Il legittimario totalmente pretermesso che impugna per simulazione un atto compiuto dal de cuius agisce in qualità di terzo, acquisendo la qualità di erede solo in seguito al positivo esercizio dell’azione di riduzione
IL CASO
L’attore aveva citato in giudizio il fratello onde ottenere la declaratoria di nullità degli atti di vendita con i quali la madre aveva alienato al convenuto due immobili, perché dissimulanti una donazione. Tali atti risultavano essre lesivi della quota di legittima dell’attore avendo la mamma con essi trasferito all’altro figlio l’intero suo patrimonio.
IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE
Il legittimario totalmente pretermesso, che impugna per simulazione un atto compiuto dal “de cuius”, a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce, sia nella successione testamentaria che in quella ab intestato, in qualità di terzo e non in veste di erede, acquisendo quest’ultima qualità solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione.
CHI E’ IL LEGITTIMARIO COMPLETAMENTE PRETERMESSO?
Il legittimario completamente pretermesso è colui che, nonostante abbia il diritto di partecipare alla successione secondo quanto previsto dalla normativa in materia di successione necessaria, non può prendervi parte a causa della volontà del testatore (in caso di successione testamentaria) oppure per atti compiuti in vita dal de cuius (in caso di successione legittima).
Per un approfondimento –> Il legittimario completamente pretermesso e l’esercizio dell’azione di riduzione, di Giulia Fadda in “Cammino Diritto”, Rivista di Informazione Giuridica.
L’ORDINANZA
Cassazione civile, Sez. II, Sentenza del 03/09/2024, n. 23598
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – Relatore
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11498/2018 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA POMPEO MAGNO 3, presso lo studio dell’avvocato GIANNI SAVERIO (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati FAZIO DOMENICO (Omissis), MICELE ANTONELLA (Omissis);
– ricorrente –
contro
B.B., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CAGOSSI PAOLA (Omissis);
– controricorrente –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 503/2018 depositata il 19/02/2018;
udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 07/05/2024 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.
Svolgimento del processo
Il giudizio trae origine dalla domanda che B.B. propose innanzi al Tribunale di Bologna nei confronti del fratello A.A. per chiedere dichiararsi la nullità degli atti di vendita del 7.6.1979 e del 17.4.1989, con la quale la madre aveva alienato al convenuto due immobili, perché dissimulanti una donazione.
In particolare, B.B. espose che in data 18/07/1998 era deceduta la madre, C.C., la quale aveva alienato al figlio A.A. la nuda proprietà di un appartamento sito nel Comune di R nonché della porzione di 1/3 di una proprietà immobiliare sita nello stesso Comune, attraverso due atti di compravendita stipulati rispettivamente il 07/06/1979 ed il 17/04/1989; entrambi gli atti di compravendita simulavano donazioni, nulle per vizio di forma, come emergeva anche dalle controdichiarazioni autografe sottoscritte dalla madre. Detti atti di disposizione, secondo l’attore, erano anche lesivi della sua quota di legittima, avendo con essi la defunta trasferito al figlio A.A. l’intero patrimonio.
Si costituì il convenuto per resistere alla domanda.
Il Tribunale di Bologna rigettò la domanda.
La Corte d’Appello di Bologna accolse il gravame di B.B., accertò la simulazione di entrambi i contratti di vendita perché dissimulanti donazioni e dichiarò la nullità degli atti di donazione per vizio di forma, non essendo stati redatti in presenza di due testimoni.
A.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
B.B. ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di Consiglio ai sensi dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ.
In prossimità dell’adunanza le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso censura la sentenza della Corte d’Appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 1417 c.c. e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto sussistenti gli indizi della simulazione degli atti di vendita impugnati per carenza di prova del pagamento del prezzo. In particolare, parte ricorrente evidenzia come spetti a chi agisce in giudizio, quale terzo rispetto al contratto di cui si è allegata la natura simulata, fornire gli elementi che possano far ritenere sussistente la dedotta simulazione. Nel caso di specie, non costituirebbero elementi idonei a provare la simulazione la relazione di parentela tra le parti e la circostanza che la de cuius avesse voluto, con tali atti di vendita, disciplinare l’assetto proprietario dei beni prima dell’apertura della successione.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1417, ultimo comma c.c., 2696 c.c., 2727 c.c. e 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., perché, con riferimento al rogito del 7.6.1979, l’unico indizio della simulazione consisterebbe nel rapporto di parentela tra alienante ed acquirente, inidoneo di per sé a soddisfare i presupposti dell’articolo 2729 c.c., per assenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1417, 2697, 2727 e 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., perché anche con riferimento all’atto del 17.4.1989, gli unici indizi prospettati nella sentenza impugnata, costituiti dal rapporto di parentela tra le parti e dalla volontà della de cuius di regolare il proprio patrimonio, non consentirebbero di ritenere simulato il contratto di vendita, neppure se considerati unitariamente.
Con il quarto mezzo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1417 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’Appello errato nell’attribuire a B.B. la qualità di terzo, con riferimento all’atto del 17.4.1989, consentendogli di avvalersi delle agevolazioni probatorie previste dall’articolo 1417 c.c. Il ricorrente osserva come il rogito del 1989 si componesse di tre atti che non costituirebbero, come invece ritenuto dalla Corte d’Appello, tre atti semplicemente inseriti in un medesimo documento contrattuale indipendenti gli uni dagli altri ma, al contrario, rappresenterebbero un unico complessivo disegno alla cui realizzazione tutte le parti dell’accordo avevano concorso prestando il loro assenso.
