Ribadito il principio del “più probabile che non” nell’accertamento del nesso causale in ambito di responsabilità medica e la corretta applicazione dei criteri risarcitori per il danno parentale
RIASSUNTO DELLA VICENDA GIUDIZIARIA
D.D., affetto da una grave patologia al colon, si sottopose a quattro interventi chirurgici presso l’Ospedale Mauriziano di Torino tra il 17 maggio 2006 e il 1° settembre 2007. A distanza di 10 mesi dal quarto intervento, il 9 luglio 2008, D.D. morì a 59 anni per un infarto al miocardio. La moglie C.C. e i figli A.A. e B.B. citarono in giudizio l’ospedale, sostenendo che la morte fosse imputabile a errori medici, tra cui una diagnosi errata e la mancata applicazione di uno stent intestinale durante il secondo intervento, che avrebbe potuto prevenire le complicazioni cardiache.
Il Tribunale di Torino, sulla base di una CTU collegiale, escluse il nesso causale tra l’operato dei medici e la morte di D.D., riconoscendo solo un’invalidità temporanea risarcibile “iure hereditatis”.
In appello, la Corte ribaltò il giudizio, ritenendo provato il nesso causale tra gli errori medici e il decesso. Tuttavia, il danno parentale venne riconosciuto solo alla moglie convivente, mentre venne negato ai figli conviventi, ritenendo insufficientemente provata la compromissione delle loro condizioni dinamico-relazionali.
I figli di D.D. proposero ricorso in Cassazione, contestando la mancata considerazione della loro relazione con il padre e delle conseguenze emotive subite. Contestualmente, l’Azienda Ospedaliera presentò un ricorso incidentale, sostenendo l’erronea valutazione del nesso causale tra la condotta sanitaria e l’evento morte.
I PRINCIPI ENUNCIATI DALLA CORTE
L’ORDINANZA (Integrale)
Cassazione civile, Sez. III, Ordinanza del 21/10/2024, n. 27142
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere-Rel.
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 728/2020 R.G. proposto da: A.A., B.B., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati TONNARELLI MAURIZIO (maurizio.tonnarelli@ordineavvgenova.it), ROGNONI ERNESTO (ernesto.rognoni@ordineavvgenova.it)
-ricorrente-
contro
AZIENDA SANITARIA OSPEDALIERA ORDINE MAURIZIANO TORINO, B.B., C.C., C.C.
-intimati-
sul controricorso incidentale proposto da
AZIENDA SANITARIA OSPEDALIERA ORDINE MAURIZIANO TORINO, elettivamente domiciliato in R PIAZZA Pr (omissis), presso lo studio dell’avvocato LANIGRA MAURIZIO (omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato SALVINI PAOLO(avvpaolosalvini@cnfec.it)
-ricorrente incidentale-
contro
@1G.Ma. e B.B., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ROGNONI ERNESTO (omissis), TONNARELLI MAURIZIO (omissis)
-controricorrente all’incidentale-
nonché contro
C.C., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati TONNARELLI MAURIZIO (omissis), ROGNONI ERNESTO (omissis)
-controricorrente all’incidentale-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 868/2019 depositata il 22/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/09/2024 dal Consigliere FRANCESCA FIECCONI.
Svolgimento del processo
1. D.D., dal 17 maggio 2006 all’ 1 settembre 2007, si sottopose a quattro interventi chirurgici presso l’Ospedale Mauriziano di Torino, per una grave patologia che affliggeva il suo colon: a circa 10 mesi dal quarto intervento, in data 9 luglio 2008, decedeva all’età di 59 anni per un infarto al miocardio. La moglie di D.D., C.C., ed i due figli, A.A. e B.B., agirono in giudizio nei confronti della struttura sanitaria sull’assunto che la morte del loro congiunto fosse avvenuta per colpa dei sanitari che, dapprima, avrebbero effettuato una diagnosi errata e, in seguito, avrebbero eseguito con negligenza gli interventi chirurgici, in particolare omettendo di applicare uno stent alle pareti intestinali durante il secondo intervento, che avrebbe impedito le complicazioni cardiache rivelatesi causa del decesso, avvenuto per arresto circolatorio dopo le dimissioni dall’ultimo intervento, a distanza di mesi.
