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Malavvocatura - Errori Legali Responsabilità professionale

Responsabilità professionale: l’avvocato deve risarcire il cliente se non indica una prova indispensabile

Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-12-2015, n. 25963

IL CASO

Un avvocato – incaricato di patrocinare una causa per l’accertamento di un diritto di servitù di acquedotto e passo – era stato negligente nell’espletamento del mandato poichè aveva omesso di produrre in giudizio l’estratto tavolare del fondo servente, da cui emergeva l’iscrizione della servitù, e tale omissione aveva avuto rilievo esclusivo nella decisione della causa in senso sfavorevole alla propria assistita.

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

In tema di responsabilità professionale dell’avvocato, la mancata indicazione delle prove indispensabili per l’accoglimento della domanda, costituisce di per sè manifestazione di negligenza del difensore, salvo che il predetto dimostri di non aver potuto adempiere per fatto a lui non imputabile o di avere svolto tutte le attività che, nel caso di specie, potevano essergli ragionevolmente richieste, tenuto conto che rientra nei suoi doveri di diligenza professionale non solo la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza, ma anche che il cliente, normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo, nè gli elementi che debbano essere sottoposti alla cognizione del giudice.

LA SENTENZA (estratto)

Svolgimento del processo

1 . – E’ impugnata la sentenza della Corte d’appello di Trento, depositata il 1 dicembre 2009, che ha parzialmente accolto l’appello proposto dall’avvocato P.A. avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto e nei confronti di Pe.Ro. e Pe.Gi. (eredi di Pe.Ma.) ed della AXA Assicurazioni s.p.a..

1.1. – Il giudizio di primo grado era stato introdotto da Pe.

M., e proseguito dagli eredi dopo la sua morte, per l’accertamento del grave inadempimento dell’avvocato P. al contratto d’opera professionale, con conseguente risoluzione del contratto stesso e condanna del professionista al risarcimento del danno.

L’avv. P. si era costituito per contestare la pretesa, ed aveva chiamato in manleva la Axa Assicurazioni spa.

1.2. – Il Tribunale aveva accolto la domanda degli attori, e rigettato la domanda di manleva.

1.2.1. – Il Tribunale aveva ritenuto che l’avv. P. – incaricato dal sig. Pe. di patrocinarlo nell’ambito di una causa per l’accertamento di un diritto di servitù di acquedotto e passo – era stato negligente nell’espletamento del mandato poichè aveva omesso di produrre in giudizio l’estratto tavolare del fondo servente, da cui emergeva l’iscrizione della servitù, e tale omissione aveva avuto rilievo esclusivo nella decisione della causa in senso sfavorevole all’assistito Pe..

1.2.2. – Quanto alla domanda di manleva, secondo il Tribunale la garanzia assicurativa non era operante perchè attivata dopo la conclusione del giudizio di secondo grado, che aveva rigettato la domanda del sig. Pe., e il professionista non aveva informato la società di assicurazione dell’alto rischio di sinistro.

1.3. – Proponeva appello l’avv. P., le controparti resistevano.

2 . – La Corte d’appello accoglieva il gravame limitatamente alla riduzione sul quantum liquidato a titolo di danno.

2.1. – Osservava la Corte territoriale che il grave inadempimento del professionista aveva riguardato l’attività di patrocinio relativa alla sola domanda di accertamento della servitù, e pertanto riduceva di un quinto l’importo oggetto di risarcimento, confermando nel resto la decisione del Tribunale.

3 . – Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso P.A. sulla base di quattro motivi.

Resistono con separati atti di controricorso gli eredi Pe. e la AXA Assicurazioni s.p.a..

Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.

Motivi della decisione

1 . – Il ricorso è infondato.

1.1 – Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e art. 167 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 2236 e 1176 cod. civ., della Legge Tavolare n. 594 del 1974, artt. 84 94 e della L.R. Trentino Alto Adige n. 3 del 1985, art. 17, comma 7, nonchè vizio di motivazione.

Si assume che la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso la rilevanza probatoria della condotta della controparte dell’attore Pe. nel giudizio di accertamento della servitù, ed avrebbe omesso di considerare il rilievo probatorio dell’estratto tavolare relativo al fondo dominante unito al contratto di divisione e compravendita costitutivo del diritto di servitù.

Il ricorrente lamenta, inoltre, l’erronea applicazione dei principi in tema di riparto dell’onere della prova, sul rilievo che l’attore Pe., da lui rappresentato, doveva ritenersi esonerato dalla produzione dell’estratto tavolare, poichè le controparti non avevano contestato i fatti costitutivi della sua pretesa. Allo stesso modo, non sussisteva alcun dovere a suo carico di attivarsi nel giudizio di appello, a fronte dell’eccezione proposta per la prima volta dalla controparte, trattandosi di eccezione “platealmente infondata”.

