cui non poteva considerarsi imprevedibile o abnorme – ai fini dell’interruzione del nesso di causalità – anche un acceso litigio o addirittura una rissa.
Del resto, è di comune esperienza, e ne fa richiamo anche il ricorrente laddove afferma di aver predisposto un servizio di sicurezza, la presenza nei locali notturni di vigilanti, proprio per evitare possibili situazioni di pericolo dovute a liti tra i presenti, magari originate dall’uso di alcolici o da comportamenti alterati.
Ciò evidentemente non basta ad escludere all’origine la possibilità di un comportamento violento e dunque la prevenzione degli infortuni deve tenere conto anche di comportamenti imprudenti degli avventori, che comunque non si pongano in termini di assoluta eccentricità rispetto al rischio definito dalla norma cautelare violata: nell’episodio per cui è processo non si è configurata l’interruzione del nesso di causalità, poiché in un locale ove è normale l’assembramento di persone è doveroso da parte del gestore assicurare l’assenza di pericoli, come sottolineato dalla Corte di Bologna.
Una volta scoppiata la rissa all’esterno del locale, l’utilizzo da parte dell’imputato dei riscaldatori senza il rispetto delle regole imposte dalle istruzioni d’uso e di normale prudenza aveva costituito causa dell’evento occorso alla (…) e ciò perché i riscaldatori posti all’esterno della discoteca mancavano dei requisiti di sicurezza, circostanza sulla quale l’impugnata sentenza si sofferma diffusamente, sulla scorta di quanto inequivocabilmente accertato nel corso del processo.
Ed allora, una volta esclusa l’eccezionalità dell’evento che aveva provocato il rovesciamento della stufa, appurato che i riscaldatori non erano fissati al suolo e perciò erano instabili, affermato altresì che sussisteva in capo al (…) l’obbligo di garantire la sicurezza delle attrezzature a tutela dei dipendenti e dei frequentatori della discoteca, che il comportamento diligente omesso – ovvero il corretto ancoraggio o appesantimento dei riscaldatori – ne avrebbe evitato il rovesciamento, appare immune da censure la configurazione in capo al ricorrente di una condotta colposa, che ha costituito causa dell’evento e che il rispetto delle norme precauzionali avrebbe evitato, trattandosi proprio della concretizzazione di quel rischio di caduta/rovesciamento evitabile con il corretto posizionamento e ancoraggio dei riscaldatori secondo istruzioni da manuale.
3. A tali considerazioni segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000), nonché la rifusione delle spese in favore della parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (…) (…) che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre spese generali nella misura del 15%, cpa e iva.