2. Il Tribunale di Torino istruì la controversia disponendo una CTU collegiale, concludendo che non era provato che vi fosse un nesso di causa tra la condotta dei sanitari, pur emersa come erronea sotto vari aspetti (per mancato posizionamento di uno stent nel secondo intervento) e il decesso, intervenuto per infarto al miocardio dopo alcuni mesi, e che piuttosto, la condotta dei medici aveva provocato soltanto una invalidità temporanea, che veniva riconosciuta agli attori iure hereditatis.
3. Contro questa decisione proposero appello gli attori. La Corte di Appello di Torino accolse l’impugnazione sull’assunto che, contrariamente a quanto accertato il giudice di primo grado, sulla base della medesima CTU era da ritenersi provato il nesso di causa tra i – plurimi- errori commessi nell’intervento chirurgico e la morte del paziente. Tuttavia, la Corte di Appello negò il risarcimento del danno parentale agli attori qui ricorrenti, figli conviventi del de cuius, riconosciuto solo a favore della moglie convivente, considerando che, pur avendo essi allegato di essere congiunti conviventi, non avrebbero tuttavia dimostrato la conseguenza dannosa subita sotto il profilo dinamico-relazionale.
4. La decisione è oggetto di ricorso per cassazione da parte di due degli originari attori, i figli del defunto, @Gr.Ma. e B.B., che formulano tre motivi di ricorso in relazione al mancato riconoscimento del danno parentale, riconosciuto solo alla madre convivente e non ai figli altrettanto conviventi. La sentenza è altresì impugnata con un motivo di ricorso incidentale da parte della Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano in relazione alla valutazione del nesso causale tra condotta ed evento.
5. Nelle more il giudizio ha subito un rinvio in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte in tema di travisamento della prova e di violazione dell’ art. 115 c.p.c..
Motivi della decisione
6. Con il primo motivo, i ricorrenti in via principale denunciano la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 115, 2 c., 116 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, 1c. n. 3 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata ha respinto la domanda risarcitoria avanzata dai signori A.A. e B.B. per ottenere il risarcimento del danno per perdita parentale, sul presupposto che tale pregiudizio non patrimoniale non potrebbe mai essere ritenuto “in re ipsa”, “bensì deve essere prima di tutto circostanziatamente allegato e poi provato da parte dell’attore, a pena di uno snaturamento delle funzioni della responsabilità aquiliana”, nonostante la mancata contestazione sul punto in sede di costituzione in giudizio.
7. Con il secondo motivo, deducono la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2059, 2727, 2729, 2697 c.c., artt.2, 29 e 30 Cost., in relazione all’art. 360, 1 c. n. 3 c.p.c. Lamentano che la Corte territoriale abbia respinto la domanda risarcitoria sull’erroneo presupposto della mancata allegazione e prova dei fatti posti a sostegno della domanda avanzata dagli esponenti per il risarcimento del danno parentale, senza fare ricorso al criterio delle presunzioni, ovvero al fatto che “secondo l’id quod plerumque accidit” la prematura perdita del congiunto induce ad un mutamento negativo delle condizioni quotidiane di vita ed al correlato dolore dell’animo, ritenendo che “l’allegazione a tale fine necessaria deve concernere fatti precisi e specifici del caso concreto, essere cioè circostanziata, non potendo invero risolversi in mere enunciazioni di carattere del tutto generico e astratto, eventuale e ipotetico (Cass. civ. n.10527/2011 citata)”. Sul punto la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che parte attrice, che neppure avrebbe coltivato l’iniziale offerta di prova orale, nell’introdurre il giudizio si fosse limitata alle riportate allegazioni generiche del tutto insufficienti.