Anche il quinto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1417 c.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nella parte in cui si afferma che A.A. non aveva fornito la prova del pagamento del prezzo.
Con il sesto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1417 e 2700 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non avere la Corte d’Appello considerato che, con riferimento all’atto del 7.6.1979, il pubblico ufficiale aveva attestato la materiale dazione di due assegni circolari specificatamente individuati nell’atto e che tale dichiarazione non era stata impugnata con querela di falso. Quanto al rogito del 1989, dall’atto di vendita risulterebbe che la parte venditrice aveva dichiarato di aver ricevuto, prima della conclusione dell’atto di alienazione, le somme pattuite a titolo di prezzo.
I motivi di ricorso sottopongono, in primo luogo, all’esame di questa Corte la questione dell’onere della prova della simulazione degli atti di vendita compiuti dal de cuius sotto il profilo della qualità di parte o di terzo del legittimario pretermesso.
Come più volte affermato da questa Corte, il legittimario totalmente pretermesso che impugna per simulazione un atto compiuto dal “de cuius”, a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce, sia nella successione testamentaria che in quella ab intestato, in qualità di terzo e non in veste di erede, acquisendo quest’ultima qualità solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione (Cassazione civile sez. II, 19/11/2019, n.30079).
Non trovano, pertanto, applicazione nei suoi confronti le limitazioni probatorie previste per le parti originarie in materia di prova della simulazione (Cass. N. 16535/2020; Cass. N. 6315/2003; Cass. N. 5515/1984).
Il legittimario è, quindi, ammesso a provare, nella veste di terzo, la simulazione di una vendita fatta dal de cuius per testimoni e presunzioni, senza soggiacere ai limiti fissati dagli artt. 2721 e 2729 c.c., per rimediare a una lesione della quota di legittima, intesa in senso ampio, in modo da comprendere non solo la reintegrazione in senso proprio, tramite la riduzione della donazione dissimulata, ma anche il recupero all’asse ereditario del bene oggetto di alienazione simulata, ovvero di donazione dissimulata nulla per difetto di forma (Cass. n. 8215/2013; n. 19468/2005, Cass. n. 19912/2014, conf. Cass. n. 20960/2016).
In tema di accertamento della simulazione, in assenza di controdichiarazione, la prova non può che essere indiziaria e presuntiva e trovano applicazione i principi consolidati in materia di presunzioni semplici; rientra, pertanto, nei compiti del Giudice del merito la ricerca e la valutazione in termini di idoneità degli elementi presuntivi connotati dai requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, soggetti a una valutazione globale e non con riferimento singolare a ciascuno di questi (cfr. in tal senso Cass. Sez. 1, Sentenza n. 28224 del 2008).
A tali principi si è uniformata la Corte d’Appello.
B.B. aveva agito per la riduzione delle disposizioni lesive della sua quota di legittima sicché non erano operanti nei suoi confronti le limitazioni probatorie previste tra le parti in materia di prova della simulazione.
La qualità di terzo è stata ravvisata dalla Corte d’Appello sia in relazione all’atto di vendita per notar D.D. del 7.6.1979 – col quale la de cuius aveva alienato al figlio A.A. la nuda proprietà di un appartamento sito nel Comune di R – sia in relazione all’atto di vendita del 17.4.1989, avente ad oggetto la porzione di 1/3 di una proprietà immobiliare sita nello stesso Comune.
In relazione all’atto del 1989, la Corte d’Appello, nell’ambito dell’interpretazione del contratto, non contestata con riferimento alla violazione dei canoni ermeneutici, ha accertato che esso contemplava tre distinti negozi giuridici e, rispetto all’atto impugnato, l’attore era estraneo, e quindi rivestiva la qualità di terzo, essendo intervenuto quale legale rappresentante della società IFIL.
In relazione ad entrambi gli atti di alienazione, è stato valorizzato lo stretto il rapporto di parentela tra le parti e l’assenza di prova in ordine al pagamento del prezzo, non essendo rilevante la dichiarazione di avvenuto versamento del prezzo contenuto in entrambi i rogiti, né le copie delle matrici degli assegni che riportavano annotazioni della stessa parte acquirente.
Infatti, qualora l’azione di simulazione di un contratto di compravendita sia proposta da un terzo, il quale – in ottemperanza agli artt. 2697 e 1417 c.c. – indichi indizi sufficienti del carattere fittizio dell’alienazione (come nel caso di specie), è l’acquirente che viene ad essere gravato dell’onere di provare l’effettivo pagamento del prezzo; tale onere non può dirsi osservato in forza della dichiarazione delle parti, contenuta nel rogito notarile, attestante che il prezzo è stato versato, trattandosi per l’acquirente di una mera dichiarazione a sé favorevole (ex multis Cass. 5326/2017, 12955/2014).
La Corte di merito, nell’ambito dell’apprezzamento del materiale probatorio, insindacabile in sede di legittimità, non ha ritenuto decisiva la controdichiarazione della de cuius che, in un primo momento, aveva ammesso l’esistenza della donazione in favore del figlio A.A. e, successivamente, l’aveva revocata. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in Euro 7500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n.115 del 2002, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, in data 7 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2024.