2 . – Con il secondo motivo è dedotta violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2236 cod. civ..

Si contesta la valutazione di irrilevanza del contratto di divisione e compravendita, ai fini della prova della servitù a favore del fondo di proprietà Pe..

2.1. – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente perchè connesse, sono infondate.

2.1.1. – Il ricorrente censura valutazioni effettuate nel diverso giudizio, definito con la sentenza del Tribunale di Rovereto, passata in giudicato, che ha respinto la domanda proposta da Pe.

M., assistito dall’avv. P..

Le suddette valutazioni non possono evidentemente costituire oggetto di rivalutazione nel presente giudizio, mentre si deve confermare il principio secondo cui, in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, la mancata indicazione delle prove indispensabili per l’accoglimento, della domanda costituisce di per sè manifestazione di negligenza del difensore, salvo che il predetto dimostri di non aver potuto adempiere per fatto a lui non imputabile o di avere svolto tutte le attività che, nel caso di specie, potevano essergli ragionevolmente richieste, tenuto conto che rientra nei suoi doveri di diligenza professionale non solo la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza, ma anche che il cliente, normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo, nè gli elementi che debbano essere sottoposti alla cognizione del giudice (ex plurimis, Cass., sez. 3, sentenza n. 8312 del 2010).

A tale principio si è attenuto il giudice d’appello, il quale ha ritenuto, nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità, che colui che agisce in confessoria servitutis ha l’onere di fornire la prova dell’esistenza del diritto, e che tale onere non viene meno a fronte di ammissioni del convenuto, trattandosi dell’esistenza di un diritto reale, rimanendo salva soltanto la possibilità per il giudice di avvalersi degli elementi che scaturiscono dalle ammissioni del convenuto nella valutazione delle risultanze della prova offerta dall’attore (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 8527 del 1996).

2.1.2. – Nel caso di specie,, posto che il sistema tavolare, ai fini della opponibilità ai terzi di una servitù, richiede l’iscrizione della servitù nella partita tavolare relativa al fondo servente, a fronte dell’eccezione del convenuto di carenza di prova documentale, l’avv. P. non aveva svolto tutte le attività che gli potevano essere ragionevolmente richieste, in particolare non aveva prodotto l’iscrizione del titolo nella partita tavolare del fondo servente.

3 . – Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1458, 2229 e 2233 cod. civ., nonchè vizio di motivazione.

Il ricorrente contesta che la Corte d’appello ha ritenuto grave e produttiva di danno la sua condotta difensiva, senza considerare il risultato utile che egli aveva fatto conseguire all’assistito.

3.1. – La doglianza è inammissibile, avendo ad oggetto valutazioni di merito di cui la Corte d’appello ha fornito adeguata motivazione, commisurando l’entità dell’inadempimento rispetto all’attività globalmente prestata dal professionista, in rapporto al significato economico delle distinte azioni giudiziarie.

4 . – Con il quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1453 e 1458 cod. civ., in relazione agli artt. 1176 e 2236 cod. civ., nonchè vizio di motivazione.

Si contesta la sussistenza del danno per la perdita di valore del terreno, sul rilievo che l’uso di acque pubbliche a scopi irrigui, rispetto al quale erano strumentali le servitù di cui si chiedeva il riconoscimento, non era comunque consentito dai regolamenti comunali.

4.1. – La doglianza è inammissibile, in quanto involge circostanze che hanno costituito oggetto di valutazione congruamente motivata dal giudice del merito, e comunque infondata, in quanto il danno conseguente al mancato accertamento della servitù non sarebbe escluso dalla circostanza dedotta.

5 . – Con il quinto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1892 e 1893 cod. civ., e vizio di motivazione .

Il ricorrente contesta la decisione di rigetto della domanda di manleva, sul rilievo che non vi era stata da parte sua alcuna negligenza nel tacere alla compagnia di assicurazione l’esito sfavorevole del giudizio d’appello, svolto dinanzi al Tribunale di Rovereto, poichè si trattava di provvedimento “alquanto criticabile sotto il profilo di diritto”, come indirettamente confermato dal fatto che il sig. Pe. aveva introdotto il giudizio di responsabilità a distanza di sette anni dalla conclusione del contratto.

5.1. – La doglianza è infondata.

La Corte d’appello ha ritenuto correttamente e con motivazione esaustiva l’esistenza del fattore di rischio, desumibile anche in relazione al contenuto della sentenza del Tribunale di Rovereto, con la conseguenza che il silenzio in proposito serbato dal professionista doveva ritenersi rilevante per gli effetti di cui all’art. 1892 cod. civ..

6  . – Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti Pe.Pi. e Pe.Ro., che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge, e nei confronti di Axa Assicurazioni s.p.a., che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Si dà atto che il presente provvedimento è stato redatto con la collaborazione dell’assistente di studio dott. Francesco Cortesi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 11 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2015

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