8. Con il terzo motivo, lamentano l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’ art. 360, 1 c. n.5 c.p.c. Viene censurata la sentenza della Corte di Appello di Torino là dove assume che: “il pregiudizio non patrimoniale non può mai essere in re ipsa, bensì deve essere prima di tutto circostanziatamente allegato e poi provato da parte dell’attore”, mentre gli odierni ricorrenti, figli del deceduto D.D., in atto di citazione “hanno al proposito allegato, con formulazione assolutamente generica, “le particolari condizioni di famiglia “lo stretto rapporto di dipendenza economica”, il “rapporto di convivenza” e “l’intensità del legame affettivo”. Così facendo, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare, ai fini della decisione, fatti decisivi del giudizio, certamente oggetto di discussione fra le parti e pure ritenuti sussistenti dalla Corte stessa, come emerge dai passi della sentenza impugnata: a) il rapporto filiale esistente fra D.D. ed i figli A.A. e B.B., che certamente deve ritenersi stretto, in quanto inerente la famiglia cd. nucleare; b) la convivenza fra il padre D.D. ed i figli A.A. e B.B., che, come risulta dalla stessa intestazione dell’atto di citazione e dalle cartelle cliniche, all’epoca dell’introduzione del giudizio, risultavano ancora residenti nella casa familiare, dove avevano vissuto con il padre D.D.; c) l’età ancora giovane del padre D.D. (59 anni all’epoca del decesso) e dei figli A.A. e Simone (rispettivamente 31 e 26 anni), come pur si riconosce nella sentenza impugnata(pp 10-11), che renderebbe ancor più grave ed evidente il danno da perdita parentale patito dagli esponenti che, in assenza dell’evento mortale, avrebbero potuto frequentare e vivere con il padre per ancora numerosi anni.
9. Con un unico motivo di impugnazione l’Azienda Ospedaliera Ospedale Mauriziano di Torino lamenta l'”erroneo accertamento del nesso di causalità materiale tra la condotta dei sanitari dell’Azienda convenuta in occasione dell’intervento del 16/4/2007 ed il decesso del signor D.D.: vizio di violazione e/o falsa applicazione degli artt.1218, 1223 e 2697 c.c., 40 e 41 del c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n.3; vizio di violazione e/o falsa applicazione degli artt.115, 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n.3; vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n.5″. In merito, l’azienda sanitaria lamenta che la Corte d’Appello abbia tenuto solo parzialmente e contraddittoriamente conto delle emergenze della CTU che ha escluso che una diversa condotta avrebbe, in termini di maggior probabilità, evitato il decesso, in considerazione della gravità della patologia di base, della severità della prognosi, dei precedenti anamnestici, delle comorbilità, della difficoltà intrinseca delle procedure chirurgiche e della mancanza di dati precisi in merito alla causa della morte. Né la Corte d’Appello avrebbe tenuto conto della presenza dei suddetti fattori alternativi che avrebbero interrotto la relazione causale con l’evento morte e che comportavano, in relazione alla colectomia totale resasi necessaria, una diminuzione della sopravvivenza a lungo termine (10 anni) che poteva essere stimata nella misura dell’80%.
10. Osserva il Collegio che è logicamente prioritaria la trattazione del ricorso incidentale, essendo in predicato l’accertamento del nesso causale tra la accertata malpractice medica e il decesso di D.D., con deduzione di sostanziale travisamento dell’esito della CTU e di omesso esame del fatto decisivo per il giudizio (fattori alternativi che hanno interrotto la relazione causale con l’evento morte), in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. Più precisamente la struttura sanitaria convenuta in giudizio deduce che la Corte di merito non abbia tenuto conto di quanto affermato dai consulenti tecnici del giudice, i quali, in replica alle osservazioni dei CT di parte, avrebbero riferito che non sia possibile affermare che una diversa condotta avrebbe, in termini di maggior probabilità, evitato il decesso, in considerazione delle incertezze derivanti dalla gravità della patologia di base che ha indotto i medici a praticare una colectomia totale, dalla severità della prognosi, dei precedenti anamnestici, dalle comorbilità, dalla difficoltà intrinseca delle procedure chirurgiche e dalla mancanza di dati precisi in merito alla causa della morte.
11. In proposito, va rilevato che al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, il fulcro delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti in via incidentale deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa e delle considerazioni articolate nella consulenza tecnica posta a fondamento del ragionamento probatorio seguito.
12. Sul tema inerente all’interpretazione e applicazione delle regole processuali sulle prove, di cui agli artt.115, 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n.3, le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente sancito che “Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale”. (Cass. Sez. U – , Sentenza n. 5792 del 05/03/2024).
13. Sotto il profilo delle norme citate, pertanto, la censura prospetta un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa, del tutto inammissibile. Ciò posto, il motivo d’impugnazione deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892; Cass. SU Sentenza n. 5792 del 05/03/2024).
14. Pertanto, l’oggetto di analisi va circoscritto alla censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato per avere la Corte territoriale disatteso le conclusioni alle quali è giunta la consulenza tecnica d’ufficio, che avrebbe stabilito che non sia possibile affermare che una diversa condotta medica avrebbe evitato il decesso del D.D. in presenza di fattori alternativi di rischio, che avrebbero interrotto il nesso causale, quali la gravità della patologia di base e i precedenti anamnestici.
15. Sotto tale profilo, il motivo è infondato in quanto la sentenza non mostra lacune sotto il profilo motivazionale con riguardo agli elementi discussi tra le parti e osservati dai CTU, pur essendo pervenuta a conclusioni diverse.
16. In proposito, va osservato che il giudice che abbia disposto una consulenza tecnica cd. percipiente, come quella di cui è causa, può anche disattenderne le risultanze, ma solo ove motivi in ordine agli elementi di valutazione adottati e a quelli probatori utilizzati per addivenire alla decisione, specificando le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del CTU, in ogni caso argomentando su basi tecnico- scientifiche e logiche (cfr. Sez. 3 – , Sentenza n. 36638 del 25/11/2021; Cass., 26/2/2013, n. 4792; Cass., 13/3/2009, n.6155; Cass., 19/1/2006, n. 1020). Si è al riguardo precisato che il giudice può anche disattendere le risultanze della disposta CTU percipiente, ma solo motivando in ordine agli elementi di valutazione adottati e agli elementi probatori utilizzati per addivenire all’assunta decisione (cfr. Cass., 3/3/2011, n. 5148), specificando le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del CTU (cfr. Cass., 26/8/2013, n. 19572; Cass., 7/8/2014, n. 17747; e, da ultimo, Cass., 11/1/2021, n. 200).
17. Orbene, l’impugnata sentenza dimostra che la Corte di merito ha invero osservato il suindicato principio in tema di recepimento degli esiti della CTU medico- legale, senza venir meno all’obbligo di attenersi ai fatti rilevati offrendo adeguata motivazione. È dato infatti rinvenire nella sentenza un’esplicitazione in ordine al complesso quadro probatorio osservato dai CTU sulla causa finale del decesso (infarto del miocardio), a distanza di 10 mesi dall’ultimo intervento, nonché un’attenta disamina logico-giuridica che lascia trasparire il percorso argomentativo seguito a confutazione delle conclusioni della CTU (cfr., Cass., 2020 , n. 3819), risultando conseguentemente consentito a questa Corte un controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio (cfr. sentenza pp. 6-7).
18. La Corte di merito, pur tenendo conto del fatto che i CTU non hanno individuato un nesso di causa tra la condotta, pur negligente, degli operatori e il decesso del paziente, ha rilevato che i medesimi CTU hanno dichiarato che il paziente ha perso, per effetto della condotta imprudente dei sanitari dell’azienda convenuta la chance che statisticamente aveva di sopravvivere, pur non potendo quantificare il tempo di quella sopravvivenza. Operando una rilettura delle risultanze probatorie valutate dai CTU ai fini della valutazione del nesso causale, ha pertanto ritenuto sufficientemente provato, in termini di preponderanza dell’evidenza, il nesso di causalità tra l’imprudente condotta dei sanitari in occasione dell’intervento del 16/04/2007 e la morte di D.D., assumendo che la compromissione delle condizioni cliniche che ha sottratto al D.D. la chance di sopravvivenza che statisticamente egli aveva rispetto alla condizione patologica preesistente, coincide con l’insorgenza della cardiopatia ipocinesica seguita allo shock cardiogeno rilevato nel corso dell’ultimo intervento chirurgico, patologia indotta proprio dai sanitari che sottoposero il D.D. allo sfiancante calvario operatorio teso a rimediare all’errore commesso nel secondo intervento chirurgico, senza che, a dire della Corte, appaia nella stessa CTU in alcun modo giustificata, quale conseguenza non prevedibile e non evitabile del terzo intervento, la deiscenza completa della fascia muscolare con fuoriuscita parziale delle anse intestinali che costrinse ad addivenire al quarto intervento. Conclude pertanto la Corte che “Pur essendo dunque il D.D. deceduto per arresto circolatorio” (così, genericamente, nel verbale di intervento del 118) a distanza di alcuni mesi dalle dimissioni ospedaliere, non avendosi nota di eventi intermedi tali da costituire di per sé causa efficiente di quell’arresto a prescindere dalla cardiopatia, ed essendo questa insorta presso l’ Ospedale Mauriziano nel corso del travagliato iter operatorio: (i) l’originario errore dei chirurghi, (ii) la serie di interventi “a cielo aperto” resisi necessari in ragione di esso, (iii) lo shock cardiogeno occorso nell’ultimo intervento, (iv) la cardiopatia ipocinesica che da quel momento è stata diagnosticata, costituiscono fatti materiali -tutti provati- sui quali fondare ragionevolmente (secondo la regola della preponderanza dell’evidenza ovvero del più probabile che non) la convinzione di sussistenza del nesso causale fra la condotta dei sanitari e l’.” (cfr. sentenza impugnata, p. 9).
19. L’analisi compiuta dai giudici di merito, oltre a non denotare alcuna omissione di dati di rilievo, sotto il profilo motivazionale si pone i linea con quanto affermato dalla giurisprudenza in ordine ai criteri di accertamento del nesso di causalità e gli oneri probatori.
20. In merito, va richiamato il principio espresso dalle pronunce della Corte Suprema di cassazione (Cass. civ., 11 novembre 2019 n. 28991 e Cass. civ., 11 novembre 2019 n. 28992), con cui è stato affrontato in maniera organica il tema dell’accertamento e degli oneri probatori in ordine al nesso di causalità chiarendo, che la causalità relativa tanto all’evento pregiudizievole, quanto al danno conseguenziale, è comune ad ogni fattispecie di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, quale portato della distinzione fra causalità ed imputazione. In tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle “leges artis” nella cura dell’interesse del creditore), ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato). Ove, come nel caso in questione, sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione. La causalità attiene, infatti, al collegamento naturalistico fra fatti accertati sulla base delle cognizioni scientifiche del tempo ovvero su basi logico-inferenziali. Essa attiene alla relazione probabilistica (svincolata da ogni riferimento alla prevedibilità soggettiva) tra condotta ed evento di danno (e fra quest’ultimo e le conseguenze risarcibili), da ricostruirsi secondo un criterio di regolarità causale, integrato, se del caso, da quelli dello scopo della norma violata e dell’aumento del rischio tipico, previa analitica descrizione dell’evento, mentre su un piano diverso si colloca la dimensione soggettiva dell’imputazione. Quest’ultima corrisponde all’effetto giuridico che la norma collega ad un determinato comportamento sulla base di un criterio di valore, che è rappresentato dall’inadempienza nella responsabilità contrattuale e dalla colpa o il dolo in quell’aquiliana (salvo i casi di imputazione oggettiva dell’evento nell’illecito aquiliano – artt. 2049, 2050, 2051 e 2053 c.c.).
21. Al proposito, questa Suprema Corte, nelle citate pronunce, ha altresì affermato che la causalità materiale torna a confluire nella dimensione del necessario accertamento della riconducibilità dell’evento alla condotta secondo le regole generali e dunque il creditore di prestazione professionale che alleghi un evento di danno alla salute, non solo deve provare quest’ultimo e le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (c.d. causalità giuridica del “più probabile che non”), ma deve provare anche, avvalendosi eventualmente pure di presunzioni, il nesso di causalità fra quell’evento e la condotta del professionista nella sua materialità, impregiudicata la natura di inadempienza di quella condotta, inadempienza che al creditore spetta solo di allegare. Una volta assolto tale onere probatorio, sorgono gli oneri probatori del debitore, il quale deve provare o l’adempimento o che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che la patologia sia riconducibile, ad esempio, all’intervento chirurgico, la struttura sanitaria deve dimostrare che l’intervento ha determinato la patologia per una causa, imprevedibile ed inevitabile, la quale ha reso impossibile l’esecuzione esperta dell’intervento chirurgico medesimo (cfr. Cass. 18392/2017, in motivazione). Emerge così un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il nesso di causalità materiale che il creditore della prestazione professionale deve provare è quello fra intervento del sanitario e danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie; il nesso eziologico che invece spetta al debitore di provare, dopo che il creditore abbia assolto il suo onere probatorio, è quello fra causa esterna, imprevedibile ed inevitabile alla stregua dell’ordinaria diligenza di cui all’art. 1176, comma 1, ed impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale (art. 1218).
22. Su tali premesse, con riferimento al caso in esame deve essere confermato l’orientamento secondo il quale ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso i l’esatta esecuzione della prestazione. Ne discende che, se resta ignota anche mediante l’utilizzo di presunzioni la causa dell’evento di danno, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale; se invece resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l’imprevedibilità ed inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore (cfr. Cass. 18392/2017, in motivazione).
23. Sicché, in tema di responsabilità medica, ove le carenze colpose della condotta del medico, tipicamente omissive e astrattamente idonee a causare il pregiudizio lamentato, abbiano reso impossibile l’accertamento del nesso eziologico, tale deficit, non potendo logicamente riflettersi a danno della vittima, sia pur in generale onerata della dimostrazione del rapporto causale, rileva non solo in punto di accertamento della colpa ma anche al fine di ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 34427 del 11/12/2023). Il giudizio di causalità sull’ evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità, è pertanto da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma anche all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica) (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21530 del 27/07/2021).
24. Ritiene pertanto il Collegio che, nel caso di specie, il ragionamento della Corte di merito non sia censurabile, in quanto effettuato attraverso un attento e compiuto esame delle circostanze riferite dai CTU alla luce dei criteri di cui sopra, senza alcuna omissione di dati rilevanti, e ciò al fine della valutazione del nesso causale, compiuta sulla base dell’ accertato errore in cui sono incorsi i chirurghi, i plurimi interventi riparatori che sono susseguiti infruttuosamente e l’insorgenza della cardiomiopatia ipocinetica dopo lo shock cardiogeno occorso nell’ultimo intervento, con severa compromissione della funzione sistolica, tutte circostanze astrattamente idonee, in carenza di fattori alternativi estranei alla condotta dei medici, a causare il pregiudizio lamentato (il decesso) in termini di preponderanza dell’evidenza.
25. Tale giudizio non deve necessariamente coincidere con il giudizio finale dei CTU in ordine alla causa del decesso, da cui la Corte di merito si è ragionevolmente discostata, evidentemente riposto su un criterio di non raggiunta certezza scientifica circa la causa della morte, avvenuta per arresto circolatorio a distanza di alcuni mesi dagli interventi chirurgici accertati come non eseguiti a regola d’arte. Difatti la Corte territoriale ha sottolineato come i CTU, pur sostenendo che non sia possibile affermare che una diversa condotta avrebbe in termini di maggiore probabilità evitato il decesso, anche per la mancanza di dati precisi in merito alla causa della morte, abbiano cionondimeno dichiarato che il paziente ha perso, per effetto della condotta imprudente dei sanitari, delle chance che statisticamente aveva di sopravvivenza, ritenendo così provati i fatti materiali sui quali fondare ragionevolmente, secondo il principio del “più probabile che non”, la convinzione della sussistenza del nesso causale tra le plurime condotte di malpractice dei sanitari e la morte del D.D.
26. Per le medesime ragioni, la motivazione della decisione appare in conformità al requisito di “minimo costituzionale” richiesto ai fini della valutazione della sua compiutezza e sufficienza (Cass, SU 8053/2014), con assorbimento delle ulteriori censure.
27. Quanto al ricorso principale dei fratelli E.E. deve rilevarsi la fondatezza dei motivi con cui denunciano il mancato rilievo di dati fattuali incontroversi ai fini del riconoscimento del danno parentale, nonché la violazione dei criteri indicati dalla giurisprudenza ai fini della valutazione del danno parentale. Il rigetto della domanda di riconoscimento del danno morale jure proprio si fonda sull’assunto che i figli del deceduto erano in un’età pienamente adulta relativamente alla quale non possono ritenersi presumibili né la perdurante dipendenza economica né la convivenza con i genitori e che nulla sia stato specificato in sede di allegazione circa la natura e intensità della relazione con il padre, e ciò a differenza della moglie convivente che lo ha assistito in tutto il percorso ospedaliero.
28. Va osservato che questa Corte ha indicato in plurime occasioni che la natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, come predicata dalle sezioni unite della S.C. con la sentenza n. 26972 del 11/11/2008, deve essere interpretata, rispettivamente, nel senso di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica e come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità, procedendo ad un accertamento concreto e non astratto, dando ingresso a tutti i mezzi di prova normativamente previsti, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 25541 del 30/08/2022; Cass. Sez. 3 Sez. 3 – , Sentenza n. 901 del 17/01/2018; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008).
29. E’ stato altrettanto chiarito che, in tema di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, sussiste una presunzione iuris tantum di esistenza del pregiudizio configurabile per i membri della famiglia nucleare “successiva” (coniuge e figli) che si estende anche ai membri della famiglia “originaria” (genitori e fratelli), senza che assuma ex se rilievo il fatto che la vittima ed il superstite non convivessero o che fossero distanti; tale presunzione impone al terzo danneggiante l’onere di dimostrare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, con conseguente insussistenza in concreto dell’aspetto interiore del danno risarcibile (c.d. sofferenza morale) derivante dalla perdita, ma non riguarda, invece, l’aspetto esteriore (c.d. danno dinamico-relazionale), sulla cui liquidazione incide la dimostrazione, da parte del danneggiato, dell’effettività, della consistenza e dell’intensità della relazione affettiva (desunta dalla coabitazione o da altre allegazioni fornite di prova) (cfr. Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 5769 del 04/03/2024; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 22397 del 15/07/2022; Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 26440 del 08/09/2022).
30. Posto quanto sopra in termini di an deabeatur, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella (Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 26300 del 29/09/2021; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26440 del 08/09/2022).
31. Atteso che, con riferimento al caso di specie, il danno morale subito dai figli non è stato messo in discussione dalla convenuta, la sentenza è certamente errata sotto questo profilo. Quanto alla ulteriore componente del danno dinamico – relazionale, la Corte territoriale non ha dimostrato di avere tenuto adeguatamente conto dei fatti allegati sin dal primo atto, da cui è presuntivamente desumibile l’intensità della relazione dei figli con il padre all’interno della famiglia nucleare, in virtù della stretta relazione parentale tra i figli, giovani adulti con il medesimo ancora conviventi, e il padre, prematuramente scomparso, atteso che il grado di parentela non è stato messo in discussione. Risulta pertanto del tutto contradittoria perché non idoneamente correlata alle circostanze allegate, la motivazione, là dove, confondendo l’an debeatur con il quantum debeatur, assume che lo sforzo di allegazione di parte attrice è stato del tutto insufficiente e fondato su allegazioni generiche, solo per il fatto che non sono presumibili né la perdurante dipendenza economica (circostanza marginale in tale ambito di valutazione), né la convivenza che, come visto, non appare neanche quale elemento essenziale ai fini del decidere. Lo stato di filiazione, del tutto pretermesso, avrebbe dovuto essere preso in considerazione ai fini della configurazione di un danno parentale; mentre sul piano del quantum del risarcimento, la Corte di merito avrebbe avuto ampia discrezionalità nel decidere secondo i criteri sopra enunciati, tenendo conto dei fatti allegati in ordine alla natura e intensità della relazione con il padre.
32. Conclusivamente, la Corte accoglie i motivi del ricorso principale per quanto di ragione; respinge il ricorso incidentale; per l’effetto cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione, demandando di decidere sul danno parentale alla luce dei criteri sopra indicati, oltre alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale, per quanto di ragione; respinge il ricorso incidentale; per l’effetto cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 09 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